Il demone e la musa. Vita breve e infelice di George Dyer e della sua ombra

Un istante prima di crepare, accasciato sulla tazza del cesso della lussuosa stanza di un albergo di Parigi, George la rivide davanti ai suoi occhi appannati, quell’ombra dal ghigno insolente che lo accompagnava da che era un bambino. Sentiva freddo, George. Le sue membra nude scosse dai tremori della febbre, i suoi vestiti gettati chissà dove in quel posto estraneo. George sorrideva senza accorgersene al pensiero che i begli abiti gli erano sempre piaciuti, ma il più delle volte si ritrovava nudo in qualche posto squallido. Stavolta però lo circondava un lusso esagerato, non sapeva quale posto fosse meglio per morire, se una latrina abbandonata o un anonimo palazzo, d’altronde non se lo era mai chiesto. In un tugurio ci era nato, George. E sempre con quell’ombra appresso, attaccata al culo fin dalla nascita. Se l’era filata l’ombra solo per poco e quando ciò accadde, George era convinto di essersela cavata. La morte, l’ho messa all’angolo, prova a trovarmi ora! Se lo ripeteva sghignazzando anche ora che se l’era ritrovata davanti e singhiozzava perché aveva compreso quando l’ombra se la fosse svignata: il giorno in cui Francis era entrato nella sua vita, quello in cui aveva conosciuto il tepore di un abbraccio, quello in cui si era sentito amato per la prima volta in vita sua. George era cresciuto nell’East End di Londra tra persone poco raccomandabili, poche regole gli erano state ben chiare fin da subito, doveva cavarsela da solo e non poteva fidarsi di nessuno. E così aveva fatto, passando dai furti ai taccheggi, dalle estorsioni alle rapine, sempre al soldo dei delinquenti più incalliti, quelli che avevano il controllo indiscusso su interi quartieri della città. George era bravo nel suo lavoro, non sorgevano mai problemi quando interveniva lui, tutto si svolgeva in maniera rapida e pulita. E quei vecchi criminali lo pagavano bene e volentieri, addirittura alcuni si affezionavano a George come fosse un figlio. Era bello, George. Un fisico massiccio e armonioso lo faceva somigliare a certe opere d’arte del passato, quelle che potevi vedere nei musei, quelle che pagavi fior di quattrini alle aste per avere nel tuo salotto. George amava i bei vestiti e le cene nei locali eleganti. E con il trascorrere del tempo, fiumi ininterrotti di whisky divennero la sua dieta regolare. Era il solo modo per tenere a bada l’ombra che lo accompagnava dappertutto, quella cosa scura e informe che puntava occhi invisibili su di lui e ridacchiava in modo sguaiato. Quando George non ne poteva più di quel riso limaccioso che adombrava la sua mente, si attaccava alla bottiglia e diventava crudele. E violento, con gli altri.

Mentre George non era al soldo di qualcuno, non gli dispiaceva fare qualche lavoretto per conto proprio, giusto per passare il tempo e non perdere la mano. Di solito si trattava di furti in case di gente ricca. Si piazzava in un locale che sapeva essere frequentato da quelli con i soldi, li osservava a volte per giornate intere, ne sceglieva qualcuno e si faceva avanti per ottenere tutte le informazioni di cui aveva bisogno. Il whisky rendeva loquaci e George sfruttava il suo fascino per carpire qualunque notizia gli potesse essere utile allo scopo losco che si era prefissato. E nel mezzo di un pomeriggio trascorso a puntare la sua prossima vittima in un pub bazzicato dalle persone giuste, George vide Francis per la prima volta e il suo universo all’improvviso parve collassare su se stesso riducendosi a una miriade di pezzi minuscoli e insignificanti. Erano da poco cominciati gli anni ‘60 e Francis già era considerato il più originale pittore inglese vivente. Pervaso da una aura magnetica capace di attirare chiunque tra le sue spire, dotato di una lingua tagliente che non risparmiava il suo prossimo, Francis si era fatto strada nel mondo dell’arte assorbendo ogni stimolo esterno. E riversandolo in modi mai visti sulla tela, aveva dato vita a una cruda visione personale dell’esistenza, non esente da un cupo e sferzante umorismo. Il viso di George si raggelò quando la rauca risata di Francis gli giunse alle orecchie. Quando lo stridore di quella sghignazzata gli si ripresentò poco dopo, George ammutolito si accorse che l’ombra non c’era più, aveva tolto le tende in fretta e furia dalla sua vita, scacciata dalla presenza ingombrante di Francis. Ora George non aveva altri pensieri, doveva conoscere Francis a ogni costo. Tornò con regolarità in quel pub dove lo aveva visto la prima volta, ma per giorni di Francis non sembrò esservi traccia. Cominciava a spazientirsi, George. Era terrorizzato che l’ombra potesse tornare da lui, che quel demone maligno si ripresentasse con intenzioni ancor più malvagie per vendicarsi di esser stato sloggiato. Solo la settimana successiva George rivide alla fine Francis. Aveva saputo da chi vi lavorava che quel posto era frequentato anche da noti galleristi e facoltosi collezionisti, Francis ci veniva solo per contrattare sulle vendite dei suoi quadri o stabilire i compensi per le mostre che gli venivano offerte. Soprattutto, dopo i continui appostamenti lì dentro, George ora sapeva chi fosse Francis e mentre la passione per quell’uomo molto più grande di lui cresceva a dismisura, si rendeva conto di quanto avessero in comune a dispetto delle differenze superficiali che sembravano farli apparire come appartenenti a due lontanissimi sistemi planetari. Erano cresciuti entrambi soli, avevano subito umiliazioni di ogni sorta, la vita l’avevano presa a dentate e sbranandola senza ritegno per nessuno erano sopravvissuti, ce l’avevano fatta. Certo, Francis era una celebrità, mentre George un criminale in ascesa che rischiava la galera ogni giorno. Certo Francis per via delle sue conoscenze altolocate poteva manifestare apertamente la sua omosessualità malgrado le leggi inglesi che ancora la vietavano, mentre George se beccato con un uomo in qualche cesso pubblico sarebbe finito in cella con pochi complimenti e per un pezzo. Tuttavia, la volontà che li aveva fatti arrivare fin lì era la stessa, con Francis più sicuro di sé rispetto a George, la cui vulnerabilità era stata sotto attacco costante dell’ombra. Ora però avrebbe potuto esserci Francis e con lui George avrebbe finalmente potuto respirare senza doversi guardare attorno con circospezione ogni singolo secondo della vita. E così fu, almeno all’inizio. Quel giorno, George abbordò Francis. Dopo che la gente che gli ronzava addosso per lavoro lo lasciò a bere da solo, George si mosse in direzione di Francis e senza temere il sarcasmo che ormai conosceva, ci provò con lui con la spudorata franchezza di chi ha messo l’ultima riserva di coraggio per compiere una ardua impresa. E funzionò. Francis fu colpito da quel goffo tentativo di seduzione. E ne fu rapito. Non poteva immaginare che quel sentimento allora agli albori avrebbe squassato la sua vita e messo in discussione la sua arte. Nessuno poteva prevedere che quel giorno avrebbe deciso della vita stessa di George.

Francis portò George a vivere con sé. George si allontanò dal mondo criminale che gli aveva dato da vivere fino ad allora e che costituiva la sua unica famiglia. Francis presentò George ai suoi amici del Colony Room, il club privato nel quale artisti di ogni genere si sbronzavano ogni sera fino a non reggersi più in piedi. E George cominciò a comparire sempre più spesso sulle tele di Francis. Era diventato la sua musa senza saperlo. George non comprendeva i quadri di Francis, anzi li trovava orrendi. Gli danno un sacco di soldi per quella robaccia inguardabile, diceva George anche davanti agli snob che Francis frequentava con regolarità al di fuori del suo lavoro. Eppure, la fama di essere diventato il modello prediletto di Francis lo lusingava oltremisura. Era diventato popolare, George. E faticava a rendersene conto. Amava Francis, lo amava in maniera cieca e non tollerava tutto quel ronzare di gentaglia inutile e vistosa attorno al suo uomo. Nemmeno gli amici di Francis sopportavano George, lo ritenevano l’ennesimo capriccio del momento. Terminata questa nuova fase della sua opera, accantonati i ritratti che Francis non smetteva un attimo di fargli, George sarebbe stato messo alla porta. Di questo, i membri del circolo di intimi di Francis ne erano più che convinti. La pressione era parecchia per George e il whisky tornò a essere la sua dieta abituale. Anche Francis beveva. E parecchio. Ciò che George non aveva messo in conto quando aveva creduto di vedere ciò che li accomunava, era che anche Francis era tallonato da un demone e questa creatura mostruosa non se ne era andata con l’arrivo di George, come era stato per lui e la sua ombra maligna. Le ubriacature cominciarono a essere la routine tra loro, esattamente come le sfuriate di gelosia e le crudeltà verbali che si vomitavano addosso l’un l’altro in continuazione. Tuttavia, Francis continuava a dipingere George. E da quei quadri traspariva una dolcezza per l’amato che mai prima si era vista nei suoi lavori. Nello scoprire ciò, Francis fu colto da un terrore improvviso e penando per le sorti della sua opera, si risolse ad allontanare George da sé. E così facendo, senza comprenderlo, condannò anche se stesso. E quell’arte che troppo lo possedeva senza dargli pace. Con il distacco tra i due, l’ombra di George si ripresentò più arcigna che mai. Riprese a lavorare per la malavita, ma non era più professionale come un tempo. Sempre ubriaco, sempre alle prese con barbiturici di ogni genere. Incapace persino di fare marchette per procurarsi i soldi per vivere, era diventato un fantasma. Quando seppe della grande mostra che il Grand Palais di Parigi avrebbe dedicato a Francis, George lo pregò di portarlo con sé. Francis accettò. Lo amava ancora e temeva al contempo ciò che provava, questo era quel che tormentava Francis dietro a quel distacco glaciale che si portava appresso stampato in faccia. Partirono alla volta della Francia. Mentre in taxi si dirigevano verso l’albergo, George ubriaco guardava l’ombra al suo fianco e pregava girandosi verso Francis di riconquistare il suo amore per scacciare quel fottuto male che lo perseguitava. L’esposizione sarebbe stata inaugurata di lì a due giorni, l’indomani Francis avrebbe dovuto fare un sopralluogo per accertarsi che tutto fosse in ordine. Sarebbero stati esposti anche dei ritratti di George, ma a lui questo non interessava ormai più. E il tentativo maldestro di riconquistare Francis quella sera stessa si concluse con un litigio furibondo. Francis abbandonò la camera e cercò altrove un posto dove passare la notte. George rimase solo con la sua ombra. Non aveva più forze. Mi arrendo, le urlò in prenda all’alcol. Divorami, farfugliò mentre si toglieva i vestiti, divorami e fammi sparire, ora! E così fu.

Alex Marcolla

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