Le persone sole muoiono in fretta. Sulla fame d’amore di Carson McCullers

Da un mese Carson giaceva in un letto di ospedale. Si era sentita male in casa e ora pareva addormentata come uno dei personaggi di quelle fiabe cupe che tanto amava da bambina. I rari fedeli amici si alternavano affranti al suo capezzale, nessuno di loro però poteva vedere la presenza esile che se ne stava seduta in raccoglimento accanto a Carson. Lula puntava gli occhi socchiusi sul volto di Carson e mite aspettava un cenno che potesse indicarle il momento in cui la donna immersa in quel sonno profondo si sarebbe finalmente destata. Tuttavia, in cuor suo Lula sentiva che quell’istante ora non sarebbe giunto affatto. Non era la prima volta che Carson si addormentava, Lula le era stata accanto in tutte le occasioni in cui ciò era accaduto e le sue attese pazienti erano sempre state premiate. Le altre volte però Lula sapeva che il risveglio ci sarebbe stato. Lula conosceva a fondo tutto quello che riguardava Carson. Dopotutto, le era vicina fin dalla nascita. Mai l’aveva abbandonata. E quando Carson avrebbe lasciato questa vita, Lula sarebbe morta con lei. Per il momento, solo i ricordi avrebbero potuto tenere compagnia alle due bizzarre figure che sostavano in quella stanza. E a tarda sera, quando nelle corsie sembrava regnare un vigile silenzio, Lula snocciolava le memorie di una vita di tormenti e di gioie. La vita di Carson, che era anche quella di Lula. Ecco allora gli occhi attenti di una bambina che bighellonava per le strade colme di gente affannata della sua città natale nella Georgia preda della Grande depressione. Ecco quella bambina nascosta dietro al tavolo in cui suo padre ripuliva gli orologi che poi vendeva nel suo negozio. Eccola alle prese con il suo primo intenso smarrimento, quella musica che cominciava lenta a uscire dai tasti del pianoforte che le sue dita calcavano dapprima in maniera goffa e poi un poco alla volta con sempre maggiore disinvoltura. Infine, c’erano i libri. E quel sogno di scrivere storie animate dalla stessa forza di quelle che leggeva ormai di continuo. Mentre tornava a queste memorie della prima giovinezza di Carson, Lula sentiva gli occhi di entrambe colmarsi di lacrime per la tanta, troppa gioia provata allora e per quella libertà mai più ritrovata in seguito. Era stata la solitudine a ingannarle, di questo Lula ne era convinta così come convinta ne sarebbe stata Carson, se fosse riuscita a pronunciare una qualunque parola in quel momento. E la solitudine porta a una fame d’amore senza scampo. Una fame, questa, che se non trova modo di essere saziata conduce a una inevitabile e straziante morte prematura. Quella che Carson, e Lula insieme a lei, avrebbero toccato con mano di lì a poco. Com’era lontana quella maledetta fame quando Carson sbarcò a New York poco prima di diventare maggiorenne. Era stata la migliore della sua classe, poteva frequentare in largo anticipo l’università. E sarebbe diventata una scrittrice, di questo ne era più che sicura. Quasi subito incontrò James e fu la prima fitta di quella fame d’amore destinata a consumarle l’intera esistenza. Aveva quattro anni più di lei e studiava nel suo stesso corso. Carson se ne innamorò immediatamente. Si sposarono nel 1937 e lasciarono quella caotica città per un posto più raccolto. E la natura di James le si rivelò tinta di un nero avvelenato che con il passare dei mesi la risucchiava passo dopo passo. Solo la scrittura riusciva a trattenerla dallo sprofondare nella crepa di depressione e autolesionismo in cui il marito di Carson abitava ormai in forma stabile. Lei scriveva, non si dava per vinta. Il risultato della sua ostinazione vide la luce nel 1940 e fu accolto con l’ammirato stupore di chi pensava che una donna così giovane non fosse in grado di parlare con franchezza della solitudine che albergava nel mondo. Ma quel primo romanzo di successo non portò la pace nella vita di Carson. E Lula, lo spirito dell’infanzia di Carson, si acquattò in un angolo della sua mente pronta a uscire ogni volta che ce ne fosse stato bisogno. Abbandonò James, almeno per il momento. Si buttò su un nuovo romanzo. E mentre gli impegni per promuovere il suo lavoro la portavano a viaggiare per il paese, le capitò ancora una volta di avvertire la fitta di quella fame che James non era riuscito a saziare. La vide nella hall di un albergo nella quale entrambe erano alloggiate. Lei si chiamava Annemarie, arrivava dal Vecchio Continente, era come Carson una scrittrice. Tirava una brutta aria in Europa, una sanguinosa guerra civile si era da poco conclusa in Spagna, i dittatori al potere in Italia e Germania avevano manie di grandezza che avrebbero molto presto raso al suolo paesi interi, inclusi quelli su cui comandavano con ferocia. Bellissima e altera, abituata a indossare abiti maschili e a raccontare paesi lontani attraverso il suo sguardo fulmineo e preciso, Annemarie soffriva della stessa fame d’amore di Carson e in America si trovava per curare le ferite di un’ultima cocente delusione. Si erano incontrate nel momento sbagliato. Malgrado le parole appassionate che riempivano le loro lettere, Annemarie non ricambiò mai i sentimenti di Carson, preferendo allontanarsi da lei per non provocare nuove lacerazioni. Uscì un secondo romanzo e Carson lo dedicò a Annemarie. Solo Lula le portava sollievo, ricordandole la bambina che era stata e che aveva raccontato nelle sue primissime pagine.

Margaret Kelly, per tutti semplicemente Mick, era una ragazzina che sognava di poter diventare un giorno concertista. Viveva in una ammuffita cittadina del sud degli Stati Uniti che la povertà esplosa con il crollo della borsa del 1929 aveva reso ancora più miserabile. Mick sapeva che la sua famiglia non sarebbe riuscita a pagarle gli studi di musica. Eppure non demordeva, in un modo o nell’altro sarebbe riuscita a realizzare il suo progetto. Quando lo sconforto la attanagliava vi era un solo rimedio in grado di placarlo, rivolgersi all’uomo che ascoltava con gli occhi. John Singer era sordo. Faceva l’incisore e viveva in una grande casa poco distante dalla città. John Singer aveva un segreto inconfessabile: era un uomo felice. Da anni viveva con Spiros Antonapoulos, un pasticciere di origini greche, anche lui sordo. Nessuno faceva caso a quella singolare convivenza. Certo, c’era chi mormorava. E chi ridacchiava. Ma i due uomini erano sereni e la loro condizione li risparmiava dall’ascolto di tutto ciò che era superfluo e insipido. E poi c’era il dono di John. La sua abilità di comprendere la solitudine altrui li teneva al riparo dalla cattiveria che li circondava. E lunga era la fila che ogni giorno si formava davanti alla porta di casa dei due uomini. Persone sole e afflitte si presentavano a John e gli raccontavano disgrazie e tormenti di ogni sorta. John li osservava con attenzione e mentre Spiros si teneva in disparte in un angolo della stanza, John ascoltava con gli occhi tutti quelli che gli si paravano davanti, senza eccezione alcuna. E tra questi c’era Mick che all’uomo dagli occhi profondi immobile davanti a lei parlava dei suoi sogni di musicista e dopo aver svuotato il suo animo affannato se ne tornava a casa leggera e grata a John per aver compiuto ancora una volta il suo silenzioso miracolo. Poi un giorno Spiros cominciò a stare male. Al principio sembrò che la situazione non fosse seria. Qualche dimenticanza improvvisa, uno scoppio di ira o di pianto laddove non serviva, niente di più. John si prendeva cura di Spiros e ascoltava con regolarità le amarezze di chi bussava alla sua porta. Quando la condizione di Spiros peggiorò, John decise di interrompere quelle visite quotidiane. Cominciò una interminabile attesa di notizie, gli sguardi degli abitanti della città erano rivolti alla casa di John Singer e Spiros Antonapoulos. Arrivarono delle auto davanti a quella casa, scesero delle persone con addosso strani camici. Spiros fu rinchiuso in un manicomio. John smise improvvisamente di essere un uomo felice. Il suo attaccamento disperato non era riuscito a salvare Spiros dalla malattia mentale. Una nube si posò sul tetto sotto cui John Singer aveva vissuto con Spiros Antonapoulos. John si trasferì nella stanza più piccola della casa, da lì non sarebbe mai più uscito fino a quando Spiros non fosse tornato da lui. E quando Mick passò furtiva davanti alla finestra di quella cameretta, vide per l’ultima volta gli occhi di John. Capì che avevano perso il dono di ascoltare. I miracoli erano terminati. E Mick cominciò a soffrire di quella fame d’amore che porta le persone sole a morire in fretta.

Mick Kelly, John Singer e Spiros Antonapoulos scaturirono dalla prorompente immaginazione di una ragazza di ventitré anni. The Heart is a Lonely Hunter fu pubblicato nel 1940. Lula e Carson. Lula, la bambina che si muoveva per le strade di Columbus libera come non sarebbe mai più stata. Carson, la ragazza fragile schiacciata da una irredimibile necessità di sfuggire alla solitudine. Lula Carson Smith, che aveva saziato per pochissimo quella fame d’amore che non le dava tregua accanto a James Reeves McCullers. Lula Carson Smith McCullers, la donna a cui l’amore non ricambiato per Annemarie Schwarzenbach compromise una salute già precaria. Carson McCullers, la scrittrice a cui la fama immensa e i molteplici riconoscimenti non donarono la pace.

James morì solo, suicida in un piccolo albergo di Parigi nel 1953. Annemarie si spense in una clinica svizzera per un trauma cranico mal curato a seguito di una caduta dalla bicicletta su una strada di montagna in Engadina. Era il 1942, aveva trentaquattro anni. Carson morì nel 1967, dopo quarantasette giorni di coma.

John Singer attende ancora il ritorno di Spiros Antonapoulos nella stanzetta al piano terra della casa in cui entrambi erano stati felici.

Alex Marcolla

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