Il teatro è invenzione, è relazioni, è una continua scoperta di sé

Qualche settimana fa, nella bacheca degli eventi di un teatro che frequento, lo sguardo mi è caduto sull’immagine della locandina di uno spettacolo in cartellone, che nel titolo poneva una domanda: Chi è di scena? Mi sono interrogato su quella domanda e sulla sua relazione con l’immagine, sulla quale poi mi sono largamente documentato.
La locandina mostrava, di schiena, un distinto uomo con il cappello che guarda davanti a sé l’indefinito e misterioso orizzonte azzurro. Era ispirata a un famoso quadro di René Magritte, il grandioso interprete del movimento surrealista (curiosamente nato nello stesso giorno in cui sono nato anche io). Il quadro originale è La Décalcomanie del 1966, uno degli ultimi dipinti del maestro del mistero indefinibile.
Ho pensato che lo sguardo di quell’uomo, nascosto agli occhi dell’osservatore, facesse, in realtà di ogni osservatore uno spettatore immaginario, interprete di una scena in cui ciascuno può entrare con il suo personaggio, reale, surreale o di fantasia.

Ora (e qui scrivo per esperienza personale) andare in scena è sempre una sensazione bellissima, perché mentre sei lì, sul palcoscenico, e senti scorrerti dentro tutta la carica dell’entusiasmo, accadono due cose straordinarie. La prima è che diventi qualsiasi cosa il tuo personaggio sia o faccia, persino una marionetta qualche volta, e questo è quello che il pubblico di te vede e con cui entra in relazione; la seconda è che in ogni passaggio, continuamente, accade che tutta la tensione che hai dentro, e che ti fa respirare con un filo d’aria appena, si trasforma improvvisamente nella sensazione chiarissima che stai per goderti la cosa più entusiasmante che quel momento ti sta per offrire, e in questa relazione speciale con sé stessi, quello che si sente e si prova è il motivo esatto per cui ami tutto l’impegno, il sudore, l’esattezza e la passione che il teatro richiede. Questo io ho imparato dalle filate, dal buio, dalle quinte affollate di mani e di piedi, dalle attese di sguardi e respiri, dalle luci sparate negli occhi, dalle musiche che attaccano e che sfumano, dai silenzi, dagli applausi, dalle emozioni che provo ogni volta. Il teatro è invenzione, è incontri, è relazioni, è incroci di emozioni e di suggestioni, è una continua scoperta di sé e di un favoloso mondo di ruoli, ambientazioni, copioni, scene, costumi, battute, parole, finzioni, improvvisazioni, personaggi, luci, ombre, bui. Il Teatro è immaginazione.

Questo è ciò che per me, non da scrittore ma da lettore, è la poesia. Il mondo poetico è un mondo incantato. Un mondo di versi, di figure retoriche, di pause, di silenzi, di spazi e di a capo… e in tutte queste cose c’è sempre, per chi legge, il tempo per esplorare dentro di sé un intero e profondo spazio di emozioni e di suggestioni. Continuamente davanti a noi corrono immagini, affiorano odori, suoni, parole, versi, spuntano dappertutto per mostrarsi, per svelare la loro bellezza, e aspettano soltanto di essere raccolti. A volte, specialmente in chi ha o conserva il dono di essere un inguaribile sognatore, sono verbi o parole inventate, altre numeri, cifre e date, altre ancora immagini colorate, qualche volta sono persino tutte queste cose insieme. Ne corrono tante, credetemi, tantissime.

Così, a me è bastato vedere l’immagine de La Décalcomanie e cogliere i segni dell’opera di Magritte. I segni, in fondo, sono un po’ come i fratelli simbolici dei sogni: sono la loro immagine surrealista. E così, anche incrociando lo sguardo su una semplice locandina, possono venire scoperte, idee o suggestioni favolose: come quella di perdersi nelle azzurrità di un orizzonte di cui si diventa attori mentre si è spettatori. Come per la celebre citazione letteraria contenuta nelle prime pagine de Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry, anche per il maestro Magritte, noto con il soprannome di le saboteur tranquille, vale la riflessione artistica: Ceci n’est pas un chapeau!

E allora, Chi è di scena? Un uomo se ne sta fermo, sotto il suo cappello, davanti a una vista infinita, e dell’attore, nel suo elegante abito da scena, mostra soltanto ciò che lui – e noi con lui – possiamo di quella “vista” cogliere o intuire, immaginare o sognare, lo stupore di una scena in cui, come in una decalcomania, ciascuno può trasportare il proprio “Io”, ciò di cui è impresso: la sua sostanza, i suoi sogni, la sua poesia, quello che ha dentro, le sue emozioni. Perché ciascuno, nel piano del sipario, può diventare nello stesso tempo sia attore sia spettatore, ed esistere in un mondo meraviglioso e surreale, e sotto il suo chapeau lasciare nel drappo rosso del sipario tutta la sua sostanza di sogni, mostrando che dentro di sé ha tutto insieme: lo splendore di una riva di sabbia dorata, l’immensità del mare, l’azzurrità del cielo e la straziante meravigliosa bellezza del creato (come confessa Totò/Iago a Ninetto Davoli/Otello, alla fine di Che cosa sono le nuvole?, film di Pier Paolo Pasolini, del 1967, curiosamente lo stesso anno in cui muore le saboteur tranquille, e in cui morirà Totò).

Come davanti a una finestra spalancata, dalla “decalcomania” di questo raffinato ed elegante artista in scena, ho scoperto la straordinaria bellezza della simmetria: il ribaltamento della forma (dell’attore) e dei numeri (dell’artista). Le simmetrie sono importanti, come lo diventano le coincidenze significative dei numeri che le definiscono, le esprimono o le confermano. La realtà non è mai solo come la si vede. La verità è fiducia e immaginazione, fiducia nel valore dei sogni; ed è certezza della propria materia stellare. Sognare è sottrarre al reale la sua faccia presunta, la sua realtà ingannevole. Così, privata della sua realtà evidente e della sua immediatezza, ecco che ogni cosa può scoprirsi diversa e diventare possibile. L’immaginazione è desiderio, è cura, è una ricerca di bene, è quel de-sidus che ci fa alzare gli occhi al cielo per colmare il vuoto terreno della mancanza di stelle. Nel mondo visionario e indefinito del proprio “Io” onirico, non c’è mai l’inganno della realtà. Quindi non resta che osservare il mondo con occhi sognanti, con sguardo ammirato e con cuore stupito. E avere fiducia.

Vincenzo Mirra

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