Adam Mars-Jones, o di quando il creatore dona e toglie parti di sé alla sua creatura

di Alex Marcolla

Cromer non poteva ricordare i pochi anni in cui i suoi arti si muovevano ancora. Lo ricordava sua madre perché non lo aveva abbandonato un solo istante da quando era nato. Lei se lo ricordava, eccome. Ma evitava di parlarne, soprattutto con suo figlio. Fu solo dopo il compimento dei tre anni che Cromer cominciò a manifestare i primi segnali che qualcosa non andava come avrebbe dovuto. Strani dolori si diffusero piano e a casaccio lungo il suo corpo. Al principio erano in realtà dei banali fastidi, così superficiali che il piccolo Cromer se ne accorgeva a stento. Tuttavia, con il passare del tempo i suoi arti presero a dolere in maniera sempre più intensa e le lacrime cominciarono a fare capolino spesso sulle guance del bambino. Giunsero infine acuti strilli quotidiani, divenne necessario chiamare un medico. Si parlò di una febbre reumatoide, si ordinò il confino obbligato in camera da letto. Cromer vagamente ricordava una porta che si chiudeva davanti ai suoi occhi mentre lui veniva coricato di peso tra le coperte e le tendine della finestra venivano tirate per evitare che troppa luce entrasse nella stanza. E così restò, immobile e in silenzio. Solo sua madre gli era accanto, solo con lei poteva scambiare poche tenere parole e fu sempre lei ad accorgersi che gli occhi di suo figlio non si erano rabbuiati. Cromer aveva occhi vispi, uno sguardo attento e curioso. I limiti sarebbero stati quelli del corpo, lui però li avrebbe oltrepassati. Cromer possedeva il dono di una fertile immaginazione che l’avrebbe accompagnato fino alla fine dei suoi giorni. Questo pacificò l’animo inquieto di sua madre. Cromer ce l’avrebbe fatta, ora lei ne era certa. Dopotutto, gli occhi non mentono. Trascorsero per Cromer anni senza alcun miglioramento con la sola compagnia della madre e della sua immaginazione in quella camera foderata di rose gialle che il bambino conosceva ormai a una a una. Finché un giorno, non essendosi verificato alcun progresso, la madre di Cromer decise di rivolgersi a degli altri specialisti. Dopo una visita accurata giunse la diagnosi e fu per la donna un duro colpo da assorbire. Ciò che il primo dottore aveva dichiarato era un errore, la malattia di Cromer era un’altra e il tempo trascorso dal bambino fermo nel letto aveva aggravato la sua condizione in maniera irrimediabile. Le articolazioni di Cromer si erano quasi del tutto saldate permettendogli oramai solo pochissimi movimenti. Fu trasferito in una clinica specializzata. Un altro letto in un’altra stanza e sua madre sempre accanto. E la sua mente carica a tal punto di curiosa immaginazione da essere sul punto di esplodere. Desiderava la libertà, pretendeva di vivere. Erano gli anni ‘60 e John Cromer era nel pieno dell’adolescenza.

Nello stesso periodo, anche Adam era un adolescente. E pure Adam sentiva ribollire dentro di sé un fortissimo bisogno di fare esperienze per esaudire le proprie inesauribili curiosità. Suo padre era un giudice, sua madre un avvocato. Non era un matrimonio riuscito. La madre in particolare pareva essere molto infelice. Lavoravano parecchio, lasciavano Adam spesso da solo. Tuttavia, questo non lo turbava troppo. Voleva evadere da quella casa. Adam già sapeva che si sarebbe presto scontrato con la severità inflessibile del padre per via di quella natura che temeva di pronunciare il suo nome, la stessa che ancora per poco in Inghilterra lo avrebbe condotto in cella. Che paradosso bizzarro, pensava Adam, condannato alla galera dal mio stesso padre per come sono. E suo padre lo aveva intuito da un pezzo, allargando la distanza da quel figlio che sembrava ogni giorno di più un estraneo. Arrivò alla fine il tanto agognato momento di abbandonare la casa dei genitori. Adam partì alla volta di Cambridge. Non avrebbe seguito le orme dei suoi, questo loro lo sapevano bene. Ciò che invece non potevano immaginare era che Adam ambiva a diventare uno scrittore e che ciò gli si era rivelato lo stesso giorno in cui da ragazzo aveva compreso di preferire i ragazzi. Studiò letteratura classica e cominciò ben presto a pubblicare racconti e recensioni su numerose riviste. All’università, accanto alle letture che non gli bastavano mai, si accorse di amare altrettanto il cinema. E ai film in futuro avrebbe dedicato anche dei libri, di questo ne era certo. Cominciò a pubblicare. Il legame con i genitori si attenuò man mano che gli anni passavano. Impossibile arginare l’umore tetro della madre. Inutile cercare l’approvazione del padre. Viveva, amava, scriveva. Era libero. Poi arrivarono gli anni ‘80 e dietro la loro promessa di eterno benessere fece la sua comparsa una malattia che cominciò a decimare tanti, troppi ragazzi di quella che Adam considerava la sua comunità, la famiglia che si era scelto. E con quella malattia, l’autentico volto di quel decennio rincretinito dal denaro si palesò all’improvviso con tutta la sua ferocia. Ricomparvero ghetti che sembravano retaggio del passato. Furono approvate leggi contro i malati. Calò un silenzio che equivaleva a una condanna moralistica senza appello. Di una guerra si trattava e Adam l’avrebbe combattuta. Contro la stupidità e l’emarginazione dilaganti. Conobbe Edmund, divennero amici. Edmund era uno scrittore riconosciuto e stimato. Edmund era sieropositivo. Insieme raccolsero in un libro le testimonianze di quel che stava succedendo affinché non se ne perdesse la memoria. Entrambi convinti che il silenzio fosse sinonimo della peggior morte. The Darker Proof: Stories from a Crisis fu pubblicato nel 1987 nel pieno dell’emergenza causata dal diffondersi dell’Aids. Il libro venne curato e sostenuto da Adam e da Edmund White. Dieci anni più tardi arrivò il momento per Adam di riconciliarsi con i genitori. A entrambi dedicò un libro dopo la loro morte. E nel raccontare il nuovo speciale dialogo con quel padre intransigente al quale la demenza aveva fatto dimenticare il volto del figlio, Adam voltò definitivamente pagina con quel passato familiare che troppo li aveva tutti afflitti.

Quando sul finire degli anni ‘60 John Cromer ebbe finalmente lasciato la sua camera d’ospedale, quella che gli si presentò davanti agli occhi fu la vita con tutte le sue infinite possibilità. Si muoveva poco, ma questo non lo avrebbe fermato. Niente lo avrebbe fermato. Fu iscritto a una scuola legata all’ospedale che gli avrebbe consentito di studiare fino al diploma. Poi ci sarebbe stata l’università, su questo non nutriva dubbio alcuno. Iniziò a leggere con avidità, programmò di imparare a guidare. Si mescolò agli altri studenti, fece amicizia con loro grazie al suo carattere attento e brillante. Molti dei suoi compagni si muovevano senza problemi e quando Cromer ne aveva bisogno, non si tiravano indietro nell’aiutarlo. La caparbietà con la quale il ragazzo affrontava ogni situazione illuminava gli occhi di sua madre, la quale non si stupì affatto quando il suo John si innamorò. Assaporando le emozioni del primo piacere fisico tra le braccia di un ragazzo, con la naturalezza con cui tutto gli era sempre apparso da quando aveva aperto gli occhi sul mondo.

John Cromer fece la sua comparsa nel 2008 in un acclamatissimo romanzo scritto da Adam Mars-Jones. In quel libro, la storia si chiudeva su quella prima volta in cui Cromer aveva sentito le mani della persona amata sul proprio corpo immobile. John aveva sedici anni. Nel 2011 le avventure di John Cromer hanno avuto un seguito altrettanto fortunato. E in questa sorta di curiosa autobiografia alternativa, le vite di Adam e John sembrano sovrapporsi e a tratti fondersi, avendo il creatore donato e tolto parti di sé alla sua creatura. E rendendoli specchio l’uno dell’altro, queste pagine hanno evitato che Adam e John precipitassero in quelle voragini che immancabili si presentano sulla strada di ognuno.

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