Il fuoco liberatore nella vita coraggiosa di Tina Modotti

Turni di lavoro pesanti e senza tutele, una paga misera che garantisce solo la sopravvivenza, la filanda nei primi anni del ‘900 sostituisce troppe volte la scuola e anche Tina Modotti per lo stato di bisogno della famiglia è costretta ad abbandonare lo studio per la fabbrica. Ha solo dodici anni, il padre è emigrato a San Francisco con la figlia maggiore, in cerca di fortuna, dopo aver perso il lavoro per le sue idee anarchico-socialiste. Il ricordo delle feste del Primo Maggio sulle spalle del padre e l’unico diversivo oltre il lavoro, cioè la frequentazione dello studio di ritrattistica fotografica dello zio Pietro, fratello del padre, non acquietano Tina che vuole altro per la sua vita. Udine e la povertà le stanno strette, il patrimonio identitario e ribelle del padre la spinge a partire per San Francisco, dove trova lavoro in una fabbrica di camicie e inizia a guadagnare discretamente. La grande metropoli la coinvolge con sollecitazioni artistiche e un’offerta culturale varia. Si cimenta nel teatro ottenendo risultati soddisfacenti, saltuariamente fa la modella, conosce un poeta di origini franco-canadesi Roubaix de L’Aubrey Richey, dagli amici chiamato Robo, e se ne innamora. Entrambi adorano la poesia e l’arte, dipingono tessuti con la tecnica del batik e la loro casa diventa un punto d’incontro per artisti e intellettuali liberal. La coppia è poi a Los Angeles dove vive la madre di Robo, la città del cinema offre l’opportunità a Tina di tre ruoli da protagonista in tre film muti prodotti dalla  Metro-Goldwyn-Mayer, l’unica pellicola che però sopravvive è The Tiger’s Coat (Pelle di tigre) del 1920. La Modotti è delusa dai giudizi poco lusinghieri sulle sue capacità di recitazione, mentre è apprezzata la sua avvenenza, rifiuta pertanto la bellezza come mezzo per fare strada nel cinema e volta pagina con determinazione.

A fare breccia nei suoi desideri giunge l’eco di una stagione culturalmente intensa che il Messico sta vivendo, il cosiddetto “Rinascimento Messicano”, tutto risuona promettente per gli artisti, si ricercano nuove forme espressive, la società domanda più giustizia sociale, Tina non vorrebbe mancare all’appuntamento. Il Messico le toglie il compagno poeta che muore per vaiolo ma le riserva amicizie nuove, in un clima politico e culturale post-rivoluzionario, i grandi pittori muralisti come Diego Rivera e Clemente Orozco, che appartengono al Sindacato artisti e sono i fondatori del giornale “El Machete”, diventano frequentazioni assidue.  

Al vivace clima culturale si aggiunge la scoperta della fotografia dovuta al suo maestro, nonché nuovo compagno, il fotografo californiano Edward Weston, a cui nel 1926 da Los Angeles Tina scrive  “da questo momento tutto ciò che possiedo deve essere legato soltanto alla fotografia – il resto – anche le cose che amo, cose concrete – le condurrò attraverso una metamorfosi – da concrete le trasformerò in astratte – per quanto mi riguarda – e così potrò continuare a possederle per sempre nel mio cuore”.

Eppure sono già da tre anni che scatta ritratti commerciali con le stesse macchine fotografiche del suo Edward Graflex e Korona, posa nuda per lui con una sensualità aperta e disinibita, mai però volutamente trasgressiva, mentre affina la sua espressività sia per l’inquadratura che per la ricerca del soggetto, riuscendo ad esporre i suoi lavori con il giudizio favorevole della critica.  La sua ricerca estetica, quasi maniacale, si rinnova profondamente nella consapevolezza che l’obiettivo fotografico è una forma di denuncia sociale e la fotografia può operare la trasmutazione simbolica della realtà.

Le allegorie della rivoluzione messicana diventano fotografie che raccontano la lotta dei lavoratori più poveri, i sombreros della parata dei lavoratori del 1926 coniugano, con originalità di stile, il realismo dell’immagine a una dimensione di forme circolari, quasi astratte. Tina intende manifestare le sue idee comuniste e sceglie oggetti capaci di una narrazione, un esempio è la serie di fotografie dedicata a falce e martello, composizioni con immagini essenziali ma fortemente evocative, basate su oggetti scelti che diventano vere e proprie “icone rivoluzionarie” come il sombrero, la cartucciera, la chitarra e la pannocchia. Materiale fotografico sparso in collezioni private, archivi pubblici e musei, tra l’Europa e l’America, di cui un inventario completo non esiste, benché esistano collezionisti appassionati delle sue foto degli anni ’20 come la popstar statunitense Madonna.  La fotografia e la passione per Edward Weston intanto vengono sostituite da altri interessi, altri compagni saranno vicini a Tina, Xavier Guerrero che fu uno dei pionieri del movimento muralista messicano, Julio Antonio Mella tra i fondatori del Partito Comunista cubano nel 1925 che, clandestino in Messico, viene ucciso mentre rientra a casa con lei, infine il friulano Vittorio Vidali con il quale, entrambi attivi sotto falso nome, condivide la resistenza in Spagna durante la guerra civile.

Il 1927 si iscrive al Partito Comunista messicano, volta pagina ancora una vola, e come ricorda il suo amico cileno Pablo Neruda nelle memorie “Gettò la macchina fotografica nella Moscowa e giurò a sé stessa di dedicare la sua vita ai più umili compiti del Partito Comunista…”. Nel febbraio 1930 il Partito Comunista messicano viene messo fuorilegge e Tina Modotti viene arrestata dopo l’attentato (fallito) ai danni del neo-eletto presidente messicano Pascual Ortiz Rubio. Il governo approfitta per una sua versione degli eventi, con una campagna diffamatoria che lascia intendere un complotto della sinistra, per questo ordina a questa “straniera indesiderata” di abbandonare il paese. Tina è costretta con un decreto di espulsione a lasciare il suo amato Messico, si arruolerà nel Soccorso rosso internazionale (anche come agente segreto) dove si prodiga verso i bambini, i malati e i poveri, ma la fierezza di un tempo e l’energica determinazione hanno le ore contate, la sua vita non le consentirà di invecchiare. A soli 46 anni nel 1942, infatti, Tina Modotti muore in un taxi, dopo una cena con amici, per un arresto cardiaco. Si parlò anche di un’eliminazione comunista, di rapporti poco chiari tra il suo penultimo compagno Julio Antonio Mella, assassinato in circostanze mai del tutto chiarite e il suo ultimo compagno Vittorio Vidali.

Il circolo di amici, intellettuali ed estimatori la ricorda dopo due mesi dalla morte nella retrospettiva di cinquanta fotografie organizzata a Città del Messico e un piccolo opuscolo illustrato viene pubblicato, con la sua biografia e le testimonianze di quanti la conobbero, che sarà di grande aiuto per la sua “riscoperta”. Un talento riconosciuto, una personalità e una bellezza che sono fascino puro per quanti la conobbero, amici poeti le dedicarono dei versi:

E’ vero. Non sei morta. Tu non dormi perché hai colto il fine che speravi. Dammi la mano, sorella, camminiamo insieme. Oggi tu stai parlando, qui. Vieni. Ascoltiamo.
(Rafael Alberti)

Di un altro grande della poesia sono i primi versi epitaffio sulla tomba messicana di Tina, mentre gli ultimi sono riportati su una stele commemorativa voluta ad Udine dal Comitato Tina Modotti e recitano:

Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade polverose, qualcosa si mormora e passa, qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo, qualcosa si desta e canta. Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome, quelli che da tutte le parti, dall’acqua, alla terra, col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo. Perché non muore il fuoco.
(Pablo Neruda)

Il silenzio lungo più di trent’anni su Tina Modotti, pur con tutte le ipotesi e giustificazioni, è una stonatura forte per una vita così intensamente vissuta, per una produzione fotografica di innegabile risonanza, per un coraggioso anticonformismo. Sarà Udine la città natale che in una manifestazione sulla guerra civile spagnola riceverà da Vittorio Vidali, tra i relatori e ultimo suo compagno, una copia di quel prezioso opuscoletto messicano, punto di partenza di un’appassionata ricerca di materiale biografico e fotografico, oltre che documentario, condotta da Riccardo Toffoletti. Il 22 marzo 1973 la ricerca consente di inaugurare la prima mostra italiana a lei dedicata, a Tina Modotti il Palazzo municipale, mentre dal 1989 un comitato che porta il suo nome farà il resto proseguendo le ricerche sulla documentazione, le opere e le testimonianze riguardanti l’artista, fotografa e attivista politica. La facciata della sua casa natale, grazie all’artista friulano Franco Del Zotto, nel 2012 diventa un racconto vivente della vita di Tina, grazie alle parole tratte dalle testimonianze di chi l’ha conosciuta. Le lettere, ora dritte ora all’inverso, si rincorrono incise sulla parete di calce, restituendo le sonorità e le dissonanze di questa vita coraggiosa e sorprendente, alimentata da esperienze individuali ma soprattutto collettive e sociali. La casa oggi è un asilo notturno gestito dalla Caritas, i luoghi sono stati restaurati e la sua destinazione è in piena sintonia con la posizione “comunista” di Tina, mentre la precarietà economica familiare e la precarietà di quanti oggi trovano accoglienza notturna sono le ombre che camminano in questi spazi, cercando quelle risposte che questa leggendaria donna aveva sempre cercato, trovandole in un aiuto solidale.  

Marisa Paladino

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