Agatha che voleva sparire

Sono Agatha. La terza figlia, ultima figlia. Eccomi, sono felice, sono piccola in mezzo alle donne che mi circondano, immense inarrestabili, tenaci. Donne determinate dal capo mai chino anche quando la vita le ha messe alla prova. Nella campagna scaldata dal sole e poi incendiata dalla guerra ho visto scorrere la vita, l’ho vista oltrepassare il corpo degli uomini. Io invece ho attraversato la mia vita scorrendo ogni capitolo, senza mai abbassare la testa, così come avevo imparato osservando.

Sono cresciuta tra le lezioni di casa con i miei genitori, con la convinzione di avere una mamma strega dai poteri inspiegabili, magici. Ero una forza nella matematica, come se il calcolo fosse l’unica cosa certa a cui non si sfugge. Non come la vita. Ero una forza nella lettura, altro che magia. Leggere voleva dire essere qualunque cosa, andare ovunque, diventare chiunque. Divorare le avventure della Molesworth, mettersi alla prova con i primi versi e poi correre via con George Washington, quattro zampe dal nome pomposo mai più veloce di me. Quella era la mia felicità, quanta magia ho respirato.

Quanta curiosità cercava risposte tra lo spiritismo, il paranormale da masticare tra colazione e merenda. Quanta fatica crescere e coltivare sogni, crederci e poi vivere il fastidioso prurito di non essere accolta. Nessuno che ti legge, nessuno che ti pubblica. Quanta frustrazione guarì l’amore. Fortuna che c’è l’amore. La divisa, il luccichio, il mio Archie era pieno di un futuro possibile, tutto quello che si poteva desiderare. Un futuro possibile con la luce fioca della paura della guerra. Vivere delle lunghe attese e poi aspettare la licenza per sposarsi la vigilia di Natale, soffiare sulle mani gelide e sulle sue labbra, fedele sempre, anche quando significò battersi insieme in quella lunga infinita guerra insensata, senza un soldo, come volontaria; quanto sangue e quanto dolore, quanta ispirazione per delineare quei baffi lunghi e neri che mi avrebbero dato la gloria tra le pagine dei  miei libri.

Archie eravamo felici, o forse relativamente felici, poteva bastare quello che eravamo ma non a te. Perché a me? Perché a noi? Era proprio così bella? Così irresistibile da gettare tutto quel futuro immaginato al vento? Cosa restava di me, di noi? Sparire, questo restava da fare sulle macerie che rimanevano di me, di noi, sul gelo steso come un corpo morto su ogni intenzione di felicità. Così composi la lettera, così lasciai che trovassero l’auto abbandonata, così le tracce come in uno dei miei gialli a cui i miei uomini di carta, avrebbero lavorato volentieri. Cosa volessi fare, difficile da spiegare ai mille uomini che forsennatamente cercarono tra le acque del fiume, nel gelo, qualcosa di me. Forse incolparla per averti portato via, forse rendervi ridicoli agli occhi del mondo. Forse avere una rivincita sull’amore perduto. Ritornare, quello significò ritornare in vita. Chiudere come si chiude un libro e non ci si torna più. Che strano pensare a Il Cairo, quanto mi fosse indifferente al tempo, e quanto contò tornaci per ritrovare una strada che significò casa, ancora. Mentre convolavi a nozze con lei e io ritornavo a riprendere in mano la mia vita. la testa che nessuna delle donne che mi attorniavano da bambina non abbassarono mai, valeva anche per me. Come quelle lodi che appuntarono sul petto di entrambi, seguirlo e ritrovare la voglia di scrivere un nuovo inizio. Non si può avere tutto nella vita e niente di ciò che insegui puoi raggiungerlo sempre, eppure, quanto è essenziale scegliere di proseguire nonostante tutto e accorgersi che ogni cosa è stata necessaria comunque ha lasciato una traccia oltre perché non arrestassi la mia corsa verso quella che sarebbe stata la mia strada. Il mistero celato dietro gli occhi di mia madre, il mistero che spinge a credere oltre ogni ragionevole dubbio, che l’amore può resistere che il corpo può resistere, alla guerra al dolore, al veleno della vita. Sono Agatha, si ricorderanno di me che volevo scomparire e invece no, l’ombra l’ho gettata sull’amore tradito restando alla luce tiepida di una vita possibile.

Stefania Castella

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