Elsa Morante: “Ed io continuavo a vivere come se fossi viva”

Tanti bambini nell’opera della scrittrice. E un bimbo ha sempre bisogno d’amore, ne è sempre assetato: l’archetipo era Elsa stessa. Le gatte, feline, sinuose, misteriose, capaci di vedere al buio e di captare la luce nell’ombra. Le gatte sono un riflesso dell’anima di Elsa.

Quante volte abbiamo bisogno di ripercorrere, attraversare,  i nostri ricordi per poter comprendere e accettare il nostro vissuto? Con un percorso all’indietro che quasi inconsapevolmente il cervello ci propone e ripropone, ognuno di noi cerca di mettere in ordine la propria vita anche se la vita stessa rimane per ciascuno un mistero. C’è poi chi, con la scrittura, si aiuta a costruire il puzzle della propria esistenza e lancia il proprio messaggio.

La nostra storia comincia nel 1912, a Roma, nel quartiere popolare di Testaccio, quando il 18 agosto venne al mondo Elsa, figlia naturale di una maestra ebrea, Irma Poggibonsi, e di un impiegato postale, Francesco Lo Monaco,  di origini siciliane. Elsa, e i suoi fratelli, furono riconosciuti alla nascita da Augusto Morante, sorvegliante di un’ istituto di correzione giovanile, già marito di Irma, che per sottrarsi alla “vergogna” di non poter procreare usa l’ambiguo inganno. Una storia di famiglia un po’ particolare che vide il suicidio del padre naturale, colui che per Elsa e i suoi fratelli  era “lo zio”. Il suicido, atto cruciale, difficile, doloroso,  purtroppo ricorrerà nella vita di Elsa…

Ha solo 4 anni Elsa quando sente l’esigenza di esprimersi con la scrittura, e lo farà  come autodidatta. Più tardi affermerà che: “ In una società civile il primo diritto di una persona è quello di potersi esprimere, secondo il proprio talento, senza discriminazione né di razza, né di sesso”. La sua produzione comincerà con le filastrocche e le favole per bambini e procederà, fino ai quindici anni, con poesiole e racconti brevi che furono via, via pubblicati. Cresceva Elsa, e raccontava il romanzo della sua vita attraverso varie forme di scrittura e di espressioni artistiche. La casa della fanciullezza al Testaccio rappresenterà il luogo di ispirazione dove farà vagabondare alcuni personaggi dei suoi romanzi. Alla fine del Liceo va a vivere per proprio conto in stanze ammobiliate e la mancanza di mezzi la costringe ad abbandonare l’Università.

Una sera di novembre del lontano 1936, Elsa aveva 24 anni, in una birreria a piazza Santi Apostoli, per merito del pittore Giuseppe Capogrossi, incontra Alberto Moravia. Da quella notte appassionata, che trascorrono subito insieme, inizia la loro lunga e complicata relazione. Nel 1941 si sposano, per volontà di Elsa in chiesa, vanno a vivere nel verde di Villa Borghese, in un piccolo appartamento, ma sono costretti dalla guerra a lasciare Roma anche perché lo scrittore è una figura sgradita al regime. Si mettono in viaggio verso Napoli, ma non riescono a raggiungere la città e si rifugiano nei pressi di Fondi, in provincia di Latina, dove in una stalla vi rimangono per circa nove mesi. Fanno ritorno a Roma e alla loro vita grazie all’armata americana nel ’44. Dopo i successi letterari, tra cui Menzogna e Sortilegio, pubblicato da Einaudi, nel 1948, vincitore del Premio Viareggio, la coppia Morante-Moravia si trasferisce in un attico in via dell’ Oca, con vista su Piazza del Popolo, all’epoca uno dei più frequentati ritrovi del mondo intellettuale romano. Intanto il loro rapporto va in  crisi e diventano sempre più evidenti le incomprensioni, le fughe e i  ritorni.

Elsa scriveva : “Le coppie di letterati sono una peste”. Moravia, dal canto suo affermava : “ Cara Elsa, io ti amo ancora tanto, che basta una tua parola sgarbata a farmi soffrire. Purtroppo c’è in te come un demone che ti spinge a dirmi sempre delle cose spiacevoli.” In Elsa il bisogno di autonomia contrastava con una forte esigenza di protezione e di affetto. Un figlio? Forse una grande occasione mancata. Lui non lo chiese mai e lei desiderava e rifiutava la maternità, troppi interrogativi angosciosi relativi all’infanzia, alla sessualità femminile, alla vita sessuale e appunto alla maternità.  Continua tra i due un rapporto di coppia caratterizzato da  incomunicabilità, noia e rassegnazione. Lui la tradisce continuamente, viaggia per allontanarsi dal tetto coniugale, lei inizia a soffrire di esaurimenti psichici che non la lasceranno più. Si separano, senza mai divorziare, nel 1961. La ricerca della serenità, agognata e mai raggiunta, porta i nostri a vivere, durante il matrimonio, nuove storie d’amore. Frequentavano stabilmente scrittori, pensatori ed artisti in genere tra i quali, Pier Paolo Pasolini, Umberto Saba, Attilio Bertolucci, Luchino Visconti, Giorgio Bassani, Sandro Penna, Enzo Siciliano.

1949, Elsa Incontra il suo idolo, Luchino Visconti, alla Stazione Termini,  lo aveva già incontrato con Moravia due o tre volte. Un saluto e l’offerta di Visconti di un passaggio fino a casa. “Il suo sorriso siamese mi fece sciogliere”. Tra i due, da subito, una grande attrazione sessuale, una passione folgorante, ma astratta, quasi un’ossessione. Più tardi quando mise a fuoco i suoi stati d’animo gli scrisse: ” Ti prego di capire adesso che io qui non parlo davvero d’amore. Prima di tutto, devo dirti con molta semplicità che, nemmeno quando ero più bella, io non sono mai stata amata da nessuno, e quindi non ho mai pensato seriamente che tu potessi amarmi“.

Facciamo un salto nel tempo e andiamo al 1959 quando Elsa Morante parte per New York. Resta nella città un paio di mesi e incontra un artista, Bill Morrow. Bill è più giovane di lei, ha solo 23 anni, bello, dall’aspetto aristocratico, diventano amici, amanti, Elsa si innamora. Poco dopo Morrow la raggiunge a Roma. La scrittrice vive ancora con Moravia e proprio grazie al suo aiuto, nel 1962, Bill Morrow  inaugura una mostra in città. Di quella mostra nessuno ne scrisse sui giornali dell’epoca, ci pensò Elsa, e lui per ringraziarla arrivò a casa sua con un canestro enorme di anemoni. Il giovane artista ritorna a New York e a una festa carico di LSD in corpo, precipita dall’Empire State Building. Incidente o suicidio, la morte di Morrow scatena la disperazione della scrittrice. Tentò di lasciarsi morire, rifiutando il cibo, e Moravia la imboccava con il cucchiaino. A distanza di 2 anni da quell’evento Elsa dichiarava: ”Ed io continuo a vivere come se fossi viva”. 

Dopo molto tempo riprese a scrivere e nelle pagine del suo romanzo del 1968 Il mondo salvato dai ragazzini c’è una poesia dedicata a Morrow: Addio, ma non solo. Siamo nel ’68 in piena contestazione giovanile, il suo libro è: “un manifesto, un memoriale, un saggio filosofico, un romanzo, un’autobiografia, un dialogo, una tragedia, una commedia (unica), un documentario a colori, un fumetto, una chiave magica, un testamento, una poesia“. Il libro in questione è molto affascinante ed eterogeneo, capace di unire forti tematiche sociali e politiche. Nel romanzo, il ragazzo, da Elsa definito “pazzariello” si identifica con lo studente in contestazione,  visto come rivoluzionario per natura e vitalismo, in opposizione alla maturità ipocrita e rassegnata, preda delle sue paure e  conservatrice. Sono i “ragazzini”, secondo la Morante, in grado di ascoltare la voce dei poeti: “L’Arte è l’opposto della disintegrazione prodotta dal Potere”. La Morante disegna una croce con “Felici pochi”, coloro che hanno l’impulso alla gioia e “Infelici molti” rappresentati dalla gente comune. Secondo Pasolini si tratta di un “Manifesto politico scritto con la grazia della favola, con umorismo, con gioia”.

La Morante trascinava nelle sue opere tutto il mondo, in realtà vestì il ruolo di un’interprete attenta e appassionata di ciò che stava accadendo guardando più indietro e più avanti. Nel 1971 avviò la scrittura de La Storia, che uscì nel 1974. L’ultimo romanzo fu Aracoeli, pubblicato nel 1982. La nostra, vive male il passaggio del tempo sul suo corpo e scrive: “io sono vecchia, sono aumentata di peso, ho i capelli bianchi, sono malata; io non voglio essere considerata una persona viva, io vorrei essere un fantasma, uno spettro”. Quanto malessere c’è in questa affermazione? A seguito della frattura del femore, iniziano per la scrittrice le degenze in ospedale che vivrà in un pesante stato psichico. Nel 1983 Elsa tenta il suicidio con il gas, sventato dalla fedelissima Lucia, una donna siciliana che si prende cura di lei. Poi, per rimuovere un grosso ematoma, fu operata al cervello. Siamo nell’autunno del 1984, Elsa si trova in una clinica romana a pochi passi da via Nomentana, sta su una sedia a rotelle, morirà il 25 novembre del 1985. Le visite puntuali del suo amico e traduttore francese, Jean Noel Schifano e di Alberto Moravia raccolgono e accolgono i suoi ultimi pensieri.

Cristiana e anarchica, logorroica e afasica, drammaturga e interprete della teatralità della sua vita. Eterna ragazza, labbra sottili che sfiorano una sigaretta, occhi penetranti che sembrano quasi viola. Un fascino senza tempo.

Laura Bufano

Un pensiero riguardo “Elsa Morante: “Ed io continuavo a vivere come se fossi viva”

Rispondi