Dobbiamo aspettare fino a giovedì? Impazzirò al pensiero di non averti stasera, qui, dentro di me. Ferdinando…
Oggi mi hanno fatto un massaggio, fuori c’era la musica, la gente urlava, ma nella mia stanza sentivo soltanto il lento strofinio delle mani che scorrevano sulla pelle, l’olio era caldo e mi faceva il solletico all’inizio, poi ho chiuso gli occhi e ho immaginato che fossero le tue mani… Tu eri qui, mi accarezzavi baciandomi le spalle e sussurravi dolci segreti al mio collo…
Camilla
Le parole e i gesti si confondono e non capiamo se quello che sentiamo lo stiamo gridando o sta succedendo davvero… una mano ti tiene i capelli e te li tira leggermente, un gesto che ti fa sentire che ti tengo sotto il mio controllo ma allo stesso tempo mi sento in balia dei tuoi movimenti in risposta ai miei sempre più forti, lenti e profondi, lenti e profondi. Con l’altra ti abbraccio la schiena per tenerti stretta come se fossi una colomba e stessi per volare via e io volessi trattenerti su questa terra.
Ho paura che se mi scrivi un’altra lettera come quella di ieri la userò come porta di ingresso per una dimensione molto personale e con gli occhi chiusi inizierò ad accarezzarmi, mentre mi guardo immaginando di guardarmi con i tuoi occhi.
Tuo servo fedele, Ferdinando Gonzaga
P.S. Se sono stato troppo esplicito, è colpa tua, mia bella ardizzina. Hai avviato un processo irreversibile e dovrai accettarne le conseguenze.
Oggi mentre mi facevo il bagno…
Mentre l’acqua scorreva giù lungo il mio collo, il seno, la pancia e le cosce, ho immaginato che fossero le tue labbra e ho incominciato a sentire il calore del tuo corpo vicino al mio e le mie mani hanno incominciato a scivolare verso il basso, ho sentito un piacere intenso che nasceva dallo stomaco e si spargeva nel resto del corpo. Sentivo che da dietro mi accarezzavi il seno e mi baciavi il collo, ti sentivo crescere e pulsare e perdevo completamente il controllo, mi spingevi gentilmente contro la parete e penetravi nel più profondo mentre io sussurravo il tuo nome.
Tua Camilla Faà
Che voglia di essere già in quella casa e restarci per due giorni, chiusi a chiave, uscire solo per mangiare e poi di nuovo nudi, esplorare i tuoi gemiti, mischiare i nostri odori, bere i nostri sapori, assetati dal desiderio del corpo. Ma il tuo corpo non sarebbe così eccitante se prima non ci fosse questo coinvolgimento che sento crescere giorno dopo giorno e nutrirsi di quello che ci stiamo promettendo nell’attesa di averlo, di mangiarlo avidamente: impossibile saziarsi dopo aver scoperto che è così buono come lo immagino.
Ecco, mentre mi muovo dolcemente e ti spingo sempre di più contro quella parete bagnata, mi accorgo che il ritmo sta aumentando fuori dal mio controllo e il respiro che ti soffio sul collo e si mescola al tuo si sta facendo più affannato, ti sussurro qualcosa all’orecchio, più eccitato che mai, ti tengo stretti i capelli e sento che intanto tu, stravolta dalle tue stesse parole, ripeti qualcosa di irripetibile, ed è quello il momento in cui ti stringo come se stessi naufragando e tu fossi la mia unica salvezza, ancora una volta, un’altra, un tremito bellissimo e un respiro che sembra un grido o una liberazione dell’anima.
Il calore dentro di te è bruciante. Lo lasciamo scivolare via con l’acqua, altro ancora ne arriverà, finché ci sarà vita nel corpo almeno quanta ce n’è adesso in questa testa che tu stai facendo impazzire.
Non vedo l’ora che tu mi descriva ancora quello che pensi, senza il timore di essere volgare, perché scrivere alla fine è proprio questo, perdere il timore del giudizio, avere il coraggio di dire quello che pensiamo, una volta tanto.
Io utilizzerò queste immagini come un rebus per ricomporre quello che avrò davanti giovedì sera, l’incarnazione del desiderio, il tuo corpo nudo nelle mie braccia, i tuoi seni eretti sotto queste stesse mani che adesso fremono maleducate, e quella bocca che non ho osato toccare l’ultima volta, in quel giardino così vuoto, anche se ne avevo una voglia incredibile, perché sono uno stupido forse o perché non era ancora il momento, chissà come nascono certe idee, da dove vengono.
Tuo Ferdinando, marito e servo fedele
Sono ancora sveglia, come uno di quei grilli là fuori, non riesco a dormire perché continuo a rileggere la tua lettera e a desiderarti sempre di più, è una vera tortura, piacevole ma comunque una tortura. I giorni non passano abbastanza in fretta e mi sento impazzire dal desiderio di riempirti di carezze.
Quella sera, dopo la festa per il povero Valenti, quando ti ho salutato non ti ho neanche abbracciato e me ne sono pentita. Non so come mai, sono stata una stupida, o forse volevo mantenere un rapporto formale perché sono solo una delle tue dame. C’è stato un momento (o forse più di uno) quando eravamo a cena, in cui continuavo a fissare le tue labbra e pensare quanto avrei voluto baciarle. Avrei voluto non andare a lezione di canto con le altre e passare il resto della giornata con te. Di certo se avessi provato a baciarmi nel giardino non ti avrei fermato, ma forse, come hai detto tu, non era il momento giusto.
È da giorni che penso a come ci saluteremo giovedì. In realtà non ne ho la più pallida idea, ma se mi prendessi improvvisamente e mi baciassi appassionatamente di certo non mi lamenterei… il solo pensiero mi eccita.
Ora provo a dormire, ma so che sognerò te e mi risveglierò respirando affannosamente, con ancora la sensazione di averti avuto tra le mie gambe e aver goduto tutta la notte.
Camilla
La sensazione che preferisco in questi giorni così lunghi è che nello stesso momento in cui sto pensando a qualcosa lo stai facendo anche tu.
Quanto ti desidero, Camilla… Non puoi neanche immaginarlo.
Forse giovedì non aspetterò che arriviamo in Mombaruzzo, appena ci vediamo a corte ti porterò in un posto per mano e tu ti fiderai di me, senza dire nulla, ti lascerai trascinare via dal rumore della città per entrare in una dimensione segreta, ti lascerai spogliare con la fretta degli assetati, baciare dappertutto, accarezzare prima piano poi più forte e ti lascerai penetrare fino in fondo, fino a dove avrò forza, chiusi a chiave da qualche parte, fuori il caldo e le voci, dentro soltanto i nostri gemiti forti ma anche silenziosi perché saranno un nostro segreto. Mi lascerai fare e non te ne pentirai, concentrata a godere come se non avessi parole ma solo urla leggere: animali senza ragione. E solo allora, con i vestiti a metà, affannati e eccitati più che mai, sentiremo il petto schizzare via e avremo finalmente il tempo di dirci: buonasera.
F.
Mi fido di te ciecamente, portami dove vuoi e fammi perdere la ragione, penetrami ripetutamente e toccami e baciami… Ogni parte del mio corpo ti desidera ardentemente, Ferdinando, non vedo l’ora di avvolgerti tra le mie braccia e non farti più scappare. Poveri i nostri servi della casa in Mombaruzzo, non chiuderanno occhio tutta la notte ma almeno godranno del concerto.
Sto preparando le valige adesso e sto cercando di decidere cosa indossare giovedì, qualcosa di facile da togliere.
Ogni volta che rileggo o ripenso a questa frase, “Quanto ti desidero, Camilla… Non puoi immaginarlo,” mi vengono i brividi.
C.
Non so se hai deciso cosa indossare giovedì, mia bella Camilla, ma io porterò con me un accessorio per completare il tuo abbigliamento: un foulard, che userò per bendarti mentre ti conduco per mano in un posto in cui ho preparato una sorpresa per te.
Tuo Ferdinando
Sto per partire, darò questo biglietto a una domestica, ma non sono sicura che riuscirai a leggerlo in tempo. Credo di aver capito di quale sorpresa si tratta… Sono senza parole e senza fiato. Non vedo l’ora di essere lì. Puoi usare il foulard anche per legarmi. Potrai fare di me tutto ciò che vuoi, mio duca e padrone.
Tua fedele Camilla Faà
(F. Iodice, Matroneum, Edizioni Il Foglio 2017)