“Hai prenotato l’albergo?”
“Perché, lo vuoi fare subito, così?”
“E come dovremmo farlo? Ci siamo presentati, no?”
“Sì, ma non ho neanche finito il caffè…”
“Sei tu che l’hai chiesto lungo.”
Una domenica pomeriggio di cielo coperto, la maggioranza dei bar chiusi, Mirna in visita a sua madre. Avrebbe dovuto starci tutto il giorno, non ha resistito due ore. La vecchia, che ha lasciato le Canarie dopo la morte del marito, va in loop ad ogni frase. Non è ancora in una fase aggressiva, ha due badanti che se ne occupano in diversi momenti della giornata. Fa qualche danno, tipo buttare la dentiera nella spazzatura o tagliare a striscioline gli asciugamani con cui intasare il water. È impegnativa, ma non impossibile. E ogni due settimane Mirna prende un regionale per Mantova piena di buone intenzioni e amore filiale per ritornare poi col primo mezzo utile dopo non più di tre ore.
La donna comincia a insultarla passato il primo quarto d’ora, le dice che è una troia come sua madre dimenticando che chi ha di fronte è la figlia.
“Perché non ti sei sposata?” le chiede tutte le volte. “Uno straccio d’uomo potevi anche rimediartelo.”
Il bar è arredato in stile liberty. L’uomo seduto con una gamba accavallata, la schiena arrotondata a spicchio di luna sulla sedia, sembra voglia dormire. Mirna ci vede quell’apparente disinteresse di quando ci si impone uno stato di separazione per non mostrarsi impazienti o già troppo coinvolti. Dalla foto non era riuscita a intravedere un gran che. Ma, una volta comparso sul piazzale della stazione, aveva capito di aver intuito e scelto giusto. Un cappotto alla Brando in Ultimo tango, il viso segnato di rughe di quelle che stanno bene a chi è stato un bell’uomo, un fisico importante che non passa inosservato. Cerca uomini con qualcosa di particolare, un naso schiacciato alla Tarantino, una simpatia alla Gad Elmaleh. E nell’intimità, perde i loro nomi.
C’era stato un Claudio tanto tempo prima, così tanto che spesso crede di averlo solo immaginato, un ragazzo di madre francese con una passione per il free climber e il naso a becco da rapace alpino, irresistibile. Era stato un pomeriggio di adolescenza e poesie di Paul Eluard in tasca, di Jimi Hendrix a decibel da mettere a dura prova la cordialità condominiale.
Avevano visto un filmato su Prince concordando sul fatto di quanto avesse preso da Hendrix. E poi ascoltato Mile Davis. “Non ci sarebbe mai potuto essere un Frank Zappa senza Miles Davis e non viceversa” aveva detto lui con la sua erre timidamente parigina. Fuori un cielo ovattato, di un grigio denso e avvolgente, li aveva fatti sentire protetti e in nessun luogo. Lontani da qualsiasi cattività. Mirna avrebbe voluto sentirsi per sempre così, senza alcun peso specifico. Senza bisogno di incipit, trama e finale, né di sentirsi bella o particolarmente intelligente. Era questo l’amore? L’amore era questa cosa che non trovava parole per essere raccontata? Si erano baciati rifugiandosi l’uno nell’altro. La serratura era scattata, Tiziana, la fidanzata di Claudio, con un vassoio di paste e l’espressione intrepida della ragazzina rasta al quarto mese di gravidanza era sbucata in sala dicendo: “È una femmina, festeggiamo?”
“Mi riconoscerai. Sono come una di quelle donne di Woody Allen che cita Anna Karenina di Guerra e Pace.
“A parte che in Guerra e Pace, Anna Karenina non c’è” aveva risposto lui.
Al che lei aveva incassato con stile. Dieci anni prima non le sarebbe successa una gaffe così macroscopica. “Tolstoj avrebbe apprezzato la battuta… o forse era di Dostoevskij?” aveva replicato in corner.
Intuiva di piacergli. Da come le aveva scrutato le gambe aveva capito che non si aspettava una tipa così, ancora giovane per la sua età. Quelle scarpe rosa erano rivelatrici di paradisi. Col ritorno in anticipo da Mantova, si era ritrovata con buona parte del pomeriggio libero. Erano andati a bere qualcosa e durante il viaggio in macchina lui le aveva detto poche cose di sé: era stato ricchissimo, aveva sbagliato un paio di investimenti con la crisi e ora, in estate, faceva il pizzaiolo a Corfù. La moglie russa? No, non una di quelle tette e labbra da calendario, ma un caterpillar da quindici ore di lavoro al giorno, proveniente dalla penisola di Kola, alta un metro e sessanta.
Mirna considera questi incontri dei valori aggiunti alla sua vita. La sua attività di aiuto scenografo la gratifica abbastanza da non cercare altro. In fondo ha tutto, amici in mezza Europa per inventarsi ogni anno una vacanza, contributi per la pensione in regola. Alla figlia preoccupa solo questa sua mancanza di stanzialità affettiva.
“Stai bene così? Perché non torni a vivere con papà?” le chiede ogni tanto.
“Così come?” replica Mirna.
E Lorella a questo punto non riesce mai ad andare oltre. Intuisce un’incrinatura in sua madre, un senso di wannabe incistato in un punto inaccessibile che aumenta di intensità col passare del tempo alterandole la capacità di essere felice.
L’uomo col cappotto alla Brando e un orgoglioso ciuffo di capelli in picchiata su un occhio, appoggia sul letto una sacca. Ha una carnagione molto chiara, sembra non abbia mai preso il sole in vita sua, forse l’ unico passatempo prima della sua stagione a Corfù sono state le camere d’albergo. Questo è un due stelle gestito da cinesi, la maggior parte delle camere hanno bagno esterno e in comune, la doccia con la tenda di plastica o una vecchia vasca da bagno. Niente a che vedere coi cinque stelle che Mirna aveva frequentato un tempo.
Le hanno chiesto di partire per una tournée in Canada con Bohème. Ma rifiuterà. Con l’età ha bisogno di muoversi su distanze più brevi, non sopporterebbe tutte quelle ore sopra l’oceano. L’idea di quella nera profondità sotto la superficie dell’acqua le dà un senso di apnea al limite del soffocamento. Accetterà invece la proposta per Zio Vanja con una dozzina di repliche in tre province del Nord Italia. Non è abituata a lavorare nell’essenzialità della prosa, il suo mondo è la grandeur del teatro lirico. E ha deciso senza sapere quanto l’avrebbero pagata, senza neanche sapere dove l’avrebbero rappresentato, dopo aver aperto il copione e letto l’incipit:
Se uno potesse svegliarsi in un limpido mattino e sentire che la sua vita ricomincia di nuovo, e tutte le nostre memorie non ci sono più.
Col tempo le sue strategie si sono raffinate, stratificate e forse, più che diversificate, mimetizzate. Non ha mai imparato a nuotare ma ha trovato i suoi sistemi di ancoraggio che le permettono di sgambettare nell’acqua alta dell’esistenza e di osservare la terraferma senza il rischio di sentirsi risucchiare sul fondo.
“Ho portato le manette” fa l’uomo togliendosi il cappotto e appoggiandolo con cura su una sedia di legno antiquata, non eleggibile a vintage, come tutto l’arredamento della stanza in cui all’odore di fumo si sovrappone quello di deodorante per ambiente.
“Ti va?” dice senza guardarla, controllando con calma qualcosa in una delle tasche.
Lancia uno sguardo allo specchio nell’attimo esatto in cui lui si volta sorridendole nel riflesso. Mirna rotea gli occhi. Per un istante avverte una piacevolissima sensazione di dissolvenza.
“Sì, eccomi Claude.”
Elena Soprano