Corpo vivente. Intervista a Narciso Cafòn, famoso saggista, critico d’arte e scultore

Innanzitutto, posso darti del tu, vero?  
Diamoci del tu, certo, ci conosciamo da cinquantadue anni. Sebbene io sia molto attento alle forme, alla forma, anche alle forme…
Come vivi il tuo rapporto con l’universo femminile?
Le donne… che meravigliosa invenzione… (Si osserva allo specchio tirando dentro la pancia). Io voglio molto bene alle donne. Ma, soprattutto, loro vogliono molto bene a me. In questo le facilito molto. Seguo uno schema infallibile: corteggiamento discreto a tamburo battente; due versi rubati, che so, a Petrarca o a Bukowski – tanto loro che ne sanno; regalini d’effetto, più brillano e meglio è; cene in ristorantini apparentemente appartati, ben noti alla stampa – a loro piace tantissimo farsi fotografare con la celebrità; qualche weekend in una spa, a Parigi, Londra, New York e poi… l’ingrediente segreto.
Ingrediente segreto?
Sparisco. Le disoriento. Non capiscono più niente. Mi cercano ovunque, mi fanno la posta sotto casa. La mia segretaria è appositamente istruita e dà loro spiegazioni confuse. Poi riappaio. All’improvviso. Così. Fanno le arrabbiate per una mezz’oretta. Un regalino, una cena, un invito a teatro – i fotografi avvisati – et voilà. Flash.
Sei irresistibile.
(Si rimette di fronte a me e gonfia il bicipite, assumendo un’espressione tronfia). Loro sono contente e io ho in mano il bastone del comando. 
Non pensi che qualcuna possa innamorarsi e soffrire?
Naturalmente. Questa è una eventualità sciagurata ma possibile. Mi ricordo di una biondina, carina, era perfino intelligente. Questa si era convinta che io la volessi sposare perché le avevo detto che era l’unica con la quale riuscivo a passare 48 ore senza annoiarmi a morte. Le avevo regalato un anellino. Un brillantino: 2,19 carati. È stato molto difficile convincerla. Si è rassegnata solo quando ha visto delle foto su una rivista.
Che foto?
Baciavo una rossa in un locale di Roma e gridavo a tutti di venire al nostro matrimonio l’indomani. Ero ubriaco. Ho faticato a liberarmi anche di questa, dopo. Ecco, le donne sono difficili. Vogliono fare le cose seriamente. E pensano che anche tu…

In cosa trovi le tue certezze? Se ti guardi dentro, cos’è che ti fa sentire a posto con la vita?
(Si avvicina allo specchio, fissa i suoi occhi in quelli dell’intervistatore e si dà uno schiaffetto). Io sono un uomo potente. Ho ereditato una fortuna. Posso avere quello che voglio, mi basta chiedere. No, non devo nemmeno chiedere. Ce l’ho lì. Mi posso dedicare alla storia, all’arte, alla cultura, all’elevazione della civiltà che brancola nel buio. Sono anche molto generoso. Un altro se ne starebbe a Montecarlo. Io no. Io metto la mia intelligenza al servizio dell’umanità. E non è poco (Si stringe la cintura della vestaglia e si infila l’unghia del dito mignolo nell’orecchio).
Tanta dedizione all’etica e all’estetica merita di essere premiata.
Mi accontento di qualche riconoscimento, presidente di una fondazione, cavaliere di un ordine, al limite anche sindaco, basta che ci siano i fotografi.
Ma i tuoi lavori, le pubblicazioni, gli articoli, li scrivi proprio tu?
Io procedo in questo modo: mi invitano a un premio letterario, a un vernissage o a una mostra, parlo con le autorità e i curatori, mi applaudono e vai con le interviste e le fotografie. Poi, riconoscenti, perché io il pubblico lo attiro come le mosche, mi inviano un articolino bello e fatto sull’evento a cui ho presenziato. Ci metto la firma sotto e via. Si pubblica. Con i saggi è tutto molto più complesso. Ho due assistenti molto brave e addomesticate, hanno smesso di pretendere che io mi fidanzi con loro, oppure mi fidanzo, a turno.
Allora il lavoro, lo fanno loro.
E che c’entra? Le ho scelte bene, le ho addestrate e ho pagato anche tutti i corsi di storia, filosofia, letteratura e scrittura creativa che le ho obbligate a frequentare. Sono le mie creature. Mi devono tutto. È merito mio se firmo i lavori che fanno loro. Senza di me non scriverebbero niente.
E la tua ultima scultura. Corpo vivente.
Cosa c’entra Corpo vivente?
Mi guardi?
Mi guardo.
Ti guardi?
Toujours.

Luisa Campedelli
Franco Malanima

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