Jorge Luis Borges, che cercava di svelare il mistero del mondo reale

Jorge Luis Borges nel 1977 tenne una conferenza a Buenos Aires dal titolo La cecità. Lo scrittore fin da giovane sapeva che prima o poi il buio lo avrebbe raggiunto, la stessa malattia rara che aveva colpito il padre, la nonna e un bisnonno, per cui la retina di entrambi gli occhi subiva progressivamente una degenerazione e nel tempo portava alla cecità. Neanche lui sarebbe stato risparmiato. La cecità assoluta arriva infatti nel 1955, anno in cui riceve l’incarico di direttore della Biblioteca Nazionale argentina, mentre in Italia la casa editrice Einaudi pubblica la traduzione dei suoi racconti Ficciones pubblicati nel 1944 a Buenos Aires dalla casa editrice Sur. L’edizione italiana è del 1955, curata da Franco Lucentini e intitolata La biblioteca di Babele, scelta a far parte della famosa collana di letteratura Gettoni diretta da Elio Vittorini. La traduzione, per l’epoca, è un accesso privilegiato all’universo borgesiano, complesso e soverchiato dall’inesprimibile, un racconto dove molti dei pensieri possibili e dei mondi mirabilmente evocati, e l’andamento della scrittura stessa, elegante e creatrice di meraviglia, sono la cifra stilistica del narratore. L’amato Borges, con estimatori a livello planetario, dagli anni ’30 aveva visto crescere la sua fama in Argentina, anche se non mancavano i detrattori, forse suggestionati dalle sue posizioni politiche a favore del Partito conservatore o dalla sua adesione al Gruppo Florida che annoverava tra i suoi membri appartenenti all’élite economica del paese. Certo, dopo avere condiviso con Samuel Beckett nel 1961 il premio internazionale Formentor, premiate rispettivamente le opere Ficciones e Trilogy, tutto sembra cambiare con il crescendo della fama di Borges sia in Europa che negli Stati Uniti. Lo scrittore, intanto, è immerso nella dolcezza di una penombra visiva che “scorre per un dolce declivio / e assomiglia all’eternità” e, immaginiamo, stempera la sua menomazione consegnandosi pienamente a una sensibilità, amplificata e rivelatrice, che fortunatamente possiede, accettando che altri vedano e leggano per lui. Il Premio Nobel per la letteratura gli manca sempre per un soffio, nonostante selezionato più volte, un poco come accaduto all’americano Philip Roth, le ragioni forse politiche, Borges aveva anche fatto visita nel 1976 al dittatore cileno Augusto Pinochet; oppure gli viene attribuita un’eccessiva “esclusività” nello scrivere, ritenuto ingegnoso ed elitario. Intanto la fama e notorietà non mancano, tradotto in tutto il modo è un autore letto e citato, arrivano i riconoscimenti, viene studiato nelle università e invitato dappertutto a tenere conferenze, diventando necessariamente orale nei suoi incontri, come nelle tante interviste rilasciate. La sua scrittura inimitabile, potente e visionaria, labirintica e adamantina, è intanto già consegnata all’immortalità. Ah l’immortalità! Aspirazione sublime che gli uomini, per loro stessa natura imprigionati in una finitezza corporea, grazie alla mente e al pensiero erratico, coltivano da sempre con le loro riflessioni, ricercano attraverso le opere, abbracciano nella spiritualità. L’osservazione della volta celeste e le ziqqurat delle civiltà mesopotamiche – perché ciò che si avvicina più al cielo partecipa alla trascendenza – come le scienze matematiche e le geometrie dalle mutue relazioni, nell’amore di una sapienza che tutto ispira, che sono se non la ricerca di risposte alla finitezza umana? E le affascinanti teorie della fisica, come l’intero scibile umano, storia dell’uomo fin dall’antichità, non sono coltivate per conoscere le regole dell’universo? Tanta inquietudine che anche l’arte esprime, e tra le arti la letteratura e l’esercizio delle lettere, che sempre hanno raccontato storie e inventato mondi paralleli, dove la fisicità stessa dell’esistenza è superficie metaforizzante sulla quale si condensano anche il simbolico e lo spirituale. Anche Borges, padrone di una cultura spessa e multiforme, è un viaggiatore che compie la sua ricerca, prim’ancora che letteraria, esistenziale. La sua scrittura ha fondamenta importanti, lo stile è severo ma ricco di ispirazioni letterarie, ha conoscenza della letteratura europea e americana, un vero e profondo umanista, che non nasconde i suoi debiti di formazione, Shopenauer, de Quincey, Shaw, Kipling, Chesterton, Léon Bloy per citarne alcuni, mentre la critica troverà parallelismi con Unamuno, Poe, Kafka, Swift, Lao-tse e James. L’appassionato lettore che è in Borges arricchisce il suo immaginario con frequenti viaggi e spostamenti familiari, e racconta del padre, avvocato e uomo di lettere, colui che gli rivela il potere della poesia, dove la parola è non soltanto comunicazione, ma simbolo magico e musica. Una scacchiera, invece, serve al genitore per sorprenderlo con i paradossi di Zenone e la corsa infinita di Achille dietro la tartaruga, a raccontargli dell’apparenza del moto e della freccia immobile, insegnandogli anche i primi rudimenti dell’idealismo e l’illusorietà e il mistero del mondo reale.

La solidità di queste fondamenta e un invidiabile patrimonio di conoscenze e di erudizione forgiano il poeta e narratore e la sua capacità di esprimersi in modo particolare e inusuale; il suo è “un mondo fantastico governato dalla logica” dove le argomentazioni filosofiche, che da sempre lo affascinano, gli consentiranno un accesso del tutto personale alla poesia, al suo scrivere da saggista e narratore, oltre che da critico letterario, in una mescolanza tale per cui niente potrà non essere utile in ogni distinto territorio. I suoi racconti avranno la densità del saggio, le poesie scorreranno come una critica letteraria che ha memoria della metrica classica, i saggi saranno opera nella quale l’erudizione prenderà forme eccentriche e originali. Un’opera aperta, dove la molteplicità non teme il dubbio, il tempo e l’irrealtà del mondo entrano in un gioco intellettuale di finzione letteraria, e al lettore non resta che scivolare in un incantamento che solo in apparenza è fine a sé stesso, perché la costruzione della realtà è fatta anche di squarci inattesi e di quella ricerca del senso dell’esistere, che Borges stesso agisce ovunque e mai apertamente dichiara. Un incantamento forte lo produce il racconto fantastico scritto nel 1941 La biblioteca di Babel nel quale l’autore, cantore di una Biblioteca che è l’allegoria dell’universo, la descrive come composizione di un numero indefinito, o forse infinito di gallerie esagonali, perché è inconcepibile una sala triangolare o pentagonale. Lettore, non dovrai chiederti a cosa mira questo gioco di Borges, che adopera allusioni ma non rivela, che corre in questa Biblioteca infinita e indefinibile, labirintica e intellettuale, e tu necessariamente lo insegui. Le sequenze numeriche e la loro ripetizione appaiono mutuate da tradizioni antiche, conservano una sorta di sacralità. In questo luogo sono venticinque i vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, meno uno che resta libero, con trentadue libri di formato uniforme per ogni scaffale, con ciascun libro di quattrocentodieci pagine, e ogni pagina di quaranta righe, ed ogni riga di quaranta lettere di colore nero. Tutto richiama la precisione matematica e l’ordine geometrico. Il narratore, intanto, sembra convincerci di una comprensione dell’ordine delle cose, delle leggi regolatrici del tempo e dello spazio di questa Biblioteca, mentre l’elegante dotazione di scaffali e di tomi enigmatici non può essere che l’opera di un dio. Chi scrive mutua questa perfezione confrontandola con i suoi sgorbi accennati e tremuli sulla copertina di un libro, molta è la distanza che hanno dalla puntualità organica delle lettere al suo interno. E così narrando, bibliotecari in ogni epoca hanno disquisito sulla natura informe e caotica di quasi tutti i libri, formulando ipotesi e cercando risposte, scoprendo poi nella confusione pagine di una scrittura omogenea verosimilmente leggibile. Un bibliotecario di genio è riuscito a scoprire la legge fondamentale della Biblioteca, e che quest’ultima è totale, da allora molti ebbero una straordinaria felicità, ed altro ancora è successo nella Biblioteca. Tra cercatori ufficiali e inquisitori, l’inaccessibilità di alcuni volumi è parsa intollerabile ed al furore igienico, di quanto giudicato inutile, è seguita un’insensata distruzione dei libri da parte dei tanti, inebriati da un’idea delirante, che hanno deciso la conquista dei libri dell’Esagono Cremisi. Al racconto Borges aggiunge, sul finale, la sua esperienza personale sul libro chiave e compendio di tutti gli altri, con lo stile narrativo che si rende efficace e persuasivo con la tecnica dell’enumerazione, a lui tanto cara. La sintesi del poeta-filosofo, sospinta oltre che da logica parimenti dalla meraviglia creata, sorprende il lettore con una voluta semplicità e finta ingenuità, non meno rivelatrici dello stato d’animo dell’autore, tra il dolente e fiducioso, sono le ultime parole del racconto: La Biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso ordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine). Questa elegante speranza rallegra la mia solitudine.
Un implicito invito alla lettura di questo celebre racconto che è un accesso sorprendente all’universo borgesiano, a una mappa del tempo e dell’universo infinito, perché la grande letteratura, condensata nella brevità e perfezione di un racconto, parla della storia dell’uomo e della sua ricerca, di quanto di umano, e anche di noi, c’è in tutto questo.

Marisa Paladino

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