Le prigioni di carta di Barbara Molinard

Senza che se ne fosse resa conto, Barbara lasciava sempre più raramente il suo appartamento. Suo marito aveva tentato in tutti i modi di aiutarla, la stanchezza però aveva avuto il sopravvento su di lui. Ora, ogni volta che usciva di casa perché aveva un servizio fotografico da consegnare, non si chiedeva più se l’avrebbe trovata o meno al suo ritorno. Si vergognava a pensare che se fosse sparita o peggio, se fosse morta, per lui sarebbe stato un sollievo. Un misero istante di quiete in quel tortuoso cammino in cui si era tramutato a quel punto il loro matrimonio. Al principio, le cose erano state ben diverse. Si sa, quando una storia comincia tutto è luce, e le ombre appartengono solo agli altri. Nel momento in cui si erano incontrati, lui era un aspirante fotografo e Barbara viveva quella che riteneva la sua vocazione di scrittrice con una gioia senza pari. Il matrimonio coincise con i primi lavori di lui e le sue lunghe assenze da casa non erano un problema per Barbara. Si concepivano liberi e tali pretendevano di essere, lontani dal modello che i loro genitori avevano tentato di far passare ai figli. Se l’ispirazione latitava, Barbara seguiva il marito impegnato a fotografare le infinite solitudini che incrociava per le strade di Parigi. In alternativa, quando lui riusciva a trovare i soldi per realizzare dei cortometraggi, Barbara coglieva l’occasione per esercitare la sua scrittura onirica sui soggetti realistici che poi venivano sviluppati per immagini in quei brevi documentari. Divennero genitori. Arrivarono gli anni ‘60 e si impegnarono nelle lotte sociali da cui sempre si erano sentiti coinvolti. L’impegno di Barbara era rivolto con fermezza e passione in favore delle donne e della loro libertà sottoposta a un quotidiano attacco. Al centro di tutto, la scrittura restava per Barbara il faro capace di orientare la sua comprensione del mondo. Com’era cominciata quella discesa agli inferi che portò Barbara a isolarsi da tutto ciò che la circondava nel giro di un decennio? Piccoli segni, almeno all’inizio. Trascorreva le mattine a scrivere. Una manciata di fogli bianchi posti sulla scrivania che venivano coperti con rapidità da una calligrafia minuta e nervosa. Riempite quattro o cinque pagine la penna si zittiva e per pochi interminabili minuti Barbara si irrigidiva come in preghiera davanti a ciò che aveva buttato su quella carta. Poi uno strappo, due strappi e una pallina che raggiungeva goffa il cestino accanto a lei. E ricominciava a scrivere daccapo, calcando talvolta su quei fogli fino a bucarli, sfogando una insoddisfazione a cui Barbara non trovava via di scampo. Gli incubi che nascondeva nel proprio animo si riversavano nei racconti che produceva e che di continuo distruggeva con sempre più intensi attacchi di rabbia. Quando quei demoni si stancarono di essere appiccicati a cumuli di carta straccia, cominciarono a gironzolarle intorno danzando minacciosi. Bastò un attimo e Barbara si ritrovò prigioniera della propria stanza, in preda a fantasmi che tentava inutilmente di ingabbiare in storie sempre più oscure che nessuno era ancora riuscito a leggere.

Marguerite era già una scrittrice molto conosciuta quando incontrò Barbara per la prima volta. Il panico non si era ancora impadronito di Barbara e malgrado il velo di malinconia che le sfiorava gli occhi, Marguerite aveva subito intuito che la donna di fronte a lei avesse un immaginario in pieno subbuglio che tentava di governarne lo spirito. Si piacquero immediatamente. Si conobbero grazie alla reciproca dedizione che riservavano alle battaglie per i diritti delle donne e alla passione che entrambe nutrivano per la parola scritta. Marguerite aveva pubblicato diversi libri e il suo nome veniva da qualche tempo associato anche ai primi film che si era messa a dirigere. Barbara non aveva pubblicato ancora una sola riga, era sicura che presto ci sarebbe riuscita e che quella nuova singolare amica di poco più grande di lei le sarebbe stata di grande ispirazione. Per qualche tempo Barbara e suo marito formarono con Marguerite un vivace trio capace di toccare qualsiasi argomento, dalla politica alle arti, al ruolo delle donne nella nuova società a cui le lotte in corso avrebbero inevitabilmente condotto. Barbara continuava a riempire pagine che poi gettava con sempre maggiore fastidio nei rifiuti. Marguerite attendeva paziente che l’amica le consegnasse qualcosa di suo da leggere. Quando gli incontri tra i tre amici cominciarono a diradarsi, Marguerite sulle prime non vi prestò particolare attenzione. Era una donna molto impegnata, la scrittura la assorbiva di continuo e quando le dava un attimo di tregua, Marguerite si ritrovava volentieri in mezzo ai giovani contestatori che la guardavano come se fosse una loro coetanea per lo spirito anarchico che da sempre la guidava. Un mattino sul presto Marguerite sentì bussare con insistenza alla porta di casa. Un uomo afflitto da una tristezza immensa si presentò davanti a Marguerite quando lei aprì alla fine la porta. Era il marito di Barbara. In pochi concitati istanti le illustrò la condizione in cui Barbara era precipitata. Una volta calmato l’uomo, Marguerite lo invitò a recuperare un poco di quel sonno perduto nelle ultime interminabili notti trascorse tra le lacrime. E chiuso piano l’uscio di casa, Marguerite si diresse da Barbara convinta che solo una cosa avrebbe potuto forse aiutarla, nella speranza che a quel punto non fosse ormai troppo tardi.

Il primo libro di Barbara arrivò nelle librerie l’anno successivo a quello che aveva visto lo scoppio del Maggio francese. Marguerite aveva accompagnato Barbara nella scrittura di quelle pagine un passo alla volta e con una perseveranza decisiva che non aveva tralasciato la dolcezza. Una manciata di splendidi e insoliti racconti aveva finalmente visto la luce. Non che Barbara ne fosse soddisfatta, il panico era sempre dietro l’angolo. Marguerite però le aveva trasmesso nei momenti di maggior fragilità la consapevolezza che la perfezione non appartiene alla scrittura e che esattamente in ciò consiste la sua bellezza. Barbara sembrava aver fatto propria questa attitudine. Marguerite intuiva che non era del suo solo aiuto che Barbara avrebbe avuto bisogno. Per sostenere quell’esordio tardivo, Marguerite scrisse una vivida prefazione al volume che era anche il ritratto di Barbara e il resoconto del legame che la univa a Marguerite. All’inizio, quel libro smilzo introdotto da una delle più celebri firme delle lettere francesi destò grande curiosità. Si trattava di racconti in cui il quotidiano veniva perlustrato con timore per la sua assonanza quasi impercettibile con la cupa prontezza di una ragnatela che ti avvolge senza lasciarti scappare. L’interesse iniziale svanì in fretta, troppo difficili da accettare quelle porte familiari che si spalancavano su paesaggi tanto inattesi quanto comuni. Bastarono pochi mesi e il volume sparì dagli scaffali delle librerie. Dopo l’assaggio di un lampo di fama, il nome di Barbara ritornò nell’oblio. E lei riprese la sua folle rincorsa della perfezione. Nessuno poteva ormai fare più niente per strapparla a quella spirale ossessiva. Le visite di Marguerite si ridussero con il passare del tempo. Troppo doloroso per lei assistere al declino irreversibile di quell’amica preziosa. Troppo pericoloso per la pur fragile Marguerite assistere impotente alla disfatta di un simile talento.

Alex Marcolla

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