Jaime aveva desiderato essere un poema. Se ne ricordò all’improvviso quel mattino mentre il medico gli stava spiegando la natura del suo male. Sorrideva, Jaime. Sapeva con esattezza ciò che ormai da mesi fiaccava il suo corpo, conosceva il nome di quella malattia che tutti temevano. La morte sarebbe arrivata in fretta e non la temeva. In fondo, l’aveva corteggiata spesso senza successo. La morte e la vita, compagne inestricabili di ciascuno di noi, pensava Jaime. Esigenti, frettolose, ciniche. Spesso vigliacche. Padrone del tempo, con il quale giocano sfottendo in continuazione i miseri umani. Perduto come sempre nel mezzo di quel vortice inesausto che erano i suoi pensieri, Jaime non prestava ascolto alle parole del dottore che aveva davanti, né concedeva attenzione alle sorelle che senza fiatare cercavano di digerire la sentenza di morte che aleggiava discreta nell’esposizione anonima della diagnosi. Solo lo sguardo fisso a terra di Josep distraeva Jaime dal rimescolio dei ricordi che affioravano disordinati dal suo insistitivo rivangare. Josep era giovane e aveva una carriera ben avviata come attore. Jaime gli avrebbe lasciato il suo patrimonio, non avrebbe avuto alcun problema a vivere bene. Abbandonate queste considerazioni, Jaime pretendeva di recuperare il desiderio infantile riaffiorato quel mattino nello studio del medico. Non c’era posto in quel momento per altri pensieri come il timore che anche Josep potesse essersi contagiato. Se così fosse stato, tutti i soldi di Jaime non gli avrebbero salvato la vita. No, Jaime ora doveva fare ritorno all’infanzia e al minuto in cui l’innocenza gli aveva fatto partorire quel desiderio allora irreale. Vorrei essere un poema, aveva sussurrato il piccolo Jaime senza tener conto degli altri seduti attorno al tavolo della grande sala da pranzo. Di colpo il brusio dei commensali svanì. Un’ombra comparve improvvisa sul volto dei sui genitori, delle sorelle, degli amici. E il presentimento che la pace di quella casa si fosse incrinata per sempre sarebbe stato presto una certezza. Solo partendo da quelle poche parole in apparenza prive di senso, Jaime avrebbe potuto ripercorrere la propria esistenza per tentare la cattura del solo male che lo aveva divorato con accanimento: quella estraneità alla vita stessa che per brevissimi frangenti solo la poesia era stata capace di smussare. Se ci fosse riuscito adesso che il suo tempo era agli sgoccioli, forse non avrebbe percepito tutto il suo passato come un inutile e penoso spreco. E forse sarebbe riuscito a vincere la morte.
Aveva nove anni Jaime quando assorto e con un filo di voce espresse quel desiderio. La sua famiglia aveva lasciato Barcellona allo scoppio della guerra e si era rifugiata in un piccolo comune al centro del paese. Era molto ricca la famiglia di Jaime. Soprattutto era ben introdotta nel mondo di quella politica conservatrice che appoggiava l’uomo che aveva scatenato un atroce conflitto fratricida per salvaguardare la Spagna dal comunismo. E mentre due opposte e autoritarie visioni del mondo bagnavano di sangue il suolo spagnolo, i genitori di Jaime avevano condotto i loro figli e pochi fidati amici al sicuro dalle bombe e dalle fucilazioni sommarie che stavano dilaniando un popolo intero. Fino al giorno in cui il piccolo Jaime aveva dato fiato ai suoi pensieri, la guerra sembrava una questione lontana e il disordine che imperversava fuori da quella dimora pareva non aver presa sui suoi abitanti. Eppure, ora le poche parole di Jaime avevano avuto l’effetto di una rivelazione: un’altra guerra sarebbe piombata presto in seno a quella famiglia, disintegrandola. E trascorsi quei pochi estenuanti minuti di silenzio, la conversazione riprese e il pasto si sciolse tra sorrisi pacati e carezze appena accennate. L’ombra sul volto dei genitori tuttavia non se ne andò. Mantennero i loro timori celati agli occhi altrui e si limitarono a prestare maggiore attenzione al figlio. Mentre la guerra procedeva senza un attimo di tregua, Jaime continuava i suoi studi in casa. E animato da una insaziabile curiosità, si immergeva nei libri con quell’immensa gioia che solo le scoperte inaspettate sanno dare quando si è ragazzi. Arrivarono Baudelaire, Verlaine e Rimbaud e con le loro parole infuocate attraversarono lo spirito del piccolo Jaime, arroventarono ogni brandello del suo corpo, popolarono i suoi sogni imberbi di incubi appetibili. Vorrei essere un poeta, sibilò il giovane Jaime stando ben attento questa volta che attorno a lui non ci fosse anima viva. Terminata la guerra, con la Spagna ridotta a una sola grande maceria piegata con saldezza da una dittatura, il ragazzo seguì la famiglia nel suo rientro a Barcellona. E tra la ripresa della scuola e il proseguimento degli studi all’università, il giovane Jaime cominciò a scrivere poesie e a trascorrere notti intere nei locali clandestini della città, quelli in cui anarchici e omosessuali bollati come pericolosi sovversivi trovavano rifugio dalle spietate leggi imposte dal regime franchista. In quei luoghi così distanti dall’asfittico mondo borghese dei genitori, il giovane Jaime si sentiva davvero a casa. Perché il giovane Jaime era uno di loro. Perché il giovane Jaime era come loro. Cominciò a pubblicare e ottenuta una laurea fu assunto per intercessione della famiglia nella multinazionale del tabacco diretta dal padre. Scalpitava, Jaime.
Quello non era il suo posto, quel lavoro non lo esprimeva, quei genitori volevano farne una loro replica per salvaguardare se stessi e la propria reputazione. Non sarebbe mai potuto accadere. Fuggì. A Oxford nel 1953, mentre tentava di superare un concorso per entrare nel corpo diplomatico, scoprì Auden e Spender e la potenza delle immagini scaturite dai monologhi in versi dei due inglesi polverizzò ogni sua concezione poetica precedente. Sarà per Jaime l’inizio della maturità come artista e l’approdo alla drammatica presa di coscienza di non appartenere a niente e a nessuno. Un estraneo guardato con sospetto da una esistenza indifferente.
Tornato in Spagna, Jaime riprese la monotona routine dell’ufficio. Uscirono nuove poesie e destarono lo sconcerto di parecchi per via di un approccio innovativo che univa una sferzante ironia ai toni caldi di un intimismo più vero, grazie al ritmo di un colloquio diretto con se stesso e con i destinatari dei suoi versi. E malgrado le sue pagine fossero intrise di una ormai non più nascosta omosessualità e di una insofferenza profonda nei confronti della società spagnola emblema del franchismo, nessun provvedimento venne preso nei confronti di Jaime da parte delle autorità. Troppo importante il suo lignaggio, troppo utile al potere. Come nella sua stessa famiglia si preferì ostentare indifferenza nei confronti di quel figlio alieno, così si comportò chi governava, consapevole che il silenzio è per certo la peggiore tra le possibili condanne a morte. E quando Jaime, in un estremo tentativo di infrangere le sbarre di quella gabbia di quiete oppressiva nella quale era stato rinchiuso suo malgrado, si decise a chiedere la tessera del partito di ispirazione comunista, gli fu opposto un netto rifiuto. Troppo borghese, poco politica la sua poesia, ma soprattutto troppo dichiarata la sua omosessualità. E quando anche chi avrebbe dovuto accoglierlo e condividerne le lotte lo investì con un silenzio pari a una sentenza senza appello, Jaime si arrese all’evidenza che non c’era posto su questa terra per uno come lui. Era nato estraneo al mondo che lo circondava. Aveva vissuto da estraneo mentre camminava in mezzo a quel mondo. Sarebbe comparso da estraneo dinanzi alla morte che se lo sarebbe preso, presto o tardi. Si immerse sempre più nella vita notturna di Barcellona, raggiunse l’apice della creatività. Conobbe Josep, un giovane aspirante attore giunto in città dalla provincia in cerca di fortuna e dopo poco lo invitò a vivere con lui. E con la maturità della sua arte, l’ispirazione di punto in bianco svanì senza lasciare traccia. Ma nel frattempo le sue poesie avevano tracciato un solco profondo nella tradizione letteraria spagnola e Jaime era diventato a sua insaputa una autentica leggenda per i giovani che nel suo paese aspiravano a essere liberi e per quelli che all’estero amavano la libertà inquieta e vibrante di umorismo che trapelava da ogni sua pagina. Gli anni ’70 erano agli sgoccioli, l’ormai decrepito franchismo moriva e una nuova Spagna che anelava a una luce selvaggia si faceva strada con rapidità carica di gioia irrefrenabile. Era la Movida. E quei giovani che l’animavano senza sosta guardavano a Jaime come a una folgorazione, lo sentivano parte di loro, erano come lui. A quell’ammirazione, lui sorrideva sornione. Ma l’estraneità a cui era stato condannato aveva preso del tutto il sopravvento e lo aveva sbranato vivo, senza lasciare alcuna traccia della sua volontà di uomo e di poeta.
La malattia che aveva contratto lo avrebbe ucciso in pochi anni, questo lo sapeva. Josep sarebbe morto per la medesima ragione pochi anni dopo di lui, questo lo sospettava ma non poteva esserne certo. Decise che si sarebbe fatto accudire con tenerezza dalle sorelle, non pensò più a cosa sarebbe potuto accadere a Josep. Contava solo quel presente in cui Jaime e Josep erano insieme. Il resto del mondo che aveva sopportato la sua esistenza da ammutinato difendendosi con l’indifferenza, ora gli era altrettanto indifferente senza pena alcuna. Quell’esistenza matrigna che non lo aveva per nulla voluto, alla fine la guardava con compassione. E la morte imminente, Jaime l’avrebbe accolta con diletto. Era pronto. Aveva percorso a ritroso la sua vita e aveva compreso il senso di quelle parole pronunciate da bambino. Vorrei essere un poema. Questa era stata la sua vita, un poema. Solo adesso gli era chiaro il significato di quella sua uscita infantile. Soltanto da dove fosse arrivato quel desiderio gli era ignoto.
Grazie Luis!
Gil de Biedma è uno dei miei poeti preferiti!!
Gil de Biedma!!!! Migliori poeta spagnolo!!!!
Grazie Luis!
Gil de Biedma è tra i miei poeti preferiti!!