Donn’Anna Carafa: la più ricca, la più rispettata, la più temuta

Storia d’amore, di tradimenti,  di morte e di fantasmi lungo la costa di Posillipo, lambita dal mare di Mergellina

Palazzo Donn’Anna, mare, bellezza e mistero. Fu costruito su un edificio preesistente noto come La Serena, dimora della regina Giovanna D’Angiò. Si racconta che la regina dopo aver passato notti di passione con i pescatori più vigorosi di Santa Lucia se ne liberava buttandoli a mare dalle finestre di quel palazzo, e, secondo la leggenda, le anime dei giovani amanti ancora vi si aggirano nei sotterranei. La Serena, alla fine degli Anni Trenta del 1600, fu ereditato da Anna Carafa, figlia di Antonio Carafa e moglie di Don Ramiro Guzman, Duca di Medina Las Torres e Viceré di Napoli. La Viceregina fece demolire La Serena per far costruire, a opera di Cosimo Fanzago, nel 1642, uno spettacolare palazzo che portava il suo nome: Palazzo Donn’Anna. Così Raffaele La Capria descrive Il Palazzo: “Palazzo Donn’Anna non era solo un palazzo, era un mondo, talmente vasto che non si finiva mai di scoprirne gli angoli nascosti, scale misteriose e grotte oscure, pozze d’acqua morte e perfino trabocchetti”. Un vero groviglio di fascino e mistero, realizzato in stile barocco, prevedeva tra l’altro un doppio ingresso, uno dal mare ed uno dalla via carrozzabile.

Se ti trovi a Posillipo e ti fermi a guardare il Palazzo non puoi non pensare al passato, ad un passato lontano. Se ti emoziona vedere il mare che lambisce uno dei suoi ingressi e conosci la sua storia non puoi non rievocarla e arricchirla con la tua fantasia. Per la sera dell’inaugurazione del Palazzo, l’altezzosa Anna Carafa aveva organizzato una sontuosa festa. In una notte stellata, in un tratto di mare del golfo di Napoli, dominato da Sua Maestà il Vesuvio, spiccava il giallo napoletano del tufo di quel Palazzo. Da mare, arrivavano le barche ricoperte al loro interno di velluto e illuminate a prua da lampioncini luminosi. Da terra, le carrozze percorrevano viuzze sterrate per condurre a Palazzo le elegantissime signore alla festa. Ad attendere la nobiltà napoletana e spagnola, sulla soglia della sala grande, l’altera e bellissima Donna Anna Carafa. La festa prevedeva di tirare fino all’alba con le danze. Prima però, come di moda alla corte di Francia si assisteva a una rappresentazione teatrale e a quella di una danza moresca. Nel salone era stato allestito un palco e gli attori dovevano essere gli stessi invitati nobili. Interpreti principali di quella sera: Donna Mercede de las Torres, l’avvenente giovane nipote di Donn’Anna, bruna, una vera spagnola nei caratteri che recitava la parte della serva Mirza, e Gaetano Casapesenna, giovane amante di Donn’Anna, da lei definito “il più focoso di tutti gli uomini del mondo”, recitava la parte di un cavaliere. La commedia raccontava la storia di una serva innamorata del suo padrone fino al punto di salvargli la vita e morire con un colpo di pugnale a lui destinato durante un duello. Lui manteneva un contegno distaccato, poi sul finire della rappresentazione ci fu un bacio così veritiero e appassionato da coinvolgere in un caloroso applauso tutti i presenti, tranne Donn’Anna. In quell’occasione la Carafa non era al centro della scena, ma soprattutto non era la più desiderata, l’odio l’accecava. Da quella sera un continuo scontro tra le due donne che ogni giorno morivano d’amore e d’odio. Poi, la giovane Mercedes scomparve senza lasciare nessuna traccia. Fu detto che per trovare un po’ di pace volle andare in un convento lontana da tutto e tutti. Gaetano di Casapesenna cercò Donna Mercede in tutt’Italia e non solo, ma di lei nessuna traccia. Gaetano morì giovane, in battaglia, senza rivedere mai più la sua bella amante. La leggenda vuole che nel Palazzo Posillipino appaia di tanto in tanto lo spettro di Donn’Anna. C’è anche chi sostiene che le oscure presenze siano da attribuire alle anime in pena di Gaetano di Casapesenna e di Mercedes de las Torres destinati a cercarsi in eterno.

Questo quanto dichiarava Matilde Serao in Leggende Napoletane a tal proposito:
Quei fantasmi sono quelli degli amanti? Perché non possiamo anche noi, come voi, spasimare d’amore, anche dopo la morte?

Laura Bufano

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