Quando Susan mise piede su quella spiaggia, ancora non le era chiaro cosa l’avesse condotta fino a quel luogo desolato. Vi era arrivata camminando immersa nei suoi pensieri come era solita fare. Camminava e camminava tentando di stancarsi tutte le volte che le risultava difficile mettere a fuoco quel che le faceva male. Era arrivata a East Hampton ai primi di novembre per trascorrere qualche giorno di pace lontana da ogni preoccupazione quotidiana. Aveva da poco consegnato il suo primo romanzo a un editore che l’aveva accolto con malcelato entusiasmo, ma non riusciva a togliersi dalla testa che qualcosa non le tornava nella storia che aveva raccontato con tenacia in quelle pagine. Perché aveva dato alla sua protagonista quel cognome? Susan si ripeteva questa domanda mentre pestava i piedi sulla sabbia incurante del freddo e dell’oceano agitato lì a due passi da lei. Come starà Jacob? E i bambini? Susan non capiva per quale ragione da qualche tempo si facesse quelle domande con insistenza. Amava la sua famiglia, l’aveva voluta con tutta se stessa. Tuttavia, le fitte pagine di quel suo manoscritto avevano portato a galla ombre che pensava fossero sepolte dal peso dei ricordi. E poi c’era Sophie, la donna a cui aveva consegnato i suoi pensieri più intimi, la protagonista di quella storia fatta di strappi continui in frangenti essenziali della vita di ognuno. Le aveva attribuito ferite insanabili che ti trascinano lontano da quelli che ami e ti scaraventano negli anfratti più cupi di infinite notti solitarie. Quelle che ti rubano il sonno prima di condurti al patibolo. Susan aveva battezzato il suo alter ego Sophie Blind. Dunque, Sophie era cieca. Come Susan. Entrambe si rifiutavano di mettersi faccia a faccia con le proprie carni ridotte a brandelli, entrambe avevano preferito non vedere ciò che aveva inferto quei fendenti fingendo che il tepore del focolare domestico avesse sanato anche il pur minimo graffio evidente. E creando Sophie, tutto quel che Susan aveva serrato nel minuscolo sgabuzzino nascosto in fondo al suo animo riemerse improvviso e con l’effetto di una rumorosa deflagrazione. In apparenza senza rendersene conto, Susan aveva deviato verso le acque dell’oceano e bloccandosi all’improvviso aveva voltato furtiva la testa come una bambina sul punto di compiere una marachella in cerca di scocciatori di passaggio. Sì, ora lo ammetteva. Quel libro l’aveva chiamata. Sophie l’aveva implorata di liberare tutte e due da quel dolore acuto che si portavano appresso da prima che arrivassero negli Stati Uniti. Era giunto il momento di riannodare i fili con ciò che Susan aveva preferito dimenticare, con quelle fratture che però non si erano scordate di lei. E nel fare questo, si incamminò lenta verso l’oceano senza che nessuno badasse alla sua presenza.
Quando giunse a New York insieme al padre, Susan era ancora una bambina. In Europa si era a un passo da una guerra spaventosa e temendo per la figlia, Sandor si era deciso a lasciare Budapest dopo aver tentato di convincere inutilmente il resto della famiglia a seguirlo. La tempesta che sarebbe arrivata di lì a poco estendendosi anche al resto del mondo avrebbe spazzato via alla radice il mondo che Susan aveva imparato a conoscere e amare nel corso della sua infanzia. Suo nonno Mozes le aveva trasmesso un intero patrimonio di miti e narrazioni che costituivano la base rigogliosa di una plurimillenaria civiltà. Era un uomo severo, Mozes. Come rabbino capo della comunità di Pest, imponeva la propria autorità con piglio deciso nel timore che ogni pur piccolo scostamento dalle regole avrebbe condannato tutti loro a perdersi una volta per tutte. Quando il nonno pronunciava i suoi sermoni, Susan lo contemplava in estasi ben attenta a non farsi scoprire. A lui Susan doveva quella passione per lo studio delle religioni che parecchi anni più tardi ne avrebbe fatto una delle pensatrici più originali del suo tempo. Tuttavia, il futuro non era contemplato nei pensieri di quella bambina curiosa a cui pareva di vivere in un luogo protetto da un invulnerabile sortilegio. Il padre di Susan non aveva seguito le orme paterne. Il suo intelletto si esprimeva nella dedizione agli studi di psicanalisi e alla cura dei suoi pazienti. Sandor apparteneva alla modernità, le religioni gli apparivano come un affascinante terreno minato da decifrare con cautela e precisione. Mozes e Sandor faticavano a comprendersi, un padre convinto che tradire le proprie radici equivaleva a consegnarsi alle tenebre fronteggiato di continuo da un figlio sicuro che la razionalità della sua disciplina avrebbe dissipato ogni ombra e sconfitto qualsiasi spirito maligno. Eppure tutta la scienza di Sandor nulla era riuscita a fare contro i tormenti della passione che gli si erano presentati quando aveva conosciuto Marion, la madre di Susan. Era bellissima, Marion. Prigioniera del suo fascino e di una inquieta brama di vivere. Nella loro unione non c’era stato un solo istante di pace e fin dal principio si erano ritrovati a essere passeggeri di una imbarcazione in balia di una furibonda tempesta. Quando si giunse alla separazione, per Sandor era chiaro da un pezzo che la figlia era stata il solo miracolo di un legame avvelenato fin dal principio. Solo molti anni dopo, Susan comprese che il primo strappo indelebile nella sua vita era stato il divorzio travagliato tra quei due caratteri male assortiti. E a quella improvvisa presa di coscienza fece risalire la prima scintilla del romanzo che avrebbe avuto come protagonista Sophie Blind. Marion continuò per la sua strada, preda di un demone che la scaraventava in mezzo a ogni tipo di esperienza nella disperata speranza di placare una fame che pareva non accontentarsi mai di nulla. Sandor prese con sé Susan e presagendo che dopo l’avvento al potere di Hitler in Germania nessuno di loro sarebbe più stato al sicuro nel Vecchio Continente, scelse di mollare tutto e partire alla volta di New York. Si incaponì nel disperato tentativo di convincere i genitori a seguirlo, cercò in tutti i modi di portare con sé anche Marion. Fu inutile. E pochi mesi prima dell’invasione nazista della Polonia, con Susan in braccio salì su un treno e lasciò il suo paese per sempre. Quel giorno in stazione Marion non si era presentata. Susan in lacrime non riusciva a distogliere lo sguardo dal volto accigliato del nonno che sostava sulla banchina in attesa che il treno partisse. Lo sguardo di Mozes era rivolto a Sandor, un’ultima insensata sfida tra padre e figlio. Dietro quel cipiglio torvo però si nascondevano per bene le lacrime del vecchio Mozes, sapeva che non avrebbe mai più rivisto la sua piccola Susan.
Susan procedeva dritto davanti a sé, l’acqua fredda dell’oceano le era arrivata ormai alla vita. Piangeva Susan ripensando al viso antico di suo nonno, l’altra insanabile frattura della sua vita, quelle radici che Mozes riteneva fondamentali per non essere risucchiati da un inarrestabile oblio. Lì si trovava Susan, in mezzo a un oblio in tempesta, tolta dalla terra in cui aveva cominciato a mettere radici, privata dell’indispensabile tepore materno. Come aveva potuto fingere così a lungo, come era riuscita a resistere fino a quel momento? Sophie era nata dalla sua testa, si era nutrita della sua memoria e ora la condannava a fare i conti con l’indicibile. A quel punto, nemmeno l’amore per Jacob e per i suoi figli avrebbe potuto fare più nulla per salvarla. E sì che i primi anni con Jacob erano sembrati unici. La coppia più ammirata di docenti che la Columbia University avesse mai avuto. Entrambi europei, entrambi attenti e appassionati studiosi delle religioni. Pensatori giovani dalle menti vivacissime. A ripensarci ora, lei comprese che c’erano due Susan. Quella nata a Budapest che aveva assorbito un universo dalla ricchezza di narrazioni mai assaporata in seguito e quella rinata a New York, figlia di un tempo nomade e incerto non più interessato al valore delle storie perdute nelle spire del tempo. Una frattura definitiva aveva sancito il legame tra le due Susan, l’una non poteva esistere senza l’altra, la prima era già morta, la seconda si apprestava a farlo. E nel pensare questo, Susan si abbandonò al turbinio delle acque dell’oceano che la stava inghiottendo.