Quella sera Joe avrebbe dovuto presenziare a una ennesima inaugurazione. Una mostra dei suoi nuovi lavori era attesa da tempo e Joe immaginava già che tutto si sarebbe svolto come sempre. Le stesse facce, per cominciare. Quelle che da un decennio gli ronzavano intorno meravigliate per l’originalità delle opere sparse nella galleria di New York che lo rappresentava. Gli stessi commenti, quelli di chi non sembrava comprendere in alcun modo l’evoluzione della ricerca che stava portando avanti. Quelli che non si rendevano conto della stanchezza che traspariva ormai da un pezzo dalle sperimentazioni di Joe. Poi, gli abituali convenevoli e i complimenti farciti di falsa competenza da parte di chi in quegli anni era alla costante ricerca del proprio quarto d’ora di celebrità. Anche se sempre più di rado, Joe si chiedeva ancora come facesse Andy a sopportare tutta quella fauna inutile che gli girava appresso. Solo a mente fredda, Joe comprendeva che fino in fondo quel mondo farsesco era dopotutto una invenzione di Andy. Lo aveva creato lui quello spettacolo quotidiano e ci sguazzava in mezzo senza battere ciglio. Al contrario, Joe non ne poteva più da parecchio e smaniava per tirarsene fuori. Avrebbe voluto praticare la sua arte in privato. Soprattutto, ora desiderava dedicarsi a ben altro. Alla lettura e alla scrittura in primo luogo. Quella sarebbe stata la sua ultima mostra. Vi avrebbe presenziato certo, dopo basta. Voleva trovare il coraggio di fare come la Garbo, mollare tutto all’apice della popolarità e cominciare a vivere la sua vita. Joe era un artista che non si divertiva più a fare arte. Se avesse continuato su quella strada avrebbe vomitato soltanto opere in serie, ben fatte di sicuro ma impersonali. Joe cominciava a non provare più alcunché quando si metteva al lavoro nel suo studio. Il timore di creare per inerzia lo paralizzava ogni giorno di più. Per questo i suoi allestimenti si erano notevolmente diradati negli ultimi anni. Dieci, per l’esattezza. Volati via quasi senza accorgersene insieme alla sua curiosità ridotta ora al lumicino. Non era svanita del tutto, però. Da qualche tempo aveva ripreso a leggere con foga come ai tempi della sua adolescenza trascorsa in Oklahoma. E con la rinnovata impazienza di leggere il maggior numero di pagine possibili aveva fatto capolino nella sua mente la tentazione di scrivere. Dapprima si era trattato di pensieri in disordine, in seguito era passato a episodi ordinari delle sue esperienze notturne. Ecco dunque la lunga fila dei volti quasi del tutto anonimi dei suoi molti amanti. Solo alla fine aveva allargato il campo delle sue notazioni a ciò che lo circondava, quel mondo in pieno subbuglio che stava approdando a una nuova epoca desiderosa di lasciarsi alle spalle le vecchie consuetudini. Come legare tutto questo, come conferire un senso compiuto a questa accozzaglia di dettagli caotici? Se Frank fosse stato lì accanto a lui, Joe lo avrebbe interrogato e lui sarebbe riuscito a illuminare i suoi dubbi con una delle fulminee intuizioni per cui era diventato leggendario. Frank però non c’era più da qualche anno. L’amico poeta di Joe era morto in maniera assurda e con lui se ne era andato un uomo capace di accendere la sua ispirazione. Giunse all’apertura della mostra con qualche minuto di ritardo. Tutto si svolse come aveva preventivato quel pomeriggio. Di festeggiare l’ennesimo successo non se ne parlava. Semplicemente, Joe non era in vena. Joe era stanco di tutto. Si ritirò nel proprio letto da solo e si mise a dormire.
Quella notte e le successive Joe le trascorse immerso in strani sogni che sul momento gli apparirono dei singolari caroselli pubblicitari. I volti dei suoi genitori vi comparivano nel mezzo di un popolare film muto, una sua insufficienza a scuola era accompagnata da una nota marca di zuppa in scatola, il suo primo bacio si fondeva con la carezza immaginaria di un idolo pop. I ricordi della sua breve vita andavano a braccetto con i prodotti consunti della luccicante cultura popolare, la stessa che il suo amico Andy aveva reso celebre con minime variazioni nelle asettiche tele che produceva a getto continuo. Ormai Joe attendeva impaziente il farsi della sera per scivolare piano in quel guazzabuglio di immagini giustapposte a caso dai fermenti del sonno. A occhi aperti, Joe comprese che se avesse trasposto quella vacua trafila di immagini su tela non avrebbe creato nulla che altri in passato non avessero già fatto e in alcuni casi in maniera superba. Soprattutto, comprese che il tassello mancante per approdare alla pagina scritta era la memoria nei suoi aspetti più logori. Mettendo insieme i brandelli consunti del suo passato con le rappresentazioni stantie che lo avevano nutrito, Joe sarebbe riuscito a raccontare come mai nessuno prima di allora il tragitto che lo aveva fatto arrivare fino a quel punto. E una intuizione fulminea gli si palesò davanti agli occhi. La complessa raffigurazione della sua vita che aveva in mente avrebbe avuto inizio con un banalissimo “mi ricordo” ripetuto fino allo sfinimento. Si gettò senza requie sulla pagina e lontano da ogni sollecitazione esterna completò in un breve febbrile periodo il libro che agognava di scrivere da tempo.
Cominciava un nuovo decennio e quando il personale autoritratto di Joe fece la sua comparsa, sembrò già proiettato in un futuro lontanissimo agli occhi dei più accorti lettori di allora. Quel diario intimo dall’apparenza improvvisata era in realtà il frutto di un disegno preciso che si era chiarito nella mente di Joe man mano che la scrittura procedeva. I richiami alla cultura popolare erano stati da lui accuratamente scelti e intrecciati con ricordi precisi della sua infanzia e dei suoi primi anni a New York, conferendo origine a nessi capaci di illuminare non solo la vita di Joe ma quella di ogni altra persona che si fosse accostata a quelle pagine senza pregiudizio alcuno. Svanivano gli imbarazzi anche di fronte agli episodi più crudi grazie alla sottile autoironia e alla genuina innocenza che facevano parte integrante del carattere di Joe. Alla fine, gli apprezzamenti per quel libro fuori del comune fecero enorme piacere a Joe. Soprattutto perché furono davvero pochi quelli che avevano raggiunto il nucleo incandescente di quel suo reiterato “mi ricordo”. Mentre Joe proseguiva sempre più nella sperimentazione di quel procedimento, la scrittura prendeva con deciso vigore il posto dell’arte. Le sue uscite pubbliche diminuivano ogni giorno di più, fino a quando sul finire degli anni ‘70 Joe abbandonò del tutto la scena diventando alla fine la Garbo che desiderava essere. Quando giunse il suo ultimo giorno, anche la scrittura era stata esplorata a tal punto da procurargli unicamente una molesta sensazione di routine. Gli era rimasta soltanto la lettura, unica compagna che mai si era ripetuta nel corso della sua breve esistenza.