Le donne fiere, indipendenti e consapevoli di Muriel Spark

Ero da tempo un appassionato lettore dei romanzi di Muriel Spark quando dieci anni fa ebbi l’occasione di incontrare per lavoro un editor che l’aveva conosciuta. Saputo della mia infatuazione per i libri dell’autrice, una sera a cena in un ristorante di Bologna questo signore mi raccontò di come, prima della scomparsa di Muriel Spark, fosse solito passare i sabati pomeriggio nella casa toscana in cui la scrittrice scozzese aveva vissuto per decenni. Trascorsi così la serata ascoltando l’uomo davanti a me riferire del talento, dell’arguzia e dello spirito di Muriel Spark. Avevo già letto il preciso resoconto che Alberto Arbasino aveva scritto del suo incontro con la Spark in Lettere da Londra, ne ero rimasto anzi deliziato, eppure di fronte a un uomo in carne e ossa che l’aveva frequentata di persona e mi narrava con dovizia di dettagli le conversazioni avute con lei, fui sorpreso a provare un moto di stizza come un qualunque adolescente geloso alla prima cotta. Soprattutto, non sentii quella sera parlare dei libri di Muriel Spark e nello specifico di quelli che ancora oggi in Italia sembrano finiti in un limbo editoriale.

Romanziera e poetessa, autrice di racconti, saggi e biografie, Muriel Spark nacque a Edimburgo nel 1918 da padre ebreo di origine lituana e madre inglese cresciuta nella fede anglicana. Trascorsi gli anni della Seconda guerra mondiale tra le file dell’Intelligence britannica, abbondonato un marito soggetto a frequenti e talora violente crisi depressive, Muriel Spark cominciò a scrivere seriamente solo dopo la sua conversione al cattolicesimo. Supportata in questa sua scelta da Evelyn Waugh e Graham Greene, altri due scrittori inglesi convertiti, Muriel Spark giustificò la sua conversione asserendo che la fede cattolica conferiva alla sua scrittura la possibilità di vedere l’esperienza umana nel suo complesso, restando però molto lontana dall’immagine tragica e sentimentale che della religione avevano i popoli mediterranei, soprattutto conservando senza scalfitture il suo affilato senso dell’umorismo. Dopo aver vissuto per breve tempo a New York, si trasferì prima a Roma e poi in Toscana, dove visse fino alla morte avvenuta nel 2006.

Protagoniste delle storie di Muriel Spark sono state fin dagli esordi donne fiere, indipendenti e consapevoli, in grado con sagacia e sguardo corrosivo di riconoscere il banale male quotidiano nella realtà urbana del dopoguerra, con le sue macerie fisiche e morali, i cambiamenti del costume e le nuove mode che in maniera inesorabile prendevano piede mentre l’incubo dei bombardamenti si allontanava e nuovi incubi, all’apparenza innocui, si infiltravano nelle menti ansiose di spensieratezza. Se le prime eroine della Spark – dalla Caroline de I consolatori, suo primo romanzo del 1957, alla Sandy de Gli anni fulgenti di Miss Brodie, il suo libro più celebre, del 1961 – si trasformano con il passaggio attraverso quel male e approdano a nuova vita, non così accade alle protagoniste dei romanzi successivi, come se, soprattutto a partire dalla fine degli anni ’60, una sorta di pessimismo per il deterioramento del panorama antropologico che la circondava si fosse impossessato della Spark e della sua scrittura. Così accade per la protagonista di The Driver’s Seat, romanzo del 1970, pubblicato in Italia l’anno successivo da Bompiani con il titolo Identikit e introvabile oggi nel nostro paese. Dipendente presso uno studio contabile di una imprecisata città del Nord Europa, Lise è una donna schiva che all’improvviso parte alla volta di una mai nominata città nell’Italia meridionale alla ricerca di un fantomatico uomo dei sogni. Calata in un incubo bergmaniano, votata alla perdita piuttosto che alla ricerca di sé, Lise vive una alienazione senza scampo e già dal terzo capitolo Muriel Spark ci annuncerà la morte della sua protagonista con una memorabile anticipazione, tecnica nella quale l’autrice era maestra sopraffina. Da qui in avanti il romanzo non sarà più la storia di una donna che si perde cercando la propria morte per mano altrui, quanto piuttosto uno spietato e asciutto resoconto metafisico del perché Lise ha cercato la propria morte per mano altrui, approdando a una conclusione che è una visione di ilare e sinistra cupezza sul tramonto di un certo modo di intendere la persona umana e i suoi valori spirituali.

Tra i libri preferiti dalla stessa Spark, The Driver’s Seat è stato riproposto in una nuova edizione assieme all’opera complessiva dell’autrice in occasione delle celebrazioni per il centenario della sua nascita tenutesi a Edimburgo nel 2018, riconoscendole di essere – come aveva fatto notare John Updike – “uno dei pochi scrittori che abbiano abbastanza risorse, coraggio e grinta da modificare la macchina della narrativa”.

Alex Marcolla

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