Le pulsioni e le incertezze del Gesuita perfetto per narrare la lancinante natura umana

Devo al crocevia di spinte composite la rivelazione di alcuni dei libri più inattesi nel mio cammino di lettore. Soprattutto devo all’inusitato incrocio tra le mie predilezioni per la Commedia all’italiana e i saggi ancora troppo poco frequentati di una scrittrice senza precedenti l’apprezzamento di una autentica gemma del nostro ‘900 letterario. In definitiva è grazie al mio trasporto per il cinema di Mario Monicelli e i libri di Cristina Campo se parecchio tempo fa ho avuto la sconfinata fortuna di intercettare Il gesuita perfetto di Furio Monicelli.

Singolarissima e appartata figura di scrittore, Furio Monicelli nacque a Roma nel 1924, penultimo figlio di quel Tomaso Monicelli giornalista, drammaturgo e traduttore che trasmise i suoi molteplici talenti ai numerosi figli, tra i quali spicca il celebre regista Mario. Poco o nulla si conosce di lui fino ai primi Anni ’50, quando a sorpresa due lunghi memoriali in cui il giovane Furio raccontava la propria esperienza di novizio nella Compagnia di Gesù compaiono sulle pagine de “Il Mondo” di Mario Pannunzio. Sarà il primo arroventato nucleo del romanzo che quasi dieci anni dopo desterà l’ammirazione di critici e scrittori già affermati e gli conferirà quella fama da lui avvertita come una gabbia da cui scantonare. Il gesuita perfetto esce nel 1960, Elsa Morante e Goffredo Parise ne restano folgorati, Paolo Milano ne scrive con attenzione e con partecipazione ne consiglia la lettura, ma fu in primo luogo Cristina Campo, destinata a diventare una delle più ineffabili poetesse della nostra letteratura, a legarsi per intero al narrato biografico del libro e a dedicare al suo autore ben due estesi e sbalorditivi articoli che trasformati in saggi sono poi confluiti nel volume Sotto falso nome. L’anno seguente uscirà un altro romanzo, I giardini segreti, accolto in maniera altrettanto calorosa. Superato lo scoglio del secondo romanzo, Furio Monicelli dimostrava di possedere un inoppugnabile talento come narratore e muovendosi oltre le proprie vicende personali, era stato capace di intercettare in entrambi questi libri i travagli esistenziali che muovevano una intera generazione nata sotto la dittatura fascista e cresciuta in un dopoguerra smarrito tra miracoli economici, ricerca di giustizia sociale e urgenza di nuove libertà. La fama giunta all’improvviso e le sollecitazioni non desiderate della civiltà intellettuale del suo tempo lo portarono a mutare direzione in maniera energica. Così com’era apparso, Furio Monicelli scomparve, preferendo scegliere dell’altro per se stesso così come difformi erano le scelte dei protagonisti dei suoi due romanzi. Da qui le innumerevoli voci circolate negli anni successivi: marinaio di corvetta, portiere d’albergo, impiegato in una agenzia turistica, pubblicitario, collaboratore della BBC. Di certo si sa che ha viaggiato e che non ha inseguito con il suo ritiro quel desiderio di diventare icona così comune a tanti reclusi letterari celebri del Ventesimo secolo, ha soltanto vissuto la propria vita. Ricomparirà sulla scena letteraria al volgere del nuovo millennio, quando ormai in pensione dopo aver insegnato in un liceo artistico a indirizzo musicale presso un conservatorio milanese, accetterà di rivedere il romanzo che quasi quarant’anni prima tanta ammirazione gli aveva portato. La nuova edizione de Il gesuita perfetto uscirà nel 1999 con il titolo Lacrime impure, seguito un anno più tardi da L’amore guasta il mondo, versione riscritta da cima a fondo del suo secondo romanzo. Ci sarà il tempo per una rinnovata celebrità grazie al film In memoria di me di Saverio Costanzo, tratto dal Gesuita perfetto e interpretato in modo mirabile da un efficacissimo Filippo Timi. Complice la maturità conquistata grazie a una vita spesa con pienezza, questa nuova risonanza sarà vissuta da Furio Monicelli senza gli affanni degli anni giovanili fino alla sua morte avvenuta a Milano nel 2011.

Il gesuita perfetto narra del giovane Andrea, delle sue difficoltà di venire a capo delle problematiche quotidiane generate dalla caotica realtà che lo circonda e di come per sfuggire a queste decide di partecipare al mondo in modo diverso abbracciando il noviziato presso i Gesuiti. A una prima sensazione di pace si contrappone ben presto una sempre più profonda insofferenza nei confronti della rigorosa vita claustrale, verso le cui regole inflessibili Andrea comincia a mostrare una esplicita forma di irrequietezza prossima al rifiuto, finendo con il ritenerle responsabili dell’assopirsi del suo forte sentimento religioso. Il sopraggiungere inaspettato di una tenace passione amorosa per fratello Lodovici contribuirà a mettere in crisi del tutto la vocazione di Andrea, convinto ormai che il suo allontanamento dal mondo altro non pare che un tentativo disperato di rifugio dai disordini delle passioni e dai dolori che queste in modo ineludibile possono comportare. Sarà fratello Zanna, un altro novizio in preda a dubbi altrettanto radicali e a strenue domande, a fare chiarezza nella maniera più drastica obbligando Andrea a una scelta precisa. Consapevole dei propri desideri e dell’estrema fragilità della sua vocazione, Andrea sceglierà di proseguire il suo percorso nella Compagnia di Gesù e salutando fratello Zanna che in seguito al loro confronto opterà per la strada opposta, si impegnerà a diventare un gesuita perfetto.

Lontano dalle visioni febbricitanti degli scrittori cattolici francesi coevi a Monicelli e dall’inquieto nomadismo spirituale del quasi coetaneo Carlo Coccioli, Il gesuita perfetto è un modernissimo romanzo nel quale i sovvertimenti, le pulsioni e le incertezze più lancinanti si raffigurano attraverso pressanti dibattitti di idee per mezzo di una lingua scevra da qualsiasi barocchismo e sorretta da un ritmo accanito che non permette al lettore un solo attimo di respiro. Nulla viene lasciato al caso da Monicelli che usa scabre parole per riportare ogni frammento dell’esperienza del suo protagonista e ogni punto di vista dell’avventura interiore dei suoi personaggi, edotto sul fatto che a essere contraddittoria non è la vicenda narrata ma la stessa natura umana, sempre mutevole e sfaccettata e capace di accogliere stimoli divergenti e solo in apparenza inconciliabili, una natura umana che appare ancora oggi ostica da conoscere e indigesta agli occhi di quegli stessi uomini e donne che la manifestano ogni giorno. Al contempo, Monicelli con le sue parole suadenti ci parla di sé tramite i suoi personaggi, ci mette di fronte agli interrogativi tormentosi che lui stesso si è posto e forse per mezzo di questo teso faccia a faccia tra corpo e spirito osa fornirci un brandello di risposta avvolto in quel dubbio costante che sembra essere stata la sua intera esistenza: il solo diritto naturale imposto agli esseri umani è quello radicato nel buon senso di scegliere il modo preferibile in cui vivere.

Alex Marcolla

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