La pietra dell’oblio su Les petits enfants di Christiane Rochefort

Il più grande successo di un autore non equivale sempre al suo risultato più compiuto. Se poi questo successo cresce all’improvviso in modo abnorme grazie a un film di cassetta che contribuisce a far scordare il libro di partenza, ciò coincide spesso con una condanna senza appello all’oblio inflitta all’autore quando ancora respira e corrisponde in seguito a una vera e propria pietra tombale critica posta a sigillo di quella sotto cui si celano le spoglie del malcapitato di turno. Sia chiaro, la pena dell’oblio viene impartita sovente a opere mediocri, frutto bacato di una industria editoriale mossa da logiche di puro consumo che da un paio di secoli a questa parte pare aver assimilato la pubblicazione di un libro a un diritto inalienabile che non si nega a nessuno, con il ridicolo paradosso per cui esistono più scrittori che lettori. Tuttavia può capitare che l’indifferenza colpisca pagine stupefacenti per intensità e poesia, dimenticate in fretta da una letteratura critica poco appassionata, attenta a consorterie di potere di dubbia provenienza e ligia a metodologie logore esercitate nel chiuso di ambienti ufficiali avulsi da qualsiasi rapporto con la realtà. Alla sparuta brigata di talentuosi autori liquidati immeritatamente con ostinata rapidità appartiene per certo la scrittrice francese Christiane Rochefort, la cui colpa – se così la possiamo chiamare – è stata quella di aver pubblicato un brutto libro alla moda da cui è stato tratto un ancora più indigesto film di successo con protagonisti due divi all’apice della loro carriera. Questo però non ha impedito a Christiane Rochefort di creare una autentica gemma letteraria, nonché uno dei capolavori nascosti della letteratura d’Oltralpe del secolo scorso: Les petits enfants du siècle.

Nata a Parigi nel 1917, Christiane Rochefort è stata una intellettuale impegnata sul fronte dei diritti delle donne, capace di parlare apertamente della loro intimità e delle aspirazioni alla libertà di scelta che sfoceranno nelle lotte degli anni ‘60 e al contempo di porre l’attenzione sul mondo dell’infanzia raccontandolo con ruvido lirismo. Agli esordi della scrittrice poco più che trentenne con una serie di racconti seguirà nel 1958 la consacrazione con il romanzo Le repos du guerrier, opera destinata a conseguire un successo enorme per via dello scandalo suscitato nella perbenista società francese dell’epoca. Nel raccontare la tensione sessuale tra un alcolista disilluso e una ragazza di buona famiglia, la Rochefort affonda il bisturi nella disperata agiatezza della borghesia del secondo dopoguerra ma insistendo sul carattere autodistruttivo della situazione finisce con il produrre un modello da manuale di coppia maledetta poi a lungo replicato e dimenticherà quel suo terso scandagliare il malessere del tempo che è stato alla base delle sue opere migliori. Complice un classico film da botteghino che esce nel 1962 e tradisce ampiamente la poca autentica ispirazione del romanzo puntando tutto sui due protagonisti – un Robert Hossein e una Brigitte Bardot al culmine del loro fascino –, l’opera successiva di Christiane Rochefort sarà guardata con sospetto dagli addetti ai lavori e lo sbalorditivo libro capolavoro che arriverà nel 1961 sarà letto alla luce dell’ambigua fortuna del predecessore, destinandolo al dimenticatoio assieme alla sua autrice. Gli anni seguenti si caratterizzano per il costante impegno della Rochefort nelle battaglie del movimento femminista e per l’attenta esplorazione dei mezzi della sua scrittura attraverso testi che implicheranno finzione, autobiografia e saggio, ponendo la scrittrice in una posizione di assoluta originalità rispetto ai suoi contemporanei ma che al contrario di quel che avrebbero meritato, saranno letti con disattenzione. Christiane Rochefort morirà nel 1998. Su di lei è calato da allora un completo silenzio. Su di lei e su Les petits enfants du siècle, la sua opera più riuscita.

La protagonista del romanzo appartiene alla generazione nata nell’immediato secondo dopoguerra sull’onda delle speranze e delle aspirazioni di chi era sopravvissuto alla tragedia del conflitto e guardava al futuro come a una possibile nuova età dell’oro.

Josyane, questo il suo nome, nasce a Parigi in una famiglia di estrazione operaia e cresce in una misera stanza di periferia prima di essere trasferita con i genitori in un complesso residenziale fuori città destinato a chi lavora in fabbrica. La madre smette ben presto di lavorare fiaccata dalle troppe gravidanze e la primogenita Josyane diventa responsabile della casa e dei suoi numerosi fratelli e sorelle. Una natura ribalda porta in fretta Josyane a contestare le donne come sua madre, ai suoi occhi semplici macchine per la riproduzione, e lo stesso modello familiare nel quale si è ritrovata e al quale desidera sfuggire attraverso l’istruzione, la sola luce nel pieno delle sue buie giornate. Il legame con Guido, un operaio di origini italiane con il quale sperimenta una libertà sessuale sconosciuta alle donne della generazione passata, l’abbandono repentino degli studi e l’incontro casuale con Philippe, tecnico di una stazione televisiva che la renderà prima madre e poi moglie, finiranno con l’imprigionare Josyane nei ruoli tanto detestati che lei stessa rinfacciava alle mogli obbedienti del casermone operaio nel quale è cresciuta, rendendola di fatto parte del medesimo meccanismo asfissiante e chiudendo la sua storia con una nota di cupo pessimismo.

La fulminea parabola di Josyane si muove su due livelli che si rincorrono e si intrecciano in continuazione nel corso dell’intero romanzo di Christiane Rochefort. Da un lato l’autrice rende esplicite le sue fonti e reinventa in maniera finissima gli umori e le sfumature di Victor Hugo – molteplici i riferimenti ai Misérables disseminati nel testo – e di Alfred De Musset – esplicito fin dal titolo il richiamo alla Confession d’un enfant du siècle, capolavoro del Romanticismo francese –, dall’altro rende quelle ispirazioni un felice strumento di esplorazione e denuncia della nuova realtà esistenziale e sociale scaturita dai primi segni di un benessere ottenuto a un ben caro prezzo.  Con il solido impiego di un limpido e crudele taglio critico, Christiane Rochefort inchioda sulla pagina il tormento di una generazione tradita che non ha visto le atrocità della guerra e alla quale è stata offerta una vacua libertà fatta di cose da consumare fino all’ossessione e di relazioni fondate sull’ipocrisia e il conformismo, mantenendo intatto quel sistema di sfruttamento che vede il forte vincere sul debole e il ricco vivere alle spalle del povero. Le politiche a favore delle nascite che hanno caratterizzato la Francia uscita dalla guerra sono messe a nudo in maniera impietosa, rivelandosi come un vile commercio che scambiava bambini in cambio di beni di consumo tramite bonus statali senza mai migliorare realmente le condizioni economiche delle classi subalterne, soprattutto rendendo inutile ogni tentativo delle medesime di autentico progresso mediante l’istruzione. Vittime sacrificali di questa nuova realtà furono le donne, alle quali continuavano a essere concessi solo i ruoli di moglie e di madre in contesti dove le luci accecanti del consumismo celavano violazioni continue della loro dignità e la negazione della libertà di scelta a qualunque livello si traduceva nel rifiuto della loro stessa identità. In questo senso i toni con i quali la voce di Josyane respinge in maniera sistematica la realtà che la imprigiona colorano con tinte sarcastiche e atroce disincanto tutto ciò su cui si posa il suo giovane sguardo restituendolo già vecchio: dall’amore percepito come una trappola mortale, alla femminilità assimilata a una costante esclusione, sino al futuro che rimane un  irraggiungibile privilegio per pochi. Con la sua Josyane obbligata malgrado la consapevolezza a reiterare il modello dominante, Christiane Rochefort chiude con una nota di inconsolabile asprezza uno dei più potenti ritratti di donna della letteratura europea del Novecento, evidenziando come differenti contesti sociali possano smentire il celebre inciso secondo cui “donna non si nasce, lo si diventa” e rendendo problematico il nostro corrente modo di dare per scontati i diritti acquisiti.

Alex Marcolla

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