Io sono proprio pazzo. La cosa che più detesto è guardare le cose degli altri. Ma lo faccio lo stesso perché sono vigliacco. Non avrei mai il coraggio di dire che non mi interessano, anzi, che mi fanno proprio vomitare.
Tutti hanno la loro vetrina sul mondo e via dicendo. Si tratta sempre di quei social che riempi con le foto e le frasi felici per spassartela un sacco, ecco. Avere a che fare con tutte queste immagini di felicità però è una cosa che mi manda fuori di testa. Quando la gente ti vuole propinare tutte le foto delle loro indimenticabili giornate, ecco è quello che non capisco, è proprio da ignoranti. Quando ti incontri per strada non ti saluti né niente. Ma quando sei lì a guardare le foto degli altri, allora si che devi mostrare che ti piace la loro fottutissima vita e via dicendo. E tu vedi tutti cogliere ogni singolo momento, quasi volessero mettere in ordine il mondo che si offre al loro sguardo, elencarlo, esaurirlo quasi per trasformarlo e dare nuova sostanza ad oggetti e movimenti che nessuno noterebbe altrimenti.
Guardando i pieni e i vuoti di queste bacheche, si capisce la voglia di condividere per forza con qualcuno i propri traguardi. Maledetti traguardi, riescono sempre a metterti tristezza.
Alla fine sfogliare tutti questi stati d’animo è come essere in fila all’ufficio postale e c’è qualcosa come un milione di persone che aspettano impazientemente il loro turno. Solo che al posto di vecchietti che si asciugano il sudore e signori che si lamentano ogni volta che scatta il numero di prenotazione e non è mai il loro e signore che si sventolano con i bollettini già compilati, chissà perché le signore che si sventolano sono sempre quelle con un po’ di peli sul mento, e ci sono i bambini che si arrampicano sulle transenne, fanno morire, se proprio volete la verità, con le mamme che non dicono niente e guardano fisso il monitor per non dover dire qualcosa ai loro figli; insomma al posto di tutti questi personaggi che sono il ritratto del nervosismo, ci sono gambe scoperte, abbronzate, accavallate, muscoli alle prese con palestre inquietanti, seni in vista, maglie corte, occhiali da sole fighi, di quelli che costano tanto che mi danno proprio di ipocriti; innumerevoli annunci di viaggi nel verde, nella natura, di scalate, di montagne e via dicendo; e di tutti che ritrovano se stessi. Che poi la gente è fissata per questo ritrovare se stessi, che alla fine secondo me diventa più un non sapere quello che si vuole e quindi si cerca di cambiare, di trovare ispirazioni, di imitare sempre le cose degli altri. Ci sono le immagini delle feste, quelle con i brindisi, con gli abiti che luccicano, con i sorrisi che bucano la pellicola. Ci sono poi le frasi d’effetto sul clima e sul gas e via dicendo; le frasi intellettuali, quelle importanti che ti fanno capire che sta succedendo qualcosa e ci dobbiamo svegliare, come se non stesse già succedendo qualcosa da una trentina d’anni più o meno. Sono quelli gli ipocriti peggiori di tutti, che scrivono queste frasi solo per essere approvati. La gente dà la sua approvazione sempre alle cose sbagliate.
Poi c’è la categoria delle maestre, quella è la peggiore, che non vede l’ora di mostrare al mondo tutto quello che ha in mente per lo studio di questi bambini, che se non sanno già scrivere, e contare ed essere intelligenti il primo giorno della scuola elementare vuol dire che hanno dei problemi. E perfino se un bambino non riconosce subito, subitissimo la destra dalla sinistra vuol proprio dire che ha un problema di disturbo dell’apprendimento, e aggiungono quello ‘specifico’ – disturbo specifico dell’apprendimento – che dovrebbe far risollevare il morale alle mamme, perché non ci sono problemi generali, ma solo specifici. Una cosa che mi manda fuori di testa, le etichette che le maestre e gli psicologi e i pediatri applicano ai bambini. Quella cosa del bambino con la testa tra le nuvole, per esempio mi dà sui nervi. Che uno rimanga attento va bene, ma che uno rimanga troppo attento non saprei. Forse non mi piace che rimanga sempre, troppo attento. Il problema è che a me piace quando un bambino pensa ad altro. È più interessante, come dire.
Leggere poi i commenti dei giornalisti è una noia mortale. I commenti dei giornalisti, oltre ad essere ormai innocui come cannoni arrugginiti mi danno proprio ai nervi. Mi verrebbe proprio di avvertire i cervelli di tutti quelli che leggono che stanno leggendo solo gli annunci dell’ovvietà, slogan che diventano politicizzanti pur di calcare il palcoscenico della cliccabilità. A incominciare dai titoli. Insomma, la storia dei trichechi che si buttano giù dalla scogliera è terribile, si sa da anni ormai che lo fanno perché il ghiaccio continua a sciogliersi, poi leggi un titolo, un titolo qualunque che cita “la disturbante storia dei trichechi che si schiantano” Disturbante. Insomma è un aggettivo che non userei mai, ti invita a cliccare e poi a chiudere già gli occhi prima ancora di incominciare a leggere, se ci pensi. È terribile, proprio non lo sopporto.
Poi ci sono anche quegli scrittori diventati famosi che, non si sa come, scrivono un libro all’anno e devono necessariamente far vedere che si divertono in giro per il mondo. Che hanno la necessità di raccontare che vanno un po’ dappertutto, ma prima di tutto nei musei, per far vedere che mantengono quell’aura di intelligenza. Perché si sa che nei musei si va per ricongiungersi con l’arte, la bellezza e via dicendo, per certi versi è anche un po’ deprimente cercare in un quadro la bellezza quando potremmo trovarla intorno a noi e non la troviamo. La gente non trova mai la bellezza nel posto giusto. Per esempio un giorno davanti a me c’era una famiglia, si capiva che stava passeggiando per trovare qualcosa di bello nel parco. Padre, madre e un bambino di più o meno otto anni. I genitori aveva l’aria di essere due che camminavano e basta, non so se capite quello che intendo, senza voler trovare veramente qualcosa, piuttosto con l’intento di trovare qualche bella fotografia da appendere nell’album. Detesto quelli che non cercano veramente qualcosa, la gente non crede mai che una cosa bella è veramente qualcosa, l’importante è che piaccia. Il bambino invece era fantastico, camminava vicinissimo allo stagno, proprio sul bordo, per guardare le anatre che nuotavano nello stagno e ad un certo punto dice “ma le anatre si riparano quando piove?” era l’unico in effetti che si era accorto che stava incominciando a piovere, è stato fantastico, mi ha fatto morire perché si vedeva che era veramente interessato alle anatre e a dove vanno per non bagnarsi. Certe cose risollevano un po’ la tua depressione. Perché ti rendi conto che le cose rimangono lì, la natura, la montagna, gli stagni con queste anatre che non sanno dove andare quando piove, i percorsi difficili, il clima, i trichechi che si gettano dalle scogliere, tutto rimane com’è.
Quello che cambia davvero sei tu, non perché sei cresciuto e tutto, ma perché ti sei svegliato con una brutta notizia, o hai perso tempo perché il caffè si è versato, o hai visto che sul marciapiede di fronte a casa tua è spuntata l’erba, o la signora che esce sempre prima di te la mattina non è ancora uscita, o l’aria profuma di erba tagliata perché ci sono gli operai che stanno potando gli alberi del parco, o hai visto che la tua pianta sul balcone si è torta dal vento che c’è stato la notte prima, o hai trovato la muffa tra i pomodori nella sezione verdura, o hai deciso di lasciare un libro a metà e di incominciare l’altro, o vedi un bambino cadere nell’unica pozzanghera in una strada asciutta, o ti accorgi di foglie croccanti piegate che annunciano l’autunno, insomma le cose non cambiano, sei tu che sei diverso, in un modo o nell’altro. Non so spiegarlo bene, ma so che la gente non nota i dettagli, e cerca disperatamente di inquadrare qualcosa di commentabile, ma non si accorge di ciò che rimane fuori dall’inquadratura. Cercare la bellezza che piace ti fa venire il voltastomaco.
È vero ognuno può trovarsi in un campo di segale completamente inconsapevole di trovarsi a rischio caduta in un burrone, ma se almeno ti stessero a sentire, tutti quanti, potrebbero essere presi al volo, prima di cadere nel baratro della mediocrità.
Ragazzi, se mi sto deprimendo.