La sera del debutto, Ronald tremava all’idea di salire su quel palco. Tremare, io? Ronald se lo ripeteva come una cantilena alla quale aveva dato il ritmo di un pezzo di Bowie. Non poteva avere paura, Ronald. Non aveva mai temuto niente e nessuno, lui. Sarebbe salito sul palco e si sarebbe esibito, un po’ Sally Bowles e un po’ Ziggy Stardust! Quello era il suo momento, la sua prima ufficiale apparizione sulla scena a Berlino Ovest. Era arrivato da poche settimane nella metropoli dei suoi sogni e avrebbe frequentato una prestigiosa università. Ronald non aveva ancora vent’anni e già era una leggenda. E mentre si sistemava il trucco davanti allo specchio scalcagnato nel camerino del più selvaggio gay club della città, Ronald ripercorreva le tappe di quella che sembrava già una moltitudine di esistenze vissute senza alcun freno. Sua madre l’aveva salutata il mattino in cui era partito e già gli mancava. Quella giovane donna dalla bellezza sfacciata che aveva scandalizzato il paese della Germania Est perché era venuta al mondo restando incinta senza essere sposata. La ragazza che aveva deciso di tenere quel figlio e aveva accettato a denti stretti l’esilio a cui i suoi genitori l’avevano condannata per una colpa che lei non riteneva tale. Aveva abbandonato tutto il suo angusto mondo la madre di Ronald e si era trasferita a Ovest in cerca di un futuro migliore per sé e per il bambino che portava in grembo. E quando Ronald nacque, sua madre si accorse che aveva i suoi stessi tratti. Con il trascorrere del tempo, quel bambino diventato un adulto precoce avrebbe palesato la stessa fierezza della fanciulla che gli aveva dato la vita. Come sua madre, anche Ronald aveva dimostrato coraggio fin da ragazzo, fin da quando poco più che adolescente si era presentato alla locale sede del Partito Comunista Tedesco pretendendo di iscriversi anche se non era ancora maggiorenne. C’era in quel giovane un famelico bisogno di vita che non prometteva bene, questo preoccupava sua madre alle volte, pur guardandolo con l’ammirazione di cui solo lei era capace perché in lui rivedeva una audacia sfrontata di cui aveva ben precisa memoria. Arrivò il tempo della scuola e Ronald dimostrò una attitudine insolita per l’apprendimento. Fu allora che diede a una sparuta manciata di pagine scritte nelle notti sottratte allo studio la forma di un racconto di formazione venato di crudo umorismo. E con tutta l’arroganza della giovinezza lo presentò a un editore affinché lo pubblicasse. L’anno precedente al suo diploma, il primo libro di Ronald uscì nelle librerie andando esaurito in pochissimi giorni. Mentre le ristampe si susseguivano, molte erano le lettere di ammirazione che giungevano alla casa editrice e non pochi di quelli che le avevano spedite avanzavano dubbi circa la giovane età dell’autore di quel testo così amato. Come era possibile che quel giovanotto fosse stato in grado di scrivere un lavoro così maturo? Eppure, Ronald ci era riuscito e lo aveva fatto con una consapevolezza di sé e del mondo che lo circondava del tutto fuori del comune. Sapeva molto bene Ronald che il protagonista del suo romanzo era un nuovo Werther, quello che meglio raccontava i tempi cupi che attanagliavano una Germania ancora divisa e quello in cui Ronald con fare impertinente e sicuro aveva gridato ai quattro venti di essere gay, assicurando una voce a chi non aveva la sua stessa forza. La strada era tracciata, non sarebbe più potuto tornare indietro. Per Ronald, per tutti quelli che anelavano a una vita libera. E dopo essersi diplomato a pieni voti, Ronald decise di andarsene, destinazione Berlino Ovest. In stazione, il giorno della partenza, Ronald abbracciò sua madre. Non si accorse o preferì non prestare attenzione alle lacrime trattenute da lei a stento. Per Ronald, era il distacco a rattristare la madre. Per la donna era la sensazione misteriosa che quel suo bellissimo e talentuoso ragazzo non sarebbe vissuto a lungo. E ora Ronald, nel camerino di quel locale affollato in attesa che la nuova vedette si esibisse, tentava di vincere la sua paura del palcoscenico ben sapendo che quella sera avrebbe dato il via a un nuovo corso della sua vita.
La popolarità delle sue esibizioni cresceva di serata in serata, i suoi studi procedevano spediti e l’impegno politico si intensificava con il passare del tempo. Era però la scrittura a occupare ogni piega della mente di Ronald. La concezione di un nuovo romanzo lo aveva catturato completamente e questa volta sarebbe stato un vasto affresco in cui il passato e il presente del suo paese sarebbero andati di pari passo con le sue esperienze intime e con il vivido sentire di una generazione incapace di trovare una bussola nel mare stantio delle ideologie. Restava comunista, Ronald. Malgrado il fallimento evidente di quell’esperimento politico, lui non accettava alcuna alternativa, nemmeno se avesse potuto correggerla dalle fondamenta. Semmai avrebbe riformato l’altro sistema, il solo che animava ogni suo zelo. Conclusa l’esperienza sul palcoscenico, terminati con lodevole anticipo gli studi universitari, Ronald sentiva il bisogno di passare all’azione concreta. E mentre rifletteva sul da farsi, si immergeva con la vitalità della giovinezza nelle notti selvagge della Berlino Ovest degli anni ‘80. Fu quando decise di presentare domanda per frequentare uno dei più illustri istituti per lo studio della letteratura nella Germania Est che conobbe Peter. E una nuova, ultima sterzata nella sua vita in perenne corsa ebbe inizio. Peter era uno dei maggiori autori teatrali della Germania Est, un uomo affascinante e un artista iconoclasta immerso in infinite contraddizioni. Sempre elegante, prestava attenzione al bel vivere e aveva un rapporto contrastato con le autorità del suo paese, pur tuttavia non era mai stato un dissidente. E questo gli permetteva di scantonare le rigide leggi del realismo socialista imposte anche al teatro e di presentare opere che esploravano con sorprendente libertà ogni espressione stilistica e ogni sfumatura della cultura tedesca, inclusa quella che puntava lo sguardo sul passato. I suoi numerosi nemici lo ritenevano un affettato borghese che giocava a fare il rivoluzionario, Peter però non si curava affatto di loro. Gli bastava la cieca fiducia nel proprio talento, che peraltro gli veniva riconosciuto anche all’Ovest e fin fuori dai confini dell’intera Germania. La sicurezza di Peter per il proprio valore equivaleva alla forte coscienza di sé che caratterizzava ogni gesto quotidiano di Ronald. Malgrado i molti anni di differenza, i due divennero amici. E in occasione della domanda di Ronald all’Istituto Becher di Lipsia, ebbero modo di conoscersi di persona dopo un lungo scambio epistolare. Ammiravano il loro reciproco lavoro e quel misto di individualismo anarchico e spirito progressista che caratterizzava entrambe le loro esistenze e le loro opere. Ammesso al Becher, Ronald si trasferì a Lipsia. Gli incontri frequenti con Peter saldarono il loro legame e senza che se ne rendesse conto del tutto, il drammaturgo divenne per Ronald quella figura paterna che mai aveva conosciuto nella sua breve esistenza. Continuava a lavorare al suo romanzo epocale, Ronald. E ben sapendo che terminati gli studi il suo visto provvisorio sarebbe scaduto obbligandolo a fare rientro a Berlino Ovest, chiese consiglio a Peter su quale avrebbe dovuto essere il suo prossimo passo. Il confronto tra i due si fece acceso. Da un lato Peter, che riteneva l’esperienza socialista la sola capace ancora di nutrire dubbi sulla storia del secolo breve malgrado gli orrori che continuava a perpetrare. Dall’altro Ronald, che pur condividendo appieno la posizione dell’amico tentennava. Mentre fuori da quelle serrate conversazioni, l’aria era mutata alla radice. Una tempesta stava arrivando, tanto potente da ridurre in cenere un mondo intero. E poco prima del crollo del Muro, convinto che se non ti getti in mezzo al pericolo finirai col morirci dentro, Ronald chiese e ottenne la cittadinanza della Germania comunista in agonia. Non si rassegnò alla fine di quella utopia, Ronald. Si batté fino all’ultimo, andando contro ogni tangibile realtà. Nel fare questo si scordò che ormai da un decennio un virus atroce si era propagato sul pianeta mietendo morti nella comunità che lo aveva eletto già da tempo a icona. A due anni dalla fine del comunismo in cui aveva creduto, dopo aver dettato le ultime pagine di quel suo romanzo che tutte le esperienze e tutte le esistenze avrebbe contenuto, Ronald morì in un letto di ospedale a causa di quel male di cui si era accorto troppo tardi. E lasciò quella madre che nel salutarlo anni prima aveva pianto nel vederlo partire.