Sull’altare dell’arte sono morti i più grandi farabutti della storia

Carta per il pesce

I rimproveri cambiano voce, padri ai padri, becchini ai becchini.
I primi ti hanno accolto, gli ultimi ti saluteranno
schiacceranno il meno tre.

Nel mare di ratti migliori di te, sulla strada
un’altra giornata puzza di alito bianco
lo stanco vecchio prova a spiegarti l’amore
il priore, dopo la messa, scuote il capo
in un grappolo di dita appese al ramo
lontano, dietro ai campi, il lampo ti divora.

La mora amara ti pizzica la lingua
la lunga attesa di una dolcezza perduta
la muta civetta aspetta, paziente
passa la gente sotto il mento
ribolle il vento sotto i piedi.

Gli eredi non hanno più morti da pregare
ti sono sempre care le tue litanie
le piccole manie di accarezzarla
aspettarla nel luogo e nel tempo che non aspetta
nella tua bella casetta col miele e con le api
apri un’altra volta la tua carta per il pesce.

Chi riesce davvero a dire il nulla?
Chi resta nella memoria senza parlare?
Sull’altare dell’arte sono morti i più grandi farabutti della storia.

Tu, la tua puzza, il tuo siero, la tua verità
chissà perché non hai amato la bugia gloriosa
quella certa bugia senza nome che amano tutti
eretti e immobili davanti al loro tavolo coi fiori
senza colori negli occhi, ti guardano, guardano un pozzo.

Nel gozzo della cicogna, si vergogna l’ultimo verme.

***

Alla fine di questa festa
quando gli angeli o i diavoli ti diranno vieni
dopo una morte lunga e indigesta
dopo aver nuotato nei mari vuoti o pieni
sotto la folla, bramosa e avida di amore
dietro gli specchi di tutte le terre
nelle pozzanghere e nei fiori, nel loro colore
nella pace o nella più sanguinosa delle guerre
in fondo al tuo tempo, l’unica cosa che hai
nella tua mente, nei ricordi dei giorni belli
in tutto quello che non riavrai, o che non sai
nelle doglie tue si perde il tremito dei capelli.
È dolce il pianto del mondo
ascolta!
è la bestia viva che mangia quella morta.

Franco Malanima

Il male nel divino

Le risate lontane, sotto gli echi della grotta
quella volta erano nitide e piene di zafferano
in un tempo lontano, piangevano i sorrisi e
i visi, di porfido e marmo pregiato, vivevano
erano sgombri di fredde fonti, di ruscelli belli
erano quelli che da qualche parte ci hanno cantato.

Quella volta eravamo pieni di vento, eravamo aria
sulla ghiaia beccavano le galline, cercavano guerra
e per terra ci rotolavamo, con gli stracci in una mano
con la seta d’organza sul viso, col riso, il sacro velo
sul pelo del letto navigavamo.

Erano i giorni delle carni esangui e delle bocche
troppe volte li abbiamo negati, schiavi dell’uva
stanotte piangiamo di nuovo, dalla lingua
la lunga sorgente di siero rosso, primordiale
il male non esiste fuori dal divino
ne è l’essenza stessa, se ne disseta, e lo disseta.

***

L’uomo invisibile

Stamattina ti sei svegliato presto, eri stanco di dormire
ti sei affacciato dalla ringhiera fredda del balcone
e ti sei guardato le tue mani venose di cartapesta.

Hai fatto colazione con il caffé freddo di ieri sera
la zanzariera si è rotta
è diventata la porta d’ingresso per la tua carne
le rane in giardino cercano di farsi venire un infarto
ma non ci riescono, non riescono neanche a morire.

Vedi venire, lenta, dall’acqua che l’ha plasmata
un’escargot che si trascina addosso la sua vita incerta
e neanche lei vuole immaginare la morte
immagina solo di arrivare lontano, dove tutto è pioggia.

Al mondo c’è chi ride e chi non ride
i bambini ridono, se ne fottono della morte
le botte non sono mai abbastanza forti quando sai ridere così.
E ti chiedi allora perché esistono i notai
perché non hai mai saputo immaginare un notaio bambino.

Il vento nel corridoio, tra le finestre spalancate
il rumore terribile dello scotch marrone, stra! stra! stra!
le case appena svuotate ti piacciono tanto, le leccheresti
leccheresti i residui del corpo passato, quello che ha lasciato.

In tasca hai un biglietto con su scritto ciao
forse la scritta non si vede più, lo tocchi troppo spesso.
Regalatemi solo libri di poesie, vorresti urlare
ma chi può sentire le urla di un uomo invisibile?
chi può distinguere la tua voce sotto il rumore delle escargot?

Sotto il tavolo c’è la strega che stringe il grande orologio
tic tac, tic tac.
Sulla strada passa un grosso cane col cazzo rosso
dalla punta si stacca una goccia bianca e gialla di urina
è tutta in quella goccia la tua mattina.

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