Premessa
Quincas Borba era un folle visionario, un personaggio letterario memorabile perché delle sue idee (condivisibili da nessun individuo sano di mente), anzi, da tutte le sue parole, traspare qualcosa che ormai non esiste più: l’individuo, con le sue manie, le sue paure e la sua incredibile capacità di non prendere nulla sul serio.
Quello che segue è un breve estratto della sua storia, o di quella del suo cane, se preferite, che portava il suo stesso nome. Chi di voi darebbe il proprio nome al suo cane?
– E chi è questo Humanitas?
– Humanitas è il principio. Ma basta, non ti dico di più. Non sei in grado di capire, mio caro Rubión; parliamo d’altro.
– L’importante è che lei parli.
Quincas Borba, che non aveva smesso di gironzolare, si fermò per qualche istante.
– Vuoi essere mio discepolo?
– Lo voglio.
– Bene, capirai poco a poco la mia filosofia. Il giorno in cui la comprenderai del tutto, ah! quel giorno proverai il piacere più grande della tua vita. Perché non esiste vino che ubriachi come la verità. Credimi, l’Humanitismo è il fine e le cose, ed io che l’ho formulato, sono l’uomo più grande del mondo. Guarda. Lo vedi come il mio fedele Quincas Borba mi sta osservando? Non è lui, è Humanitas!…
– Ma chi è questo Humanitas?
– Humanitas è il principio. In ogni cosa c’è una certa sostanza recondita, identica, un principio unico, universale, eterno, comune, indivisibile e indistruttibile, o, per usare il linguaggio del grande Camoens:
Una verità che cammina nelle cose,
che vive nel visibile e nell’invisibile.

Dunque, questa sostanza o questa verità, questo principio indistruttibile, questo è Humanitas. Così lo chiamo io, perché contiene l’universo, e l’universo è l’uomo. Inizi a capire?
– Poco. Ma anche se fosse così, come mai la morte di sua nonna…?
– Non c’è morte. L’incontro di due espansioni, o l’espansione di due forme, può determinare la scomparsa di una di esse. Ma in generale, non c’è morte, c’è vita, perché la scomparsa dell’una è la condizione della sopravvivenza dell’altra, e la distruzione non riguarda mai il principio universale e comune. Da ciò dipende il carattere conservatore e benefico della guerra. Immagina un campo di patate e due tribù affamate. Le patate bastano appena a sfamare una delle tribù per mettersi in forza e spostarsi dall’altro lato della montagna, dove ci sono patate in abbondanza. Invece le tribù si dividono in pace le patate che hanno, non si nutrono a sufficienza e muoiono di inedia. La pace, in questo caso, è distruzione; la guerra, conservazione. Una delle tribù che stermina l’altra e la espropria della terra. La conseguenza è l’allegria della vittoria, gli inni, le acclamazioni, le ricompense pubbliche e tutti gli altri effetti delle azioni belliche. Se la guerra non fosse questo, tali dimostrazioni non si avvererebbero, per la semplice ragione che l’uomo commemora e ama solo ciò che gli conviene, e per il motivo razionale che nessuna persona elogia un’azione che potrebbe distruggerla. Ai vinti, odio o compassione; al vincitore, le patate.
(J. M. Machado de Assis, Quincas Borba, 1947, pp. 16-17, traduzione di Franco Malanima)