Nei giorni in cui non era impegnata nel volontariato per conto della parrocchia, la signorina Pym amava occuparsi del suo giardino. Più o meno da un decennio lei e la sorella più piccola avevano scelto di abbandonare la metropoli per ritirarsi in un piccolo cottage a Finstock, nell’Oxfordshire. Hilary, la sorella della signorina Pym, era contenta per quel trasferimento. Pensava che avrebbe giovato a entrambe tornare a una vita dimessa come quella che avevano condotto da bambine nella campagna poco lontana dal confine con il Galles dove erano nate. Tuttavia, Hilary poco sapeva delle ragioni che avevano spinto la signorina Pym a trasferirsi a Finstock, oppure come era uso tra persone perbene, la pacata Hilary non desiderava arrecare mestizia alla sorella maggiore con domande indiscrete di cui forse intuiva la risposta. E amarezze nella scelta della signorina Pym ce n’erano state. Amarezze e singhiozzi celati agli occhi altrui, come era stata abituata a fare. Non era una questione di orgoglio, si trattava di pura e semplice dignità. Dietro alle mura del cottage di Finstock le due sorelle avevano trascorso gli anni ‘60 senza essere sfiorate dagli scossoni che quei tempi avevano generato fuori dal loro rassicurante piccolo universo. Eppure, la mente vigile della signorina Pym si era accorta di tutto, aveva assimilato le notizie lette e osservato anche i minimi cambiamenti occorsi agli abitanti del villaggio e tutto aveva memorizzato. Non poteva fare altrimenti. La mente della signorina Pym era quella di una scrittrice. Certo non pubblicava un libro da più di dieci anni, ma ciò non significava nulla. La signorina Pym era una affabulatrice nata perché in primo luogo era una curiosa osservatrice del mondo che la circondava e delle sue improvvise trasformazioni. E questa sua predisposizione non sarebbe affatto cambiata.
China sulle piante che costeggiavano la sua umile dimora, le capitava ancora di tornare con la memoria a quel giorno sul finire degli anni ‘50 in cui a Londra il suo editore la convocò per parlarle. Era allora una scrittrice di fama, nondimeno arrivò in anticipo all’appuntamento. La buona educazione doveva sempre precedere qualunque cosa. Lungo il corridoio che conduceva all’ufficio del suo editore, la signorina Pym si fermò all’improvviso, un timore piovuto da non capiva quale parte della sua mente la bloccò a pochi passi dalla porta a cui tra breve avrebbe dovuto bussare. Aveva esagerato, così si ripeteva in preda all’ansia. Il suo ultimo romanzo aveva toccato questioni spinose, per certi versi illegali. Poi si calmò. In fondo aveva raccontato una banale realtà, a quante donne sposate era capitato di innamorarsi di un altro uomo? Era successo, eccome. Ma innamorarsi di un omosessuale? Si era verificato anche quello, a moltissime donne. Lo sapeva, l’argomento era ostico e l’omosessualità fuorilegge. Forse il suo editore era stato querelato. Perché poi avrebbe dovuto esserlo? Quella legge era ridicola, in fin dei conti erano trascorsi più di sessanta anni dal processo a Oscar Wilde, il mondo non era più lo stesso! Eppure, in Inghilterra tutto sembrava rimanere identico ai tempi di Wilde. Questa immobilità confortava in parte la signorina Pym, anche se certe questioni le riteneva oramai sorpassate. E ridicole. Per questo i toni dei suoi romanzi erano feroci e la sua abilità di imbastire dialoghi in grado di mostrare l’assurdità di certe convenzioni la doveva certamente a Wilde, come gran parte di quelli che facevano il suo stesso mestiere. E allora, cosa voleva il suo editore? Perché l’aveva chiamata a rapporto?
Bussò alla porta, venne fatta accomodare. Con minori buone maniere l’editore comunicò alla signorina Pym il motivo per cui l’aveva chiamata. Non le avrebbe mai più pubblicato un libro. E quando lei incredula chiese spiegazioni, la rivelazione fu sconcertante: Barbara Pym non piaceva più, era una scrittrice fuori moda, apparteneva al passato. Rientrata nel suo appartamento, la signorina Pym ancora non riusciva a credere alle parole che aveva udito un istante prima. Il suo editore aveva pronunciato una sentenza lapidaria, lei non interessava più a nessuno, non la leggeva più nessuno e non c’era più alcuna casa editrice interessata a quel che lei aveva da raccontare. Trascorse i giorni seguenti in solitudine rileggendo il suo ultimo romanzo, A Glass of Blessings. Wilmet, la protagonista non più giovanissima della storia, vive un’apparente felicità basata su una routine di sicuri piccoli impegni quotidiani. Come la signorina Pym, Wilmet è una donna riservata e parecchio acuta, di quelle giornate regolari non sa più che farsene. Ciò include il marito, per il quale dopo molti anni Wilmet prova un tenero affetto. Tuttavia, la passione è svanita. Durante una funzione domenicale conosce Piers, fratello in apparenza scapolo di una sua amica. I due si piacciono, si incontrano per cenare insieme, passeggiano lungo il Tamigi, si confidano i loro dispiaceri. E capiscono di essere anime sole, destinate a restare tali. Piers infatti non è scapolo, vive da anni un matrimonio di fatto e la monotonia avvertita da Wilmet opprime anche lui. Solo che Piers sente tutto questo accanto a un uomo con il quale convive nel riserbo più completo per via delle leggi vigenti in Inghilterra.
Nel raccontare con estrema finezza psicologica questo impossibile idillio, la signorina Pym impiegò la sua lingua tagliente, e il suo implacabile sguardo indagatore si posò come brace arroventata sopra le ipocrisie ostinate, i desideri repressi e i crudeli egoismi di una intera società. La signorina Pym riemerse dalla lettura consapevole che a essere fuori moda non erano le sue parole poiché ciò che in molti chiamavano modernità le apparteneva. Decise di voltare pagina, avrebbe lasciato Londra e si sarebbe trasferita in campagna, lì avrebbe cominciato una vita differente. Assieme alla sorella cercò un posto dove poter mettere in pratica il suo proposito. Quel luogo sarebbe diventato Finstock. Tutto il resto se lo lasciò alle spalle. La sua mente continuava in ogni modo a lavorare in termini di scrittura, affinata dai sui strumenti più potenti: gli occhi. A metà degli anni ‘70 cominciò un nuovo romanzo, lo avrebbe scritto solo per se stessa. Così si disse. E mentre la trama che le occupava la testa prendeva corpo sulla pagina, qualcuno a distanza stava a sua insaputa per farla resuscitare come romanziera. Philip Larkin, poeta inglese tra i maggiori del ‘900, non aveva mai abbandonato la signorina Pym. Anzi, negli anni in cui il silenzio attorno sembrava opprimente, Larkin intrecciò con lei una fitta corrispondenza. Per Larkin, le cui poesie molto avevano in comune con i romanzi della signorina Pym, era sempre apparso scandaloso l’oblio a cui era stata condannata la sua carissima amica. Al punto da meditare una piccola rivalsa. In un lungo articolo uscito nel 1977 sul Times Literary Supplement, Philip Larkin scrisse un mirabile profilo critico di Barbara Pym, tra i più memorabili mai scritti a sostegno dell’opera di qualunque artista. Fu con stupore e gratitudine che un mattino mentre era intenta a leggere i giornali nel mezzo della colazione, la signorina Pym incappò nel ritratto dedicato a lei e ai suoi libri dall’amico Philip Larkin. Alle lacrime amare di tanti anni subentrarono quelle di gioia. Gli editori tornarono in fretta, i suoi vecchi libri furono ristampati e quello nuovo su cui stava finendo di apporre delle modifiche sarebbe stato pubblicato di lì a poco. E quando Quartet in Autumn arrivò nelle librerie, il riconoscimento della critica e del pubblico fu pressoché unanime, arrivando a un passo dal farle vincere il Booker Prize.
Altri libri seguirono, pubblicati però postumi. La signorina Pym si spense nel pieno del suo rinnovato fulgore. Era il 1980, aveva sessantasette anni. Hilary le sopravvisse fino al 2005, creando una fondazione con lo scopo di diffondere il ricordo e l’opera dell’amatissima sorella maggiore. Oggi chi dovesse trovarsi a passare nel villaggio di Finstock, davanti al cottage in cui trascorse gli anni dell’amarezza e del riscatto troverebbe una targa che segnala il sobrio passaggio tra quelle pareti della signorina Pym.