Geneviève Makaping come Jhumpa Lahiri, per raccontare in italiano lo sguardo migrante al femminile

La donna che non accetta, che dice no, è questo il significato recondito del nome della scrittrice camerunense Geneviève Makaping, è lei stessa a svelarcelo all’inizio del suo saggio autobiografico dal titolo incisivo di Traiettorie di sguardi. E se gli altri foste voi?

Geneviève Makaping è una donna perfettamente integrata nella realtà italiana, nella quale vive dal 1988, qui ha conseguito il dottorato di ricerca in “Tecnologie didattiche multimediali e sistemi di comunicazione” diventando docente di Antropologia culturale presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università della Calabria. A queste attività aggiunge anche quella di giornalista presso alcune reti locali e riviste. Una donna realizzata dunque, che ha saputo superare l’ostacolo della lontananza dal suo luogo d’origine, il Camerun, e come altri uomini e donne provenienti da altri paesi è arrivata in Italia rischiando la propria vita pur di avere una possibilità di riscatto e un futuro. A prescindere dalla personale realizzazione però, il suo merito è stato quello di aver dato voce a chi come lei ha subito e subisce ancora la violenza di uno sguardo superficiale e accusatorio, che spinge al margine chi ne è oggetto. Per chi appartiene al margine infatti dialogare con il centro è una sfida comunicativa non indifferente, poiché implica la scelta di una lingua adatta alla comunicazione e molto più importante perché comporta la volontà di aprirsi al dialogo con l’altro. Per questa ragione Makaping sceglie di scrivere in italiano, perché è a noi italiani che intende rivolgersi.

«Sono minoranza, in quanto cittadina camerunense in mezzo alla maggioranza italiana. […] Non sono, né voglio essere, una minoranza piagnucolona».

La scrittrice non prende la parola per giudicare, non legittima il suo sguardo trincerandosi dietro la sua appartenenza a una minoranza, anzi paventa questa possibilità, un limite che la farebbe ragionare come il suo colonizzatore. Makaping ci parla dello sforzo che implica l’osservazione e del dubbio che in lei sorge quando indirizza il suo sguardo verso l’altro da lei. Leggendo le sue parole ci rendiamo conto così di quanto sia viziato il nostro modo di ragionare, etnocentrico per eccellenza e immune al dubbio.

Makaping ribalta dunque la prospettiva, rivolge l’attenzione verso di noi, rompe il silenzio che le aveva impedito per una parte della propria vita di ribattere al pregiudizio, di ribellarsi al potere accusatorio dello sguardo e ci rende oggetto della sua analisi. Rende noi occidentali, noi bianchi, noi italiani, per la prima volta “Altri”. Tuttavia la sua indagine rimane accurata e lucida, conscia e scevra dal pregiudizio, poiché lei stessa per prima ne ha saggiato la violenza. Nel suo libro Traiettorie di sguardi. E se gli altri foste voi? l’autrice descrive il suo viaggio verso l’Italia, un percorso ad ostacoli che la porterà, attraverso la sua esperienza di vita quotidiana, a indagare le motivazioni che hanno spinto il radicarsi di stereotipi e definizioni limitanti per etichettare ogni forma di diversità.

«Io voglio studiare quelli che hanno fatto di me il risultato delle loro costruzioni sociali e capire cosa c’è dietro gli stereotipi».

Grazie alla prospettiva mutuata dalle discipline antropologiche svela il presupposto che è alla base di questa pratica discriminatoria, ossia la negazione programmatica dell’individualità altrui, che ci educa in tal modo al pregiudizio.

«Io non sono una “donna di colore. Sono una Negra». Con queste parole Makaping rivendica inoltre il diritto di rimpossessarsi di questa definizione, negandone provocatoriamente ogni connotazione negativa e rifiutando le altre etichette che le vengono imposte, come quella di extracomunitaria. Vuole riappropriarsi del diritto di nominarsi, raccontarsi, parlare con la propria voce. Makaping cerca allora di destreggiarsi tra le identità multiple che si trova cucite addosso, appartiene a culture diverse e per questo il suo sguardo ha in dote il valore fondamentale della sua essenza multiculturale, ma possiede altresì la virtù preziosa del dubbio, che forma la sua identità come implicazione tra sé e l’altro, poiché ha la coscienza e l’umiltà di domandarsi della correttezza del proprio osservare.

La prospettiva di genere è un altro elemento fondamentale per analizzare il pensiero di questa scrittrice, infatti è attraverso l’incontro con l’altra, la donna bianca, che Makaping ha approfondito il ruolo della donna nella sua terra d’origine e più in generale in una realtà mondiale ancora fortemente maschilista. In quanto donna la sua condizione risulta essere doppiamente al margine, una duplice alterità che rende la letteratura della migrazione al femminile più sensibile nel recepire la diversità e i pregiudizi che l’avvelenano. Una migrante si confronta infatti non solo con una diversa cultura, con differenti tradizioni e un nuovo modo di comunicare, ma anche con una distinta visione del ruolo femminile nella società, nel mondo accademico e del lavoro, in particolar modo per Makaping, ma più in generale nel contesto sociopolitico del paese d’arrivo. Le donne migranti sono costrette in questo modo a reinventarsi, ricomponendo il loro ruolo e la loro identità come somma di punti di vista differenti.

Questa scrittrice migrante ci offre dunque la possibilità di ascoltare la voce dell’altro e di guardarci dall’esterno, inducendoci a riformulare la nostra identità in termini di pluralismo. Più in generale il merito della letteratura migrante è proprio quello di educare a uno sguardo critico nei confronti della diversità, riconsiderando il nostro stesso essere come alterità al pari delle altre. In quest’ottica Makaping con semplicità rende manifesta una lezione fondamentale: “Le diversità sono sempre almeno due.”

Geneviève Makaping, Traiettorie di sguardi. E se gli altri foste voi?, Rubbettino 2001

Michela Chessa

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