La vita e la scrittura in un tuffo. Omaggio a Raffaele La Capria

Un canarino che si poggia sulla spalla, era un ragazzino e nella Villa Comunale di Napoli questo fatto gli fece battere forte il cuore. Raffaele La Capria corse a casa, voleva raccontare lo straordinario evento alla madre, ma non seppe dire altro che “Un canarino si è posato sulla mia spalla”. Queste semplici parole però non esprimevano le emozioni provate, fu l’occasione, invece, per il giovane di iniziare a domandarsi, come si fa a trasmettere a un altro la mia emozione? Questa domanda ha accompagnato lo scrittore negli anni, diventando la bussola per orientarlo nel mondo della scrittura. Gli fu infatti chiaro, ragionando, che per raccontare un’emozione è importate non essere emozionati, la mente deve essere fredda e le parole devono essere dirette, nel modo giusto, come un generale che va all’assalto di una fortezza, la fortezza, in quel caso, erano le emozioni e il batticuore. La Capria, per gli amici Dudù, da ragazzo della buona borghesia napoletana, un poco viziato, avrebbe preso una laurea in giurisprudenza, in quanto laurea molto aperta e giusto per accontentare i suoi, dentro di sé, invece, la vocazione era ben diversa, in quanto interessato alla scrittura e alla letteratura. E anni dopo, da scrittore di successo, nel 2006 riceverà dall’Università L’Orientale di Napoli la laurea honoris causa in lettere e filosofia. I suoi compagni e amici del Liceo Umberto I, cioè Andrea Ghirelli, Giorgio Napolitano, Maurizio Barendson e Francesco Rosi, furono un’occasione di confronto così arricchente da sentire il bisogno, nell’ultimo articolo dedicato al tema dell’amicizia, scritto per il Corriere della Sera nel 2019, di doverli ringraziare per come era diventato in età matura, il merito era pure loro. Una generazione di ragazzi che amava discutere e che nel dopoguerra dette vita al giornale Sud, diretto dal giornalista Pasquale Prunas, aprendosi al mondo dopo un periodo bellico difficile, credendo in un rinnovamento del Sud e del Paese grazie al nuovo fermento di idee e di progetti in circolazione. Esperienze mature e significative, mentre ardeva anche la passione per la letteratura francese da ragazzo, con i Tre Moschettieri e Il Conte di Montecristo, cui seguirono le scoperte di scrittori come Marcel Proust, Musil, Kafka, Faulkner, Hemingway e Dostoevskij. Tutto questo e i viaggi all’estero, in un certo senso di formazione, costituirono il prezioso bagaglio per affrontare l’avventura romana nel 1950. Il lavoro nei giornali come Il Mondo, Tempo presente e poi il Corriere della Sera dove La Capria nel 1978, con le pagine cultuali dirette da Enzo Golino, fu chiamato a collaborare stabilmente, ne ampliarono orizzonti ed esperienze. Mentre la Roma Anni Sessanta, bella, vivace e intensa intellettualmente si godeva con i suoi caffè di via Veneto e piazza del Popolo, affollati fino alle ore piccole. Intanto continuava la riflessione sullo stile e la ricerca dell’espressione chiara e levigata, semplice e profonda, esatta ed elegante, una pratica che ha animato sempre anche il suo giornalismo culturale attraverso il meccanismo dell’autobiografismo, guardare prima dentro di sé per poi ampliare le riflessioni sulla vita. Lo scrittore è stato anche sceneggiatore, autore di radiodrammi per la Rai, traduttore e saggista, ma il grande successo, di pubblica e di critica, e il riconoscimento pieno arriva con il romanzo Ferito a morte, così intitolato dall’amico Patroni Griffi, che nl 1961 vincerà il Premio Strega, avanti di un punto a Giovanni Arpino e Fausta Cialente, il voto decisivo sarà quello di un altro amico Goffredo Parise.  In modo forse anche inatteso, sarà un libro cardine della letteratura italiana del secondo dopoguerra, rivelatore di una Napoli in pieno clima conservatore e clientelare, con Achille Lauro al comando della città, ma anche testimonianza di una potente vocazione letteraria. Lo sguardo critico utilizzato, però, costerà allo scrittore attacchi dai giornali napoletani fedeli all’establishment locale, e sul fronte espressivo, incomprensioni per una forma considerata estremamente intellettualistica. La Capria, però, non era interessato a entrare minimamente nelle questioni più politiche riguardanti la città di Napoli, gli interessava, invece, quel percorso intrapreso di semplificazione della lingua e di osservazione della realtà. Una semplicità che non è di partenza ma di arrivo, dove chiarezza e luminosità della scrittura affondano le radici nella creazione del mito della “bella giornata“, la metafora fondante la sua scrittura, da intendere come linguaggio figurato che crea connessioni difficilmente afferrabili con l’uso di immagini più convenzionali e meramente descrittive.  L’osservazione e il ragionamento diventano così per lo scrittore il meccanismo critico di conoscenza, per cui l’uso dell’immaginazione, delle metafore, ma anche delle similitudini, gli consentono di arrivare alla “verità poetica” capace di assegnare un ulteriore senso alla realtà. La ricchezza di figure retoriche e la padronanza espressiva a tutto campo imprimono una felice “deviazione” del discorso letterale verso nuovi legami logici e concettuali, una maniera che porta a pensare alla vita in senso più ampio, a potere scrivere di essa, come accade a un tuffatore nella preparazione ed esecuzione di un lancio dal trampolino.  Possesso quindi di tecnica narrativa, e basta?  Non soltanto, ma molto di più, è un approdo alla chiarezza che ricompone la frattura tra il soggetto e il mondo sensoriale.

L’incipit di Ferito a morte è l’esempio di questo piccolo miracolo di prosa poetica dall’irripetibile perfezione, lo riproponiamo, perché se ne gusti pienamente la luminosa resa espressiva. “La spigola, quell’ombra grigia profilata nell’azzurro, avanza verso di lui e pare immobile, sospesa, come una fortezza volante quado la vedevi arrivare ancora silenziosa nel cerchio tranquillo del mattino. L’occhio fisso, di celluloide, il rilievo delle squame, la testa corrucciata di una maschera cinese – è vicina, vicinissima, a tiro – La Grande Occasione. L’aletta dell’arpione fa da mirino sulla linea smagliante del fucile, lo sguardo segue un punto tra le branchie e le spine dorsali. Sta per tirare – sarà più di dieci chili, attento non si può sbagliare! –  e la Cosa Temuta si ripete: una pigrizia maledetta che costringe il corpo a disobbedire, la vita che nel momento decisivo ti abbandona. Luccica lì, sul fondo di sabbia, la freccia inutile. La spigola passa lenta, come se lui non ci fosse, quasi potrebbe toccarla, e scompare in una zona d’ombra, nel buio degli scogli. Adesso sta inseguendo la Grande Occasione Mancata. Per lunghi oscuri corridoi sottomarini, ombre come alghe viola, e gelo in tutto il corpo. Man mano che si abitua a quel morto chiarore le poltrone del salotto, il lungo tavolo di legno scuro, il paralume verde, il divano, la macchia di caffè sul cuscino giallo. La spigola deve essere scomparsa in qualche angolo buio, dietro quel cassettone o nella stanza di là, sotto il letto dove lui ora sta dormendo. Ma non importa più, oramai ci siamo, eccola La Scena. Si ripresenta sempre identica: lo sguardo di Carla che splende come un mattino tutto luce in fondo al mare, e lei così vicina –  anche il battito del cuore! – vicina, con l’occhio marino aspettando. E poi offesa? stupita?  incredula? Prontamente disinvolta, eccola di nuovo seduta sul letto pettinandosi, per sempre lontanissima, che tenta di superare l’imbarazzo. Lui la guarda mentre si pettina i capelli raccolti sulla nuca, bionda coda di cavallo oscillante – luminosi come sulla spiaggia nella notte di Capodanno! – lui senza vita e un sorriso umiliato che copre il desiderio di morire. E i ragazzi, t’immagini le facce? le risate? le chiacchiere se sapessero. Lui solo, con la Grande Occasione Mancata, e tutti i loro occhi aperti sulla Scena”.

Un grande romanzo del secondo ‘900, un tuffo spettacolare volendo rimanere nella metafora dei tuffi, cara a Raffaele La Capria, in cui riflette dell’analogia tra questa pratica sportiva, la letteratura e le opere d’arte. La si ritrova nel libro Letteratura e salti mortali del 1990 dove lo scrittore, ragionando in tema, scrive “Lo slancio che porta il tuffatore a volare sulla tavola io lo ritrovai in letteratura nella forza e nella qualità dell’ispirazione, o se si preferisce dell’invenzione”. La Capria del resto è stato un bravo tuffatore, ricorda certo di non essere stato grande come Cagnotto, Dibiasi o l’americano Louganis “ma abbastanza bravo da non sfigurare in qualche tuffo persino accanto a loro” ed è proprio il binomio letteratura e salti mortali a suggerirgli questo felice comune denominatore. L’amore per il mare, del resto, non può non appartenere allo scrittore che ha vissuto gli anni felici della sua giovinezza a Posillipo, in una dimora speciale quale palazzo Donn’Anna, che si erge maestoso sul mare e da cui ci si poteva tuffare direttamente nelle splendide acque del golfo napoletano. Napoli e palazzo Donn’Anna, binomio inscindibile durato una vita, amore per questa città che “o ti ferisce o ti addormenta” come ebbe a dire lo stesso La Capria, lasciandola nel 1950, in direzione della Capitale. Ci piace immaginare che tra quelle mura lo scrittore sia ritornato, in una bella giornata d’estate anticipata, per l’ultimo slancio, il tuffo perfetto nel mare del natio golfo. Lo scrittore, che avrebbe compiuto cento anni a settembre, l’ultimo slancio lo ha compiuto lo scorso 26 giugno, lui che sapeva da sempre che oltre il mito della bella giornata incombe sempre anche la tragedia dell’uomo, implicita nella temporaneità e caducità degli eventi, per cui dietro ogni umano splendore c’è l’angoscia irreparabile della fine. Un tuffo compiuto e perfetto, per raggiungere poi l’isola di Capri dove, per una precisa volontà, le sue ceneri riposeranno vicino alla moglie, l’attrice Ilaria Occhini, unico grande amore della sua vita, scomparsa nel 2019.

Marisa Paladino

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