I due ragazzi di Jamie O’Neill sulla cima dello strapiombo

Sono venuto al mondo in una terra di confine. Per secoli il Tirolo storico, questo il nome del luogo in cui hanno vissuto intere generazioni della mia famiglia, è stato parte di un complesso e articolato territorio statale sul quale ha inciso in profondità l’opera della potente famiglia degli Asburgo. E in piccola parte, questo lembo del loro impero ha risentito della mitologia culturale che ancora oggi va sotto il nome di Mitteleuropa. Poi, all’alba di un secolo da tutti percepito come quello che avrebbe liberato gli esseri umani da ogni schiavitù per via delle applicazioni senza confini della tecnica, una guerra atroce voluta dalle poche famiglie regnanti di allora per le consuete ragioni di potere, fece precipitare quello che tuttora chiamiamo il vecchio continente in un tempo di barbarie mai vista. Era cominciato il ‘900. Alla fine di quel conflitto disumano, la terra dei miei antenati fu smembrata e intere famiglie che per secoli avevano vissuto secondo leggi precise, espresso culture specifiche e parlato una pluralità di lingue, si ritrovarono in un altro paese e in un mondo estraneo e ostile. Ci volle un intero secolo, quel ‘900 che nel frattempo ha continuato a macinare cadaveri e a imporre soprusi e umiliazioni di ogni sorta, perché questa mia terra pacificasse le sue molteplici tensioni e curasse ferite profonde e all’apparenza insanabili. Sono così cresciuto studiando l’italiano e il tedesco e apprendendo da mio padre che la convivenza tra diverse culture è possibile. Grazie alle letterature provenienti da ogni paese del mondo, ho poi nutrito una speciale affezione per quelle terre che come la mia erano state divise dalle prevaricazioni della Storia, sempre impassibile davanti alle sofferenze degli umili e dei semplici. Tra questi posti mi sono innamorato presto dell’Irlanda, perché malgrado le differenze l’ho da subito percepita per vicissitudini storiche vicinissima al Trentino e al Suedtirol/Alto Adige, quel luogo di confine che mi ha reso aperto al resto del mondo. E proprio dall’Irlanda giunse circa venti anni fa un romanzo che poca eco ha avuto presso di noi, ma moltissimi consensi ha invece ricevuto in patria e nei paesi anglofoni. Al punto che grazie a un approccio stilistico di estrema finezza e a una prospettiva del tutto inusuale su episodi cruciali della lotta di liberazione irlandese, questo libro e il suo autore sono stati accostati senza alcuna riserva a James Joyce e al suo Ulysses. Mi riferisco a At Swim, Two Boys di Jamie O’Neill.

Nato nel 1962 in una piccola città poco più a sud di Dublino, Jamie O’Neill è l’ultimo di quattro figli cresciuti da un padre problematico in una casa in cui non vi era traccia di libri. Si innamorò della lettura grazie a un regalo di Natale inaspettato: una copia di Ivanhoe di Walter Scott che gli fece intuire come le storie potessero essere al contempo divertenti e liberatorie. Terminata la scuola, compresa l’impossibilità di relazionarsi in maniera pacifica con il padre, lasciò l’Irlanda e si trasferì a Londra. Aveva da poco compiuto 17 anni. Lavorò dapprima come operaio, alternando i turni in fabbrica con le ore passate a leggere libri e a scrivere ciò che gli accadeva nel corso delle giornate, maturando l’idea che anche lui avrebbe potuto narrare storie per vivere. L’incontro e la successiva relazione con il presentatore televisivo Russell Harty lo convinsero in via definitiva a impegnarsi nella scrittura a tempo pieno. Incoraggiato da Harty, O’Neill pubblicò il suo primo romanzo nel 1989 e l’accoglienza positiva da parte di critica e pubblico lo colse del tutto di sorpresa. La gioia durò pochissimo. La morte improvvisa di Harty lo gettò nello sconforto più completo. Rimasto solo e senza l’appoggio della persona amata, Jamie O’Neill cadde in un vortice autodistruttivo che lo portò a vivere senza un soldo in mezza a una strada. Un altro incontro fortuito e un conseguente nuovo legame d’amore con il ballerino Julien Joly, permisero a O’Neill di risalire la china nella quale era sprofondato. Trovò lavoro come portiere notturno di un ospedale psichiatrico londinese e nei successivi dieci anni dedicò le sue giornate a quello che non solo sarebbe diventato il suo libro più importante, ma al tempo stesso una delle gemme più preziose della letteratura irlandese a cavallo tra Ventesimo e Ventunesimo secolo.

At Swim, Two Boys fu infatti pubblicato nel 2001 tra lo stupore generale e l’immediata fama conquistata dal romanzo permise a O’Neill di lasciare il suo impiego per dedicarsi interamente al lavoro come scrittore. O così pareva allora. Complice forse lo sforzo emotivo profuso nella scrittura pluridecennale del suo capolavoro, Jamie O’Neill non è più stato in grado di scrivere altro, chiudendosi con il tempo in un sempre più assoluto riserbo. Ritornato a vivere in Irlanda, non pubblica nulla da oltre due decenni e di lui non si hanno più notizie.

Ambientato a Dublino nei mesi che precedono la sanguinosa rivolta antibritannica della Pasqua 1916, At Swim, Two Boys racconta la storia della delicata amicizia tra due spiriti inquieti che evolve rapidamente fino a diventare amore che divora. Jim è il silenzioso e obbediente figlio minore di un insulso negoziante incapace di comprendere il tormentato spirito dei tempi. Doyler è lo sfrontato e impertinente ragazzo povero che ha abbandonato la scuola per dare una mano in famiglia. Tra Jim e Doyler, complice l’amicizia di antica data dei loro padri, nasce un legame istintivo in cui si mescolano il non detto e i sorrisi sfrenati di una giovinezza vitale malgrado le turbolenze che li circondano. Jim frequenta la scuola grazie a una borsa di studio e i suoi ottimi risultati scolastici fanno sognare suo padre che, dimenticandosi del figlio maggiore al fronte per conto degli inglesi, progetta per Jim un grande futuro a sua insaputa. Doyler al contrario si avvicina sempre più agli ideali del socialismo rivoluzionario, fantasticando per la sua patria una indipendenza netta dall’oppressore britannico anche a costo di dover imbracciare le armi per ottenerla. Mentre il legame tra i due ragazzi si trasforma in amore con la naturalezza che solo la gioventù può riservare a un tale sentimento e nessuno attorno ai due sembra accorgersi di un simile approdo, la situazione in Irlanda si avvia verso il precipizio. In cima allo strapiombo del Forty Foot, roccia dalla quale gli uomini si gettano per fare il bagno nudi lontano da occhi indiscreti, Doyler promette a Jim che gli insegnerà a nuotare e trascorsa la Pasqua arriveranno fino al faro di fronte rivendicandone la proprietà per se stessi. Sarà la Storia con le sue insensate violenze a far mancare loro l’appuntamento con quella promessa, chiudendo in tragedia una storia privata che equivale al tempo stesso alla conquista dell’indipendenza di una intera nazione.

Attingendo esplicitamente alla tradizione della sua terra – il titolo stesso del romanzo è una precisa allusione al capolavoro letterario di Flann O’Brien, uno dei massimi autori irlandesi novecenteschi -, Jamie O’Neill abbandona il solco realista dei suoi contemporanei per dar corpo a una rivisitazione immaginifica della storia patria che lo avvicina in maniera decisa al padre di ogni scrittore moderno, l’irlandese James Joyce. Con il procedere dei ritmi sinuosi di frequenti monologhi interiori, il romanzo punta a catturare e a stringere a se tramite una rete ammaliante di parole i molteplici temi che avvicina: le differenze di classe e la tradizione religiosa cattolica che vige in Irlanda, il nazionalismo esasperato che nasce da secoli di oppressione e la feroce ansia di libertà che si estende rapidamente alle condizioni dei singoli, la violenza che genera violenza e la vitalità giovanile capace di provare l’amore fuori da ogni regola, fino a inseguirlo con forza ostinata. Tra le righe di questo impressionante affresco di epica quotidiana risuonano le corde vocali di un narratore di razza che dichiara nei confronti della sua Irlanda un amore non privo di amarezza e il bisogno viscerale di risolvere alcuni dei nodi della propria esistenza, in primo luogo quello che riguarda la conflittuale figura paterna. E tra la patria spesso matrigna e un padre che attinge anche al silenzio di un Dio inesistente, emerge forse ciò che per Jamie O’Neill anche in questo momento di ricercata assenza dalle scene letterarie è la sola e unica fonte di felicità, nonché l’unica casa possibile per un autentico scrittore, com’è giusto che sia:

The happiest place for me isn’t Galway or Dublin, or Ireland, or France. It’s the middle of a paragraph.

Alex Marcolla
Immagine tratta da Maurice, un film di James Ivory

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