Una donna di mare, per smascherare le ipocrisie attraverso il vetro di un acquario

«A volte, per andare in una direzione siamo costretti ad andare prima in un’altra all’apparenza opposta».

Mario Amato è un medico di origini italiane, arrivato al Saint Roch in un’epoca felice della sua città. Indossa cravatte di seta, ha un rapporto esclusivo con l’acqua e abita in un palazzo non lontano dal porto di Nizza, con sua moglie, donna ricercata che parte spesso. Quel lunedì mattina, un titolo inconsueto sul quotidiano francese «Nice Matin» attira l’attenzione di Mario. Poi il telefono squilla: è Chamonier, il proprietario dell’Hotel Wilson, che informa il dottor Amato di strani fatti avvenuti quella notte. Amato scopre che qualcosa è davvero accaduto: tre medici che avrebbero dovuto partecipare al congresso per il diabete, sono stati assassinati. Nel mentre, Ceci Cerasa, cliente dell’Hotel Wilson, lascia l’albergo per dirigersi alla stazione di Ventimiglia. Nel bagaglio ha un’uniforme piegata con cura, un po’ di biancheria, e una pochette con lo spazzolino. È diretta a Singapore. Da qui, la storia si dirama per procedere su una retta parallela lontana dalla Francia, in un percorso fatto di rimandi e coincidenze.
Circondato da questa congrega di personaggi difettosi, Frank Iodice scopre l’inganno e conduce il lettore in un diario precisissimo, non solo dei fatti, ma di certi cortocircuiti emotivi. Con una prosa speculativa e intelligente, l’autore ci regala un giallo algebrico, in cui si innesca una sfida a colpi reciproci per smascherare le ipocrisie attraverso il vetro di un acquario.
Una donna di mare è una storia di investigazione, sulla fiducia nell’ingegno umano e sulle contraddizioni dell’esistenza, in cui tutto può salvare o dannare allo stesso tempo. Iodice racconta di scoperte, di legami, di perdite, di una Nizza dall’aria fuligginosa, in cui esplode il ritratto di un uomo disincantato, che conserva per l’acqua un’antica e rispettosa paura.

Isabella Corrado

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