Il viaggio come fuga e approdo. Uomini sotto il sole di Ghassan Kanafani

Il viaggio è un topos letterario di origini antichissime. Da Omero in poi, passando per il viaggio dantesco e le peripezie del Don Chisciotte, da Robinson Crusoe a Cuore di tenebra, dai trovatori a Marco Polo, il viaggio, diversamente declinato, includendo il viaggio interiore di tanti personaggi dei romanzi ottocenteschi e non solo, ha sempre caratterizzato non soltanto la letteratura, ma la stessa natura umana, al punto che la scienza antropologica lo considera una delle caratteristiche fondanti l’essere umano. L’essere umano è un viandante, un viaggiatore: un emigrante. Che a muoverlo sia la curiosità che Dante pone a fondamento del viaggio di Ulisse, la sete di conoscenza o il sogno di una terra promessa, l’anelito alla scoperta o l’ambizione di migliorare la propria condizione, sua caratteristica peculiare è il movimento. Soltanto così, con l’ausilio della letteratura e dell’antropologia, è possibile comprendere il fenomeno migratorio nella sua naturale ed ineluttabile essenza.
Che il viaggio, oggi, si configuri essenzialmente come fuga e approdo, è dovuto al modello di sviluppo unidimensionale adottato dalla società attuale, allo sfruttamento di larghe fasce di popolazione e al postcolonialismo. Il fatto che alla fuga non sempre segua l’approdo lo raccontano non solo le cronache agghiaccianti dei tanti morti in mare o alle frontiere, ma anche un racconto di Ghassan Kanafani, scrittore palestinese, autore di Uomini sotto il sole. Tre personaggi, in fuga dai  campi profughi della Cisgiordania all’indomani della perdita della Palestina del 1948, evento che gli arabi chiamano “il disastro” (al-Nakba), si dirigono in Kuwait in cerca di fortuna. Trovano la morte per asfissia all’interno del camion cisterna che li trasporta. Il racconto non solo si fa metafora di ogni migrazione attuale, sebbene nel periodo in cui è ambientato le rotte migratorie fossero diverse da quelle odierne, ma tratta del problema dimenticato del popolo palestinese.

Ghassan Kanafani ha 12 anni nel 1948, quando nasce lo Stato di Israele e milioni di palestinesi sono costretti alla diaspora. Si rifugia in Libano con la famiglia. A Damasco insegna in una scuola dell’UNRWA, l’agenzia ONU per l’assistenza ai profughi palestinesi. Dal 1960, affianca al lavoro di scrittura la collaborazione a varie pubblicazioni finché nel ’69 non dirige al-Hadaf, organo ufficiale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, fondato nel 1960 da Georges Habash. Nel 1972 viene ucciso in un attentato.
L’impegno politico nasce, per Gassan Kanafani, dall’attività letteraria. Non viceversa. La Palestina entra nei suoi racconti dapprima come memoria della vita quotidiana, descritta con una concisione che lo rapporta ad Hemingway, e che, con la tecnica del flashback, avvicina Uomini sotto il sole a un mirabile esempio di montaggio cinematografico, per poi divenire metafora di ogni sradicamento, di ogni migrazione, di ogni speranza frustrata.
“Un errore sommato ad un altro errore non dà il risultato giusto…” scrive Kanafani riferendosi al fatto che le atrocità naziste non possono essere cancellate per mezzo di altre ingiustizie ai danni di un popolo, quello palestinese, che con il nazismo non aveva in comune nulla.

Ecco allora che il viaggio, nel nostro tempo, entra nella letteratura in tutt’altra accezione rispetto al passato. E questo è un portato storico, è causato da politiche scellerate, da ingiustizie inflitte nell’indifferenza generale. Erano eroi i grandi viaggiatori del passato, ma credo che l’eroismo, quello vero, sfili tutti i giorni sotto i nostri occhi nel silenzio assordante di milioni di storie che, fortunatamente, la letteratura illumina e rende di portata universale, a farci riflettere sul fatto che la società è in stallo, ma l’uomo è sempre in movimento, nella speranza, spesso frustrata, di migliorare la propria condizione. 

Glenda Dollo

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