Osservando a caso una delle fotografie nelle quali compare, Helga Maria Novak ci restituisce una duplice immagine. Gli occhi vigili, una fronte fiera e degli zigomi arcaici la mostrano come avversaria temeraria e indomabile. Con maggiore attenzione si scorgono nelle profondità di quello sguardo crepacci scivolosi, slavine imminenti pronte a travolgerti e una fragilità senza scampo. La vita di Helga Maria Novak, una delle più originali e misconosciute poetesse tedesche del ‘900, è stata lacerata da una ininterrotta serie di strappi e dal tentativo di ricomporli attraverso la letteratura. Se la pratica poetica era un irrinunciabile rimedio quotidiano, è grazie a tre singolari volumi di memorie che la Novak tentò di saldare la propria vita per preservarla dall’epoca impervia nella quale si era ritrovata. In particolare Vogel federlos, secondo libro dell’autobiografia, pone al centro della narrazione gli anni segnati dalla scoperta del linguaggio, una ossessione quella per le parole che guiderà Helga Maria Novak nella costante ricerca della verità su se stessa e sulla propria epoca.
Le fratture si presentarono presto nella vita della Novak. Nata a Berlino nel 1935, fu abbandonata in orfanotrofio all’età di pochi mesi. La madre proveniva da una famiglia di modestissime origini e il padre sparì prima della sua nascita e si suicidò quando Helga era bambina senza mai incontrare la figlia. Trascorse parte dell’infanzia durante gli anni della guerra in una Berlino spettrale devastata dai bombardamenti e dagli ultimi scampoli della follia nazista. Al termine del conflitto venne adottata da una famiglia del Brandeburgo, crescendo in quella che sarebbe diventata in poco tempo la Repubblica Democratica Tedesca, stato satellite dell’Unione Sovietica nel nuovo scenario mondiale della Guerra fredda e uno dei regimi più repressivi nella storia europea del secondo Novecento. Sono gli anni raccontati in Die Eisheiligen, primo volume della trilogia autobiografica pubblicato nel 1979. L’adolescente Helga cresce animata da convinzioni socialiste in un paese in cui la spinta degli ideali scaturiti dalla lotta antinazista non era ancora diventata lettera morta. Complice il clima asfissiante che respira nella famiglia adottiva, con una madre intransigente e un padre retrivo prigionieri di velate nostalgie per il passato hitleriano, Helga sceglie di abbandonare la casa in cui era stata accolta per frequentare un collegio in cui si formavano i futuri membri della classe dirigente del partito unico al potere. Raccontato nel 1982 in Vogel federlos, questo è il periodo in cui la Novak cerca nella comunità politica della scuola una nuova e più affine famiglia. Al contempo si tratta per lei della drammatica presa di coscienza del divario tra teoria e prassi che, assieme al pesante dogmatismo ideologico imposto nel paese, la faranno approdare a una totale disillusione e alla conseguente insofferenza radicale nei confronti dell’autoritarismo. Gli anni universitari a Lipsia raccontati nel terzo volume dell’autobiografia culminano con la prima delle tante rotture con le autorità di Berlino Est. Nel 1956 Helga sosterrà la rivolta ungherese contro l’invasione sovietica criticando con asprezza l’ipocrisia e il clima di terrore e delazione instaurato dai regimi comunisti del blocco orientale. Espulsa dall’università e condannata secondo una prassi abituale a un anno di lavoro forzato in fabbrica, fuggirà in Islanda con uno studente islandese conosciuto all’università. I due si sposeranno, Helga diventerà madre di due figli. Nondimeno, la nostalgia per la sua terra e un bisogno tenace di ricucire gli strappi subiti la porteranno a frequenti ritorni in patria, provocando lei stessa crepe con la famiglia lasciata in Islanda, motivo di ulteriori mai sanati dolori.
Alla fine degli anni ’60, nel corso di uno dei rientri stringerà amicizia con dissidenti come la poetessa Sarah Kirsch e il cantautore e poeta Wolf Biermann, e vivrà una inattesa passione per il chimico Robert Havemann, come lei inviso alle autorità. Queste frequentazioni le costeranno la definitiva espulsione dalla Germania Orientale. Provvista solo di un passaporto islandese, si traferirà a Berlino Ovest e comincerà a viaggiare: la Spagna franchista e il Portogallo della Rivoluzione dei garofani, la Jugoslavia di Tito e la Polonia di Solidarnosc furono le mete di una artista attenta alla realtà del suo tempo e le fonti di ispirazione per una poesia in grado di raccontare il mondo a partire da un vissuto in frantumi. Dopo tanto peregrinare, Helga Maria Novak si stabilì nel 1989 in Polonia. Caduto il comunismo, malata e sofferente, la poetessa tentò di tornare nella Germania ormai unificata per potersi curare a Lipsia, la città degli anni giovanili che tanto aveva amato. Le venne tuttavia rifiutato il permesso di soggiorno perché considerata “straniera senza occupazione”. Fu l’ultima atroce beffa di un destino senza requie. Consegnato al suo editore il manoscritto di Im Schwanenhals, ultimo libro delle sue memorie, morì poco dopo nel 2013.
Vogel federlos racconta la vita di Helga Maria Novak tra il 1951 e il 1954. Nel chiuso di un anonimo collegio del Meclemburgo, la voce di una adolescente allude alla propria formazione come futuro quadro del partito detentore del potere assoluto nella Germania Est. Palese alter ego della Novak, la protagonista narra dell’idealismo e delle sue aspirazioni per l’umanità senza tralasciare la scoperta che più la turba e per la prima volta le fa intravedere con occhi diversi l’ideologia politica nella quale lei e i suoi compagni sono immersi: il potere liberatorio del linguaggio. Tramite una sapiente struttura a collage che alterna dialoghi a monologhi, proclami ufficiali degli organi di stampa controllati dalle autorità a brani della propaganda inneggianti allo stalinismo, frammenti di prosa intimista a brandelli di versi sparsi nel testo, Helga Maria Novak raffronta il grigiore burocratico delle vuote parole del potere che tutti appiattisce con il fremere di un “io” unico e libero colto nel momento stesso della sua nascita. Al termine di questo tortuoso percorso di formazione, abbandonate le menzogne del potere su un inesistente paradiso terrestre, una Helga liberata dalle limitazioni imposte dall’esterno potrà alla fine camminare con le proprie gambe e sarà celando con sé la parola priva di condizionamenti – alla perfezione espressa nell’allegoria del titolo, quel Vogel federlos che in tedesco significa “uccello senza piume” – che la Novak immaginerà un altro mondo possibile. L’adolescente diventata donna impegnerà il resto della sua esistenza a smascherare mistificazioni e a denunciare soprusi, senza dimenticare che alla radice di questa sua piena consapevolezza vi furono gli anni trascorsi nel clima claustrofobico della scuola di partito. In seguito sarà la generazione della Novak a portare alla luce quelle contraddizioni che diventate insanabili sfoceranno in aperto conflitto e seppelliranno il Partito – Stato sotto le macerie del Muro nel novembre 1989. Conclusi a fatica i tre libri nei quali si era imposta di toccare la verità su ciò che il suo essere schiva nel mondo aveva colto durante una vita raminga, Helga Maria Novak se ne era andata via portando dietro di sé, da tedesca dell’est come aveva scritto, un grumo di speranza.