Margherita, la ragazza fragile, la ribelle, la pugile che non si piega

Mia madre mi ha chiamata Margherita perché le margherite sono fiori diffusi, invasivi, resistenti anche quando ti fanno a pezzi, quando pensano che i petali abbiano una risposta ad una domanda. 
Mia madre scriveva sceneggiature e io mi divertivo a leggerle, interpretarle, mi truccavo, mi vestivo e mi immaginavo un giorno su un palcoscenico. Le ero sempre accanto, anche quando parlavano tra grandi.
Cosa vuoi che ne capiscano? Sono bambini.
Quando le donne di casa, mamme nonne zie si riunivano per cucinare nei giorni di festa lo ripetevano spesso. Quindi noi bambini potevamo rimanere nella stessa stanza profumata di cannella e radici a giocare senza dare nell’occhio e nel frattempo scoprivamo che la lontana zia Rosita aveva tradito il marito con un altro, che probabilmente era suo cugino, che probabilmente era partito per un lungo viaggio e che probabilmente era partito per far tacere le dicerie, visto che a Rosita incominciava a spuntare un pancino, chissà di chi, poi. E pareva che il marito, quello vero la trattasse male. Allora lei un giorno gli ha detto la verità e gli ha detto che lo tradiva, forse, non avevamo capito bene, avevamo capito però quello che aveva detto a questo suo marito. Chiudi la bocca, con quei denti mi fai orrore che, mi ricordo quando la sentii mi sembrava una bellissima risposta da dare.
Ogni singolo giorno mi alzo stanca morta mi alzo, trascino il mio culo rotondo davanti allo specchio e mi trucco distratta, pensando che mi piacerebbe sentire anche solo qualcuno che mi chieda come vada. Mentre mi vesto mi viene in mente che quando ero piccola mi immaginavo in qualche parte del mondo, quando eravamo in sei in macchina e andavamo al mare al lido di Ostia mi immaginavo in qualche spiaggia esotica.
Margherita stai dormendo? dove sei finita?
Altrove. Un posto ovunque lontano. Non qui.
Un tuffo e poi via a giocare sulla sabbia. Ogni domenica passava Romeo con il suo carretto di birre gelate nascoste sotto i ghiaccioli. I grandi non c’erano e io e le mie cugine cercavamo di farci regalare una birra per provare.
Mia cugina piccola intrecciava i miei capelli inserendo dei fiori colorati, quel gesto, leggero, delicato, quasi mi faceva sentire importante, strideva con le copertine lucide dei giornali a cui ci abituavano. Ragazze magre, belle e con la bocca sempre arricciata, giubbottini di pelle e tacchi a spillo da una parte, notizie di giovani appesi al muro con un cappio dall’altra. Mi ricordo quella notizia, la madre aveva perso ogni speranza.
Come la chiamano? Fragilità? Siamo fragili perché? Perché ci hanno bombardato con la perfezione, perché i volti che la gente comune chiama “anormali” sono figure che rimangono disperatamente fuori dall’inquadratura e mi rendo conto che io mi circondo solo di quello, di diversità da cui tutti di solito distolgono lo sguardo.
Sembra che vogliano spegnerci il cervello con questa ricerca della perfezione. Volti asettici, gambe flessuose, vite snelle. A lungo andare ho capito che quella perfezione a cui ci vogliono far aspirare io dovevo trasformarla. Ecco, ci scriverò una canzone. Magari mi porta fortuna. Sarò una collezionista di testimonianze della mia generazione, la meglio generazione, la generazione che ha perso il suo appuntamento con il futuro, cosa diceva Pasolini? Ah ecco ci insegneranno ad omologarci, già, a conformarci, esatto sembriamo, in un ovile, ammassati come maiali.
Già, bella questa, devo scrivere da qualche parte, prima che dimentichi.
Pronto?
Canti? O racconti?
Canto e racconto. Senti, sai che pensavo? Scrivo una canzone sulla mia generazione, quella congelata in un trauma senza fine.
Margherita…
Sì.
Andiamo a ballare un tango?
L’ultimo! Dovresti essere felice. Cos’è questa voce?
Niente, volevo sentirti.
Sai che ultimamente penso sempre a quando, da piccola, andavo a raccogliere castagne con le mie cugine, a quando ci sporcavamo con la ghiaia, nel terreno bagnato lungo il fiume. Mi ricordo che non riuscivamo a raggiungere mio fratello, in bici. Era il più veloce.
Perché pensi a questo?
Perché i ricordi a squarciagola ti vengono in mente quando ne hai bisogno. Abbiamo bisogno di sporcarci le mani di nuovo, di correre con gli obiettivi in mente, di cantare con il vento in faccia. Ma cos’hai?
Mi hanno risposto. Ti ricordi? Mi hanno dato quella parte, sai. Dobbiamo girare il film a Bergamo.
Sì, ho già capito. Si sente dalla tua voce.
Devo andare. Rischio di non essere chiamato da nessuno qui.
Ma certo. Certo, provaci. Io resto qui. Evitiamo di cadere nel melodrammatico, ok? Probabilmente mi confermeranno il tour, mi faccio inserire due date a Bergamo ok?
Sì ma… sai, queste storie a distanza. Non capisco. Cosa è andato male?
Abbiamo fatto del nostro meglio, sai? Non è colpa nostra, l’importante è tirare fuori quello che abbiamo. Dobbiamo adeguarci, altrimenti ci deprimiamo.
Che è uguale. Ci hanno messo in ginocchio amore mio, hanno cambiato le regole.
No, dobbiamo rimanere in piedi. Dobbiamo conoscere le regole per cambiarle. La delusione ha bisogno di tempo per trasformarsi in felicità, e poi saremo come astronauti che guardano oltre questi confini che ci stanno così stretti.
Sei sempre stata una ribelle. Una combattente. Sei la mia pugile che non si piega.
Sì avevamo tutti dei sogni.
La meglio gioventù eravamo noi.
Sì, giusto eravamo.
Rimarremo sempre la meglio gioventù.

Lara Carbonara

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