Negli ultimi tempi, Eléonore sostava sempre più spesso davanti allo specchio. Con un occhio ispezionava il suo viso, l’altro lo puntava sull’immagine riflessa di Sébastien che immancabile poltriva sul divanetto alle sue spalle. Sono vecchia, rimuginava tra sé. Anche Sébastien ormai ha perso la sua freschezza, continuava a ripetersi a fil di voce, certa che il fratello non la stesse ascoltando. E adesso, come faremo? Di lavorare non se ne parla neppure, dobbiamo escogitare una soluzione, i soldi sono agli sgoccioli. Questi pensieri la attraversavano di continuo dopo essersi accorta che i quarant’anni erano dietro l’angolo. E non solo per lei, anche Sébastien era prossimo a toccare quel traguardo fatidico. Fratello e sorella legatissimi fin dalla nascita, erano venuti al mondo a breve distanza l’uno dall’altra. Erano sempre stati molto belli, Eléonore e Sébastien. Avevano sempre fatto affidamento sul loro aspetto per ogni cosa, soprattutto per ottenere una vita agiata senza faticare troppo. Non avevano lavorato un solo giorno della loro vita, si erano venduti di continuo al miglior offerente e gli anni erano passati come fulmini tra belle case, serate esclusive e viaggi da sogno. Ora che la giovinezza cominciava a sbiadire, avevano realizzato di non piacere più come un tempo. In realtà era stata Eléonore a rendersene conto, soprattutto lei non avvertiva più come prima gli sguardi carichi di desiderio che la sfioravano. Gli uomini sembravano aver deciso a un certo punto di riservare le proprie attenzioni a creature più giovani, voltando con lentezza decisa le spalle a Eléonore. Per Sébastien era differente. Certo le ragazze giovani lo guardavano meno che in passato, il mondo però era colmo di signore attempate e danarose che ancora pretendevano le sue carezze dandogli in cambio tutto quel che chiedeva. Maledetta ingiustizia, sibilava Eléonore mordendosi le labbra. Sébastien le ripeteva di stare tranquilla, che tutto sarebbe continuato come sempre, lui aveva già per le mani una ricca americana che avrebbe mantenuto entrambi. Tuttavia, a Eléonore questo non bastava. Continuava a ritenere la vecchiaia un processo senza possibilità di appello intentato contro le donne, una condanna voluta dagli uomini a proprio unico vantaggio. Sicuro, con la complicità di molte donne, soprattutto di quelle più giovani. Lo sapeva, Eléonore. Dopotutto lei era stata una di quelle donne. Ora però la storia era un’altra, ora nessuno sembrava più desiderarla e lei non voleva dipendere dal fratello. E se Sébastien si fosse stancato di lei? Se l’avesse abbandonata, come avrebbe fatto lei a cavarsela? Sola e vecchia, sarebbe sparita agli occhi degli altri e quel nulla che l’aveva terrorizzata fin da piccola l’avrebbe risucchiata una volta per tutte. E poi c’era la voce, quella che dal principio della loro storia li seguiva entrambi, quella che commentava ogni loro passo e lo rapportava all’epoca in cui Eléonore e Sébastien si erano ritrovati a vivere, quella che li usava per fare i conti con se stessa essendo l’artefice delle loro vite. La voce che li aveva creati per farne un intimo specchio delle proprie miserie. Eléonore e Sébastien, personaggi di finzione nell’esperimento romanzesco più ardito di Françoise.
Uno sparuto gruppo di persone sostava in silenzio attorno alla tomba di un piccolo villaggio occitano. La maggior parte di loro proveniva da Parigi, altri si erano radunati in quel luogo solitario arrivando da ogni parte della Francia. Non c’erano quelli che un tempo le riviste alla moda chiamavano pomposamente intellettuali. I presenti erano soprattutto lettori appassionati, affranti per la morte della donna le cui opere li aveva accompagnati per gran parte della loro vita. Françoise li osservava a distanza, nessuno di loro poteva vederla. Lei era morta giorni prima in un ospedale della Normandia e l’avevano appena seppellita. Quelli erano ciò che restava dei milioni di lettori delle sue opere e Françoise, come il personaggio di un romanzo, quel giorno aveva deciso di essere presente alle proprie esequie. Un ultimo atto d’amore nei confronti di chi le aveva donato una attenzione costante attraverso più di quattro decenni. Mentre la cerimonia di inumazione volgeva al termine, Françoise ritornava in maniera disordinata all’esistenza convulsa che si era da poco conclusa. E l’immagine di Eléonore, la protagonista di uno dei suoi libri, le si presentava con forza alla memoria. L’aveva creata al principio degli anni ’70 con l’intento di guardarsi indietro più a fondo di quanto non avesse fatto in precedenza. E forse fu nell’atto stesso di dar vita a Eléonore che Françoise si diede per vinta. Il personaggio che le avevano cucito addosso con sprezzo aveva avuto il sopravvento e l’aveva divorata senza lasciare traccia alcuna della persona che era stata in realtà. La cinica Françoise, la libertina attratta dalle auto da corsa e dal lusso, la creatrice di facili trame a uso e consumo dei borghesi sempre in cerca di storielle pruriginose che li giustificasse nel loro agire quotidiano. Una sfilza di etichette, una sequela di indumenti di immane pesantezza cuciti addosso a una ragazzina minuta con la sola colpa di aver avuto un enorme successo prima dei vent’anni. Un successo di scandalo, oltretutto. Un libro che oggi viene considerato un classico, ribadiva tra sé l’ombra di Françoise mentre osservava i convenuti al suo funerale lasciare piano e un poco alla volta il cimitero di Seuzac. Appena tutti se ne fossero andati, lo avrebbe fatto anche lei. Avrebbe lasciato questa terra per sempre e si sarebbe forse ritrovata in un luogo privo di quel che la sua generazione aveva ribattezzato come male di vivere. E forse solo allora avrebbe trovato la quiete. E se anche la memoria come la sofferenza non avesse trovato spazio laddove stava per andare? Ecco, ciò sarebbe dispiaciuto a Françoise. A dispetto di quel che le avevano appiccicato sopra tutta la vita, non era mai stata attratta soltanto dal qui e ora.
All’inizio, certo. Era giovane, però. E quando si è giovani il passato non conta, semplicemente perché non si è vissuto ancora abbastanza per averne uno. E poi, come poteva Françoise non considerare tutto quello che aveva alle spalle? In fondo, per firmare i suoi libri aveva adottato un cognome che aveva a che fare con il tempo passato, quello perduto e quello ritrovato. Tra un istante sarebbe sparita per sempre. Non le importava di riesumare gli scandali e gli scoop giornalistici che la riguardavano. Desiderava tornare un’ultima volta alle pagine che le avevano dato il cognome che l’aveva accompagnata fino all’ultimo dei suoi giorni. Eccola bambina al fianco delle sorelle nella grande casa di Lione in cui i suoi genitori si erano ritirati anni prima per sfuggire alla guerra. Ecco suo padre, dal carattere solare e malinconico a un tempo, pieno di impaziente amore per la vita. Da lui Françoise aveva tratto tutto il meglio e il peggio del suo rocambolesco carattere perennemente insoddisfatto. Ecco sua madre, terrorizzata dalla noia e dal rapido trascorrere delle stagioni. Anche questi aspetti facevano parte di Françoise, responsabili anch’essi di quel macerarsi che aveva finito con il consumarla lasciandola sgomenta una volta raggiunta la maturità. Erano molto ricchi, i genitori di Françoise. E spesso assenti da casa, il padre assorbito dal suo lavoro, la madre impegnata in una continua fuga mondana. Non le spiaceva quella solitudine allora, era giovane e si sentiva più libera dei suoi coetanei. Così era per la sua educazione. Françoise pescava ciò che voleva dagli scaffali della grande sala riservata alla lettura che occupava gran parte del luogo in cui viveva. E arrivò il giorno in cui, dopo già molte disordinate letture, le capitò in mano un libro destinato a segnare le sue scelte. Si trattava del primo tomo di un’opera in sette volumi, un labirintico racconto che un uomo fragile e geniale aveva dedicato ai temi della memoria e del tempo. Françoise passò intere nottate immersa in quelle pagine dal ritmo lentissimo e suadente, assaporò ogni singola parola a pieni polmoni, trascrisse interi passaggi come se da quelle parole dipendesse l’esistenza stessa del mondo e il ruolo che lei ne avrebbe avuto. Riemerse da quella lettura con una certezza lancinante, sarebbe stata una scrittrice. E avrebbe preso come cognome artistico quello di uno dei personaggi dell’opera che più aveva amato. Sì, tutti l’avrebbero conosciuta soltanto come Mademoiselle Sagan. E sorridendo a questo ricordo, Françoise lasciò per ultima il cimitero in cui avrebbe riposato negli anni a venire. E sparì nel nulla.