Francesca Serio, donna siciliana, ribelle per amore

A volte la vita oppone personaggi e, con loro, visioni del mondo. Raccontare Francesca Serio significa parlare non solo e non tanto di mafia e lotte contadine nella Sicilia del secondo dopoguerra, quanto di un modo di intendere la giustizia e la società: come privilegio e sfruttamento o come diritto di civiltà. A rappresentare tali opposti, due figure che occuperanno la più alta carica istituzionale dello Stato: Leone e Pertini.
Francesca Serio era una contadina, vedova, che, per mantenere il figlio, lavorava nei campi.
“Andavo a raccogliere le olive, finite le olive cominciavano i piselli, finiti i piselli cominciavano le mandorle, finite le mandorle ricominciavano le olive, e mietere, mietere l’erba perché si fa foraggio per gli animali e si usa il grano per noi, e mi toccava di zappare perché c’era il bambino e non volevo farlo patire, e non volevo che nessuno lo disprezzasse, neanche nella mia stessa famiglia.” Così Francesca si racconta a Carlo Levi, che ne parla nel libro Le parole sono pietre. Il piccolo di Francesca Serio è Salvatore Carnevale, cui Buttitta dedicherà una poesia:

Ancilu era e nun avia ali
Nun era santu e miraculi facia,
ncelu acchianava senza cordi e scali
e senza appiddimenti nni scinnia;
era l’amuri lu sò capitali
e sta ricchezza a tutti la spartia: Turiddu Carnivali nnuminatu
e comu Cristu muriu ammazzatu.

Sindacalista, a fianco dei contadini nella lotta per l’attuazione della riforma agraria, che espropriava le terre incolte a mafiosi e latifondisti, per la giornata lavorativa di otto ore, prima tra i socialisti e poi nel Blocco del popolo, Salvatore Carnevale si oppose ai soprusi che la sua gente subiva da tempo immemorabile. Attirò su di sé l’ira della famiglia mafiosa dei Notarbartolo che era in combutta con le forze dell’ordine e morì assassinato il 16 maggio del 1955.
A lungo la madre tentò di dissuaderlo dallo schierarsi contro i poteri atavici che governavano a Sciara e in Sicilia, ma Salvatore, il cui capitale era l’amore, come cantava Buttitta, andò fino in fondo nella lotta, pagando con la vita.
Fu il primo delle decine di sindacalisti che perirono in quegli anni sotto i colpi di lupara. Fu il primo assassinio del quale si conoscevano nomi e cognomi dei mandanti e riguardo il quale, al processo, nomi e cognomi furono pronunciati: da Francesca Serio, che per amore del figlio, in nome della lotta per la giustizia per cui lui aveva dato la vita, squarciò il velo di omertà che da secoli proteggeva i mafiosi siciliani. Era una donna coraggiosa Francesca, forgiata dal dolore, da cui non si lasciò sconfiggere e che sublimò, anzi, in lucidissima ragionevolezza.
Scrive Carlo Levi:

Niente altro esiste di lei e per lei se non questo processo che essa istruisce e svolge da sola, seduta nella sua sedia di fianco al letto: il processo del feudo, della condizione servile contadina, il processo della mafia e dello Stato. Essa stessa si identifica totalmente con il suo processo e ha le sue qualità: acuta, attenta, diffidente, astuta, abile, imperiosa, implacabile. Così questa donna si è fatta in un giorno: le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre. Parla con la durezza e la precisione di un processo verbale, con una profonda assoluta sicurezza, come chi ha raggiunto d’improvviso un punto fermo su cui può poggiare, una certezza: questa certezza che le asciuga il pianto e la fa spietata, è la Giustizia. La giustizia vera, la giustizia come realtà della propria azione, come decisione presa una volta per tutte e a cui non si torna indietro: non la giustizia dei giudici, la giustizia ufficiale. Di questa Francesca diffida, e la disprezza: questa fa parte dell’ingiustizia che è nelle cose.

Pertini era allora segretario del Partito socialista. Andò a trovare Francesca e fu lui ad accompagnarla a sporgere, per la prima volta nella storia, denuncia per l’omicidio mafioso del figlio, indicando nomi e cognomi. Nel collegio di difesa, sedeva un altro futuro Presidente della Repubblica: Sergio Leone.
Ecco allora che l’azione di Francesca Serio fa da spartiacque tra un prima e un dopo, tra mafia e antimafia, tra omertà e civiltà, tra senso di giustizia e conservazione del potere.
La prima sentenza di condanna fu ribaltata in Appello. A vincere, ancora una volta, il muro di omertà e il vincolo di potere che da sempre lega i rappresentanti dello Stato alla mafia. Ma di Francesca restano il furore, il dolore, la passione e la lotta non di madre privata del figlio, ma di donna siciliana, ribelle per amore.

Glenda Dollo

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