Appunti per una rivoluzione sentimentale

Ciuffi di nuvole bianche punteggiano un cielo lindo che fuga ogni malinconia. Oltranze irriducibili di speranza, presagi favorevoli, puntuali fronde verdi che ondeggiano al vento. Che si canti la gioia ogni tanto, nell’armonia accesa di un vago sentore di sud che introduce le infiorescenze primaverili dell’anima.

Il respiro di questo giorno entra nelle vene con la consueta sobrietà di un ritmo che si trascina, monotono e monocromo come certe giornate di scirocco in quest’isola di malie e stanchezze, di vigneti che bucano la sciara, di orizzonti sfuggenti che muovono il viaggio verso mete che possiedano melodie rassicuranti, nenie antiche pregne del senso diacronico di una vita vissuta in armonia con il tempo.

Ogni isola è limine, ma da questa posizione di marginalità al centro del Mediterraneo, la Sicilia è più di ogni altro luogo una soglia: soglia di un nord ricco e opulento e di un sud povero e disperato. Ma che si canti la gioia di questa terra imbiancata dal candore del mandorlo in fiore, che si canti la voluttà della pala di fico, della ginestra odorosa alle pendici dell’Etna! Il silenzio della Valle del Bove, lo spettacolo del magma infuocato! Che si canti l’antico splendore!

Il sincretismo ha permesso ai siciliani di sopravvivere a ogni invasione, a tutte le disillusioni e gli scacchi della storia. Ma li ha resi, anche, adattabili a quel fenomeno che è la mafia. La quale nasce, è bene ricordarlo, nei campi, con i gabellotti e i campieri. Nasce dalla proprietà e dallo sfruttamento, la mafia; non dall’illegalità, ma dal sistema feudale. Gli aranceti della piana, i campi di grano puntellati dai papaveri che tanto spazio ebbero ne Le città del mondo di Vittorini, che coltivava l’illusione di uno sviluppo industriale a misura d’uomo per la sua Sicilia, sono di una bellezza mozzafiato. Ma rappresentano anche uno scacco della ragione.

Non parlerò di Portella della Ginestra, delle stragi di sindacalisti e contadini, dell’invasione (ops.. liberazione) americana dell’isola. Non lo farò, perché non voglio che il mio umore gioioso di questa giornata primaverile in cui le rondini sono alte nel cielo venga inficiato dalle brutture della storia. E conserviamola, la gioia, conserviamola sempre, ma apriamoli gli occhi al cospetto di quel non luogo meraviglioso che la Sicilia, l’Italia, il mondo in cui viviamo, potrebbe trasformarsi.

Un non luogo è l’utopia, la quale non è ispirata da un’idea, ma da un sentimento. Per questo è così viva nell’adolescenza, nella giovinezza. Con il passare del tempo, lo sguardo si annebbia, la vista si abitua alle storture del potere. Si inaridisce il cuore. Confiniamo il sentimento in uno spazio ristretto, spesso ridotto al puro e semplice ego. Scriveva Luigi Pintor che “di tutte le rivoluzioni o riforme, plebee o aristocratiche, proletarie o borghesi, culturali o morali, nessuna è mai stata progettata come sentimentale”. Perché? Per paura, secondo me. Paura di sé stessi, delle proprie emozioni. Paura di mettersi in gioco. Paura del giudizio degli altri. Eppure è proprio in quel grumo represso di emozioni che troviamo la verità del nostro essere. Attraversiamo tutti il dolore, la disillusione, la frustrazione delle speranze. Reagire con cinismo ed egoismo significa chiudersi in quel dolore, in quella disillusione, in quella frustrazione. Non è facile conservare il bisogno di sognare e immaginare, ma è una necessità, tanto quanto nutrirsi e respirare. Possiamo respirare a pieni polmoni, col diaframma, o lasciarci stringere dall’ansia. Allo stesso modo, possiamo confinare la facoltà immaginatrice nel recinto dell’affettività privata, limitarla al nostro ego o estenderla a riguardare la società e la storia.

Conservare la speranza in una società più giusta significa impegnarsi per costruirla: agendo su noi stessi, migliorandoci umanamente, aprendoci a quel dialogo capace di minare le fondamenta del nostro essere, se costruite su pilastri che si sgretolano. Significa educarsi ed educare al rispetto dei diritti fondamentali e al senso critico, soprattutto visto lo spreco di risorse intellettuali che caratterizza il nostro tempo. Significa utilizzare gli strumenti culturali per innalzare l’animo, consapevoli che il respiro non è solo una questione fisiologica. Significa, in definitiva, crescere nell’amore di sé e dell’altro, ma con i piedi ben piantati a terra.

Nel Poema fisico e lustrale, dalla sua Akragas (Agrigento), Empedocle concepisce l’essere regolato da due forze principali: l’odio e l’amore. Se lo Sfero corrisponde all’armonia degli elementi, tenuti insieme dall’amore, il Caos è il momento della disgregazione, dell’individualizzazione a opera dell’odio. Ecco, credo che nel succedersi, anche repentino, di questi momenti, tutti noi formiamo il nostro essere: sia come individui che come società. Secondo Neruda a separare gli esseri non è l’avversità, ma la crescita. Ecco allora che superare i momenti di disgregazione, in cui prevale l’odio, è fondamentale. Come farlo? Credo che praticare la gioia possa essere un ottimo punto di partenza.

Glenda Dollo

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