Juan Goytisolo, o del libro che non ha fatto sconti a nessuno

La notte in cui sua madre sarebbe morta, Juan non se la sentiva di leggere. Da mesi la sua famiglia aveva lasciato Barcellona per un paesino di montagna poco distante dalla città in cui Juan e i suoi fratelli erano nati. Eppure, per quanto lontani fossero era impossibile non udire gli aerei che sorvolavano quei luoghi desolati per recarsi a sganciare bombe su persone inermi. E per non sentire quel ronzio incessante che infrangeva i torpori della notte, Juan e i suoi fratelli avevano intensificato le letture a voce alta che costituivano i loro giochi preferiti prima di addormentarsi. Questo soprattutto quando il loro padre era fuori casa. Il che per loro fortuna accadeva spesso, come ripeteva a se stesso il piccolo Juan senza alcun senso di colpa. Per Julia, sua madre, il discorso era differente: i bambini l’amavano teneramente e quando il loro padre si mostrava intemperante con lei, Juan e gli altri facevano muro per proteggerla, mostrando un carattere ribelle che l’uomo mal tollerava. Ma quella notte entrambi i genitori non erano in casa. Si erano recati a Barcellona per questioni legate alle simpatie politiche del padre di Juan. E incuranti del pericolo, si ritrovarono nel bel mezzo dell’ennesimo durissimo bombardamento. Era il 1938, l’anno prima era scoppiata una feroce guerra civile che aveva lacerato intere famiglie e messo i padri contro i figli in un confronto del tutto inconciliabile tra due opposte visioni del mondo. Anche Juan sarebbe diventato molto presto uno di quei figli desiderosi di spazzare via quel passato retrivo a cui i padri sembravano essere aggrappati per paura o per privilegio come gli avvoltoi sopra una carcassa ormai in putrefazione. Certo, quella notte Juan tutto questo non lo poteva immaginare e l’astio nei confronti del padre era il semplice risultato del suo intenso amore per la madre. Fu soltanto il giorno seguente che Juan e i suoi fratelli capirono che qualcosa era successo. Il loro padre era tornato solo da Barcellona. Più silenzioso e cupo del solito. Spettò ad altri dare ai bambini la tremenda notizia, la loro madre era morta a causa del bombardamento della notte prima. Era morta a causa delle bombe sganciate dall’aviazione franchista che non riusciva a spezzare la resistenza dei catalani. Era morta per mano delle stesse persone che il padre di Juan appoggiava in maniera fervente, considerandole la salvezza di quel mondo decrepito che lui rappresentava e voleva difendere a ogni costo. Anche a quello della vita di sua moglie. La madre dei suoi quattro figli. Calò una malcelata amarezza sui volti dei fratelli. Si raccolsero in un angolo della casa e lì restarono silenziosi l’intera giornata. Qualcuno vigilava su di loro e non era il padre. Lui si era ritirato nel suo studio. Senza lasciar trapelare nemmeno un cenno ai propri figli. Juan aveva compiuto da poco sette anni. E il preludio di quella intera giornata coincise con una rivelazione: mise insieme frammenti di conversazioni pronunciate dagli adulti. La sua giovanissima memoria recuperò brandelli di discussioni dei suoi genitori. Improvvisa arrivò una luce, tenue ma accecante. Gli uomini per cui suo padre parteggiava avevano ucciso sua madre. E nulla di questa realtà avrebbe fatto cambiare le convinzioni del genitore. E fu così che Juan decise che mai avrebbe perdonato suo padre.

La guerra finì e vinsero quelli che avevano ucciso sua madre. Fu instaurata una dittatura e a capo fu messo l’uomo idolatrato da suo padre. Juan e i suoi fratelli crescendo lasciarono svelti la casa paterna, ciascuno diretto verso la realizzazione di sé. Juan desiderava lasciare la Spagna. E come suo padre non era più tale ai suoi occhi, così avvertiva ormai la terra in cui era venuto al mondo come una matrigna indifferente e miserabile. Si decise a studiare diritto. Ambiva alla carriera diplomatica, che gli avrebbe concesso un sicuro lasciapassare per l’estero. Poi, chissà. Forse non sarebbe più tornato. Tuttavia, l’amore per la letteratura ebbe il sopravvento e la sua manifesta ostilità contro il regime franchista lo obbligò ad abbandonare in fretta quella patria mai così intesa. Arrivò a Parigi. Cominciò a vivere liberamente la sua omosessualità. Ora di notte scriveva le storie che un giorno altri avrebbero letto ad alta voce prima di addormentarsi. La dimestichezza con la lingua francese gli fece trovare un lavoro come consulente letterario. Pubblicò un primo libro, poi un secondo. Il suo nome cominciava a essere conosciuto e non soltanto tra gli esuli spagnoli di stanza a Parigi. Poi, frequentando i luoghi di ritrovo degli artisti e dei musicisti jazz, conobbe una donna irregolare.

Monique era una scrittrice che amava la leggerezza e la esercitava con un preciso disegno urticante. Amava anche i pesci gatto, così come con una sorta di codice si chiamavano allora i membri della nascente comunità omosessuale. Monique era una donna indipendente che allevava da sola una figlia e aspirava a una famiglia fuori dagli arrugginiti schemi borghesi. Una famiglia di sua sola scelta, per lei e per sua figlia. Juan e Monique si incontrarono una sera in un fumoso locale sulla rive gauche della Senna. Si piacquero all’istante e si sposarono. E scegliendosi senza nulla nascondere della natura di lui e degli intenti di lei, anticiparono i cambiamenti profondi a venire, vivendo in reciproca e completa sintonia per i seguenti quattro decenni. C’era però quel tarlo che non dava un attimo di tregua a Juan. C’erano quel padre che non considerava più padre e quella terra natia che riteneva una meschina traditrice. Decise che a quel tarlo avrebbe dedicato un romanzo e l’odio che avrebbe riversato in quelle pagine sarebbe stato compensato dall’amore che mai l’aveva abbandonato per la lingua spagnola e per la sua grande tradizione letteraria. Cervantes, che Juan idolatrava fin da ragazzo. Garcia Lorca, per il quale nutriva un amore senza freni. E con quel romanzo venne al mondo un personaggio sfuggente, l’impietosa incarnazione della stessa ambigua identità spagnola del ‘900.

L’inizio del libro coincide con il ritrovamento da parte di un gruppetto di amici di una valigia piena di vecchi quaderni che uno sconosciuto con una grafia minuta e nervosa ha riempito di poesie. Dopo aver letto con attenzione quelle pagine e dato un primo nome all’autore di quei versi, saranno loro a decidere di ricostruire, nel corso di tre settimane di incontri in un giardino di Marrakesh, la storia che si nasconde dentro a quel mucchio di fogli dimenticati. L’artefice di quelle parole si chiamava Eusebio, era un poeta e nel 1936 frequentava Garcia Lorca e il cenacolo di artisti che ruotava attorno a lui. Eusebio era stato cacciato dalla sua ricca famiglia borghese perché incarnava tutto quello che risultava intollerabile agli occhi della morale conservatrice del tempo: era un omosessuale, era un comunista, era un poeta. Allo scoppio della guerra civile, per salvare se stesso dal plotone di esecuzione, Eusebio tradisce i suoi amici e i suoi ideali, voltando le spalle a tutti quelli che aveva amato e a tutto quello in cui aveva creduto fino ad allora. Rinchiuso nel reparto psichiatrico di un ospedale militare, Eusebio accetta di abbandonare la sua identità. E come se fosse stato sottoposto a un vero e proprio lavaggio del cervello, lascerà alla fine della guerra l’istituto in cui è stato nascosto con un altro nome, un altro credo, un’altra identità. E sarà Eugenio, il poeta falangista ligio all’ortodossia estetica del regime, invaso dal culto del dittatore al potere.

Las semanas del jardin fu pubblicato nel 1997. Monique era morta l’anno prima e Juan aveva lasciato Parigi per vivere il resto dei suoi giorni in Marocco, immerso in quella cultura araba che da tempo aveva assimilato con la sua consueta dedizione. Nel libro in cui i nodi irrisolti dell’identità spagnola venivano a galla con lucida durezza, Juan non aveva fatto sconti a nessuno, consapevole che la guerra che gli aveva tolto la madre, e con lei la pace, era il frutto di uno scontro fratricida tra ideologie prive di qualunque innocenza.

Juan Goytisolo, il più originale interprete della tradizione letteraria di Cervantes e Garcia Lorca, morì a Marrakech nel 2017. E lì fu sepolto, lontano da quel padre e da quella patria matrigna che mai aveva perdonato.

Alex Marcolla

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