Massimo Bontempelli, “L’ideale supremo di tutti gli artisti dovrebbe essere: diventare anonimi”

Quando si parla di letteratura, e di giornalismo, capita spesso di porsi domande basilari, di metodo. Un po’ come accade ai filosofi che, fin dai tempi antichi, si sono chiesti: “Da dove veniamo?” “Qual è la ragione dell’esistenza dell’uomo?”, anche chi ambisce a scrivere si chiede spesso cosa significhi essere uno scrittore. Si impara a scrivere semplicemente con l’esercizio o si possono frequentare scuole di formazione alla scrittura? Per scrivere bene bisogna essere forti lettori, o è solo una questione di ispirazione e doti naturali? Tante domande, ma poche risposte certe. Oggi, poi, che il numero di scrittori è in costante crescita, ma non il numero dei lettori, forse è ancora più opportuno ragionare su questi aspetti.
Un bello spunto ce lo dà la rilettura di alcune pagine dello scrittore Massimo Bontempelli scritte quasi un secolo fa. Non mi riferisco tanto alle sue opere originali, e più famose, legate al «Realismo magico», quanto alla sua avventura giornalistica, in particolare alla fondazione della rivista “900” (1926-29), che sottolineava l’importanza di una cultura cittadina che fosse però aperta all’Europa. Voleva attingere, infatti, alle migliori esperienze straniere della sua epoca, per mettersi a diretto contatto con il nuovo pubblico, per conquistarlo così come stavano facendo il Cinema e la musica jazz. Non mirava necessariamente a una prosa bella e fine a se stessa, ma aspirava a una narrativa che mirasse alla comunicazione e al divertimento. Nel terzo dei quattro preamboli con il quale introduce il terzo numero della rivista “900” (pubblicata in francese nel 1927), Bontempelli ci dà una serie di preziosi consigli…

1. Non è nato scrittore, colui che a un certo punto non è preso da un acre odio contro la parola. Comincia con una pigrizia allo scrivere; e diviene antipatia, avversione, fastidio delle parole: finalmente odio ragionato e convinto. Allora lo scrittore è maturo e sicuro. Le parole non sono belle. Le lingue non sono belle. La creta bella non esiste; la creta è fango, è sporca. Così le parole […]
2. Ai giovani che vogliono darsi all’arte dello scrivere, consiglio due cose. La prima: entrare nella redazione di un giornale, e cercare di farsi mettere alla cronaca. Ogni giorno dovranno scegliere in un mucchio di fatti scoloriti e banali, coglierne due o tre, dar loro una parvenza di meraviglia, la vita, la possibilità di avere un titolo, la forza di interessare centomila lettori esigentissimi. L’altra: frequentare con attenzione il cinematografo; perché l’arte del cinematografo è la quintessenza dell’arte dello scrivere. […]
3. Occorre leggere da giovani i grandi capolavori del passato, per non doverli leggere più tardi, quando c’è altro da fare. E soprattutto per questo: che nella maturità ce li troveremo diventati nostro patrimonio come ripensati, rievocati, sgombri delle parole. In questo modo la Commedia o il Furioso sono grandissimi nell’animo nostro.

4. Una volta, tanti anni fa, c’era l’abitudine di prendere in giro i lettori che leggevano «per vedere come va a finire». Meno chiacchiere: questo è il solo scopo del leggere. Io diffido molto dei drammi e dei romanzi «che non si possono raccontare».
5. […] Lo scrittore crea con un libro l’atmosfera atta a ricevere il libro seguente, e sfrutta in questo i previsti e gli imprevisti suscitati da quello. Lo scrivere è «azione» nel pieno senso della parola. […]
6. Perché possa aversi un buon periodo letterario, occorre che lo scrittore diventi un mestierante, com’erano i pittori del Rinascimento. […] Scrivere ogni giorno un pezzo, ogni anno un libro: e viverci. Ci penserà poi il tempo a scegliere un’opera tra il cumulo di pagine che così avrai messo insieme. Se l’opera non ci sarà, almeno sarai stato un dignitoso lavoratore.
7. Fino a oggi, solamente nell’arte dello scrivere s’è visto (almeno in Italia) nascere il capolavoro del dilettantismo: ma tant’è, il capolavoro quando ha da nascere, nasce da qualunque condizione; e poi, di grazia, non parliamo di capolavori. […]
8. L’ideale supremo di tutti gli artisti dovrebbe essere: diventare anonimi. Immagino la maraviglia spaurita di tanti scrittori di mia conoscenza a questa uscita. Loro tengono soprattutto al loro nome, nome e cognome; […] Il compito primo e fondamentale del poeta è inventare miti, favole, storie, che poi si allontanino da lui fino a perdere ogni legame con la sua persona, e in tal modo diventino patrimonio comune degli uomini, e quasi cose della natura. […]
9. Vorrei sapere chi è stato […] lo sciagurato che per primo ha messo in giro quella parola d’ordine: «bisogna riattaccarsi alla tradizione». […] Questi balordi vedono da lontano la bella strada che afferra al passaggio Dante e Boccaccio, Petrarca e il Magnifico, San Bernardino, Aretino, Leopardi; ci vedono Ariosto e Parini e Foscolo, e via discorrendo: e non sanno che quando la faccenda era vicina, il Poliziano era un pugno nello stomaco alla tradizione Petrarca, l’Ariosto era una grossa scappata alla tradizione Dante, il Manzoni era la più aperta e sfrontata ribellione a tutta la «gloriosa tradizione dei narratori paesani». […] Ognuno degli autori che la tradizione accoglie, è un ribelle all’aspetto immediatamente precedente di essa; era uno che della tradizione santissimamente se ne infischiava. […]
10. Non è vero che gli scrittori debbano trascurare quello che i critici scrivono delle loro opere. […] Naturalmente occorre servirsene con qualche cautela. […] Quando ti accorgi che una tua pagina è un pugno in faccia ai critici più autorevoli, va bene. La critica arriva sempre in ritardo di almeno quattro anni sul pubblico. Quando ti accorgerai che la critica non dice più sciocchezze sul conto tuo, smetti di scrivere, perchè vuol dire che cominci a declinare, e a ripeterti.

Massimo Beccarelli

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