La mia solitudine è intatta.
In alto, le rupi selvagge merlate
splendenti incantate
sul turchese del cielo.
I silenzi selvaggi
mi hanno avvolto e vinto.
Sono un figlio d’America, Oakland è la mia terra, mia madre si chiama Stella Knight, poeta e artista, proprio come me. Tengo un diario letterario che ho solo dodici anni, vago per la mia classe da un banco all’altro, irrequieto, figlio del vento indomito. Un giorno fuggo via dal mondo conosciuto, la vita è arte, vagabondare in solitaria col mio cane Curly e due asinelli, gli unici compagni di un poeta. Ho diciassette anni, sono in Arizona, New Mexico, Utah, Colorado, visito zone selvagge, cerco case scavate nella roccia dai Pueblo. Vivo bene da solo, appartato dal mondo, conosco i Navajo e gli Hopi, li frequento, mi ammettono ai loro rituali. Il mio legame con gli uomini, con la mia famiglia, col passato sta tutto in un piccolo ufficio postale dove spedire lettere e ricevere notizie. La civiltà (che parola strana!) non fa per me, io amo il deserto e chi ci vive dentro, il cielo disseminato di stelle, l’oscurità e il silenzio, l’ignoto interminabile, il tempo in cui cammino immerso nella bellezza. Scavo con gli archeologi in Arizona, scopro sepolture di uomini senza testa, macabri reperti di Kayenta, misteri che non ho mai compreso. Poi me ne vado, in cerca di altri luoghi, verso Escalante, nello Utah, cavalcando un asino, tenendo l’altro legato alla cavezza, sempre più solo, dormo sotto i pioppi, in riva al fiume. Non resto troppo a lungo in un luogo, non voglio innamorarmi di nessuno, voglio viaggiare, scoprire cose nuove; affascinato dai canyon e dai misteri m’inoltro nel Davis Gulch, scavato dal vento e dall’acqua, in cerca di vecchi indiani, accolto da pastori che offrono cibo e asilo per la notte. Scomparso dentro al canyon, dileguato, dissolto come nube in mezzo al vento, mi cercheranno a lungo ma troveranno soltanto i miei asinelli. Io sono Nessuno che vaga verso il vuoto, Nessuno che fa ritorno al sogno, Nessuno anche se ho vent’anni, come Ulisse non farò ritorno. Mi dissolvo nella sabbia del deserto, divento cosa sola con le pietre, con le rocce, mi addentro nel mondo inconoscibile, per poi sparire definitivamente. Pareti verticali, crepacci, strade oscure, scherzare con la morte è il mio destino, il solo modo che conosco per vivere e morire, strizzando l’occhio al vecchio clown incartapecorito. Muovermi tra i dirupi dipingendo, scrivere versi per notti vagabonde, spezzare il pane e un quarto di montone con dei pastori accampati nella sabbia. Poeta vagabondo verso la fine dell’orizzonte che stringe un patto scellerato con il vento, questo sono stato, ma l’orizzonte non l’ho mai incontrato.
Everett non lascia traccia, si dissolve, spettatore innamorato della vita, d’un sogno che mi volle poeta naturale che racconta i miracoli del cammino, novello Ulisse smarrito tra le onde, senza una rotta oltre le colonne, senza una casa dove ritornare. I miei pochi versi gettati nel vento ricorderanno il mio nome.
Sempre sono stato un amante delle lande selvagge:
Un cauto incosciente che i picchi montani ha scalato,
Che del mare l’intrepida musica a lungo ha ascoltato,
Che sull’urlo del vento i suoi canti, nel deserto, ha intonato.
Sui sentieri, nei canyon, tra il caldo sospiro dei venti notturni
Che dolci soffiavano e soffiano tra i pini chiomati di stelle,
Ispirato, dietro al mio asino tranquillo ho camminato,
Sopra l’acqua che schiantava sulle rocce acuminate sottostanti.
Mi sono sdraiato nella fresca dolcezza dell’erba, e nelle radure
Di pioppi ho ascoltato il mormorio spettrale
Dei venti addolorati, laddove foglie d’argento fruscianti
Alle ossidate solitudini bisbigliano barbari rimpianti.
Il verde ondeggiamento del mare ho conosciuto; ho amato
Le rupi rosse e gli alberi contorti e i tersi cieli di turchese,
Il sollevarsi della sabbia bruna, le lente nubi assolate.
Ho assaggiato la pioggia e ho dormito al riparo di cascate…
Dite pure che patii la fame; che fui perduto e stanco;
Che dal sole del deserto fui bruciato e accecato;
Scalcagnato, assetato, per strane malattie ammalato;
Solo, bagnato, infreddolito… ma che il mio sogno non ho mai tradito!
Gordiano Lupi