Bernardina Pisa: virtuosa, rivoluzionaria, peccatrice

Una zona di Napoli, un groviglio di case costruite ai limiti delle paludi, con le vie sporche e buie, i vicoli che formavano un intrico di incroci, anditi, portici scuri che si incastravano torcendosi come un budello: era questo il “Buvero”, il Borgo di Sant’Antonio. Poco lontano Piazza Mercato, un enorme slargo di forma semicircolare sovrastata da una cupola, circondata da edifici che ospitavano a livello della strada botteghe e locande con al centro, una croce, una fonte, una gogna e il patibolo con la forca per le esecuzioni. Tra il Mercato e il Buvero un tempo scorrevano i torrenti delle acque piovane che provenivano dalle colline circostanti, le donne vi lavavano i panni e le fanciulle vi si immergevano, per questo quell’area aveva preso il nome di Lavinaio. Poco distante la spiaggia di rena nera del Carmine.

A partire dal ‘400, e ancora oggi di questi luoghi si rintraccia pressoché inalterata la fisionomia, la struttura urbanistica del passato e di conseguenza il modo di vivere. È qui che dobbiamo immaginare la vita di Bernandina Pisa, un luogo dove ogni nefandezza trovava rifugio. Nacque nel 1636, vicino alla Basilica del Carmine, dove in luglio, per la Festa della Madonna del Carmine, veniva costruito un castello di legno e cartapesta, a protezione del quale c’erano dei giovani vestiti da arabi contrapposti a un contingente che vestiva abiti ordinari.

Quell’anno, Bernandina, durante la festa della Madonna Bruna, vide tra i giovani vestiti da arabi, un ragazzo dai capelli biondi, gli occhi scuri e il viso dal colorito bruno e fu così che si compì il suo destino, quel giovane la chiese in sposa. Dal giorno della sagliuta e per altri a venire, pendevano dalle abitazioni di Bernandina, di Tommaso e dei parenti di entrambi, coperte e tappeti, così, secondo il costume, si dava conoscenza al pubblico della promessa di matrimonio tra i due.

Bernandina Pisa sposò Tommaso Aniello d’Amalfi appena sedicenne, lui, di anni ne aveva ventuno. Nonostante la giovane età, erano anime in rivolta, persone vere e passionali. Oltre a fare il pescivendolo, Tommaso faceva, insieme alla moglie, il contrabbando. La farina messa in una calza e avvolta in una coperta a mo’ di lattante non funzionò come stratagemma, sicché Bernandina fu condotta in carcere. Nessuno aiutò Tommaso a far scarcerare Bernandina e lui cominciò a formulare piani di vendetta, di rivalsa per rivendicare la popolazione partenopea dagli oppressori.

Giurò vendetta per il suo popolo e diventò Masaniello. Bernandina seguì Masaniello, in tutto e per tutto, lei era al suo fianco nella vita e nella lotta per la libertà. Ed era al suo fianco anche quando lui smise i panni da pescivendolo per indossare il soprabito da gentiluomo. Andarono insieme a Palazzo Reale, quando Masaniello fu coperto di onori e di lodi dal duca d’Arcos, lei si presentò come viceregina delle popolane, mostrandosi impavida, coraggiosa e ribelle come un’autentica femmena partenopea.

Gli esiti della Rivolta di Masaniello li conosciamo, i suoi familiari furono perseguitati, talvolta uccisi. Bernandina fu risparmiata, portava in grembo il frutto del suo amore rivoluzionario, la tennero prigioniera e ne violarono ogni diritto, la umiliarono, perché donna.

Tornata a Napoli la ritroviamo presso il basso di una capera grossa e laida, meretrice e strozzina, la Zeza. Bernardina come la Zeza viveva tra prostituzione e il lavoro di capera. Abitavano in un’unica stanza che fungeva da cucina, tinello, camera da letto e bagno. Per dormire aveva una specie di giaciglio, una sacca di stoffa lercia, riempita di fieno e di foglie di granturco, adagiata su una struttura di legno marcio sostenuta da quattro sgabelli sgangherati. Dopo il parto lei ritornò sfacciatamente bella, la prostituta più desiderata della città. Dopo la morte di Zeza, la giovane vedova rimase in quel basso accogliendo uomini di tutte le età e ranghi, in quella parte di Napoli patria di ribalderia, stomaco e viscere di quella città in perenne agitazione. Morì di peste nel 1656.

Bernandina pare sfuggire alla storia, alla memoria, al racconto. Ora possiamo ricordarla così come una donna del popolo napoletano.

Laura Bufano

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