“Di sogni, noi che facciamo questo lavoro, ne abbiamo tanti”. Intervista a Carlo Carlei

di Massimo Moscati

È di questi giorni la programmazione in Rai Uno di Fiori sopra l’Inferno tratta dall’omonimo romanzo thriller di Ilaria Tuti e ambientata in un piccolo paesino delle Dolomiti friulane con protagonista Elena Sofia Ricci nei panni di una profiler che deve smascherare un serial killer. L’occasione per rivedere in azione il regista Carlo Carlei

Si è spesso detto che Franco Cristaldi, producendo il tuo esordio La corsa dell’innocente (1992), avesse cercato di replicare l’“operazione” di successo avvenuta un paio di anni prima con Nuovo Cinema Paradiso (1990). Ancora un regista semi-sconosciuto del sud Italia, ma capace di attingere la sua ispirazione non solo dal retroterra locale (come nel caso di Peppuccio Tornatore) ma anche ispirandosi a una certa messinscena hollywoodiana (ritmi, narrativi, tecniche di ripresa, steady-cam. dolly…) tra realismo e favola. Ma Cristaldi era alla fine del suo percorso e il film venne co-prodotto da Domenico Procacci, una visione meno rigorosa di cinema. La critica non gradì, il film fu un insuccesso. Mi rievochi i passaggi che portarono alla nascita de La corsa dell’innocente?

Dopo la fine della bella e fondamentale esperienza della Scuola di Cinema Gaumont nel 1984 comprai i diritti di un romanzo di James Herbert intitolato Fluke. Cercai di trarne il mio primo film ma pur apprezzando molto la sceneggiatura molti produttori mi dicevano che era impossibile da realizzare, soprattutto per un esordiente. Volai anche a Hollywood invitato dalla Paramount grazie a Fred Roos e Gray Fredrikson (produttore della saga de Il Padrino) che si innamorarono del copione ma il fattore “esordiente” entrò di nuovo in campo e non se ne fece nulla. Così decisi di scrivere un altro copione e cambiai il protagonista da cane in bambino. Entrambe le storie descrivevano il viaggio di un’anima: la struttura rimase più o meno la stessa ma cambiarono il contesto geografico e la natura della redenzione spirituale dell’“innocente” in questione… Il copione de La corsa dell’innocente arrivò a Cristaldi.

Forte della tua indiscutibile competenza tecnica, e del fatto che La corsa dell’innocente diventa un cult a livello internazionale, trovi subito lavoro negli Stati Uniti. Come avvenne il tuo ingresso nel cinema americano?

In realtà ne fui talmente travolto che non ebbi nemmeno il tempo di stupirmi. Il film fu venduto in tutto il mondo in un solo pomeriggio al MIFED di Milano e tutte le più grandi agenzie americane mi diedero la caccia. Scelsi l’ICM con Robert Newman, vero segugio di talenti, che anni dopo presentai anche a Guillermo Del Toro. In sei mesi avevo quattro contratti con Warner, Fox, Columbia e MGM, ognuno per sviluppare un film diverso, inclusi I Am Legend e Daredevil.La corsa fu candidato ai Golden Globes, vinse festival e ricevette recensioni entusiastiche. Fui accolto e corteggiato dalla comunità di Hollywood, James Cameron, Mel Gibson, Chris Columbus e molti altri diventarono amici e sponsor. (Molti anni dopo quando mi mancavano 500.000 dollari per chiudere il budget di Romeo & Juliet è bastata una telefonata a Mel Gibson e lui acquistò i diritti di distribuzione del film per Australia e Nuova Zelanda.)
Io però all’epoca rifiutai parecchie altre offerte e decisi di realizzare Fluke.

Da appassionato di fantascienza (ma anche di fumetti) sviluppi il tuo primo film americano da un romanzo di James Herbert (autore tendenzialmente horror), che descrive la realtà, fisica e affettiva, osservata dal punto di vista di un cane. Un film per famiglie, ma non “alla Disney” (un paragone che non condividi). Il film non ha successo al box-office. Come sei arrivato a questo progetto? Perché qualcosa incagliò l’ingranaggio?

Come ho detto Fluke doveva essere il mio primo film e lo sarebbe stato se fossi stato un giovane aspirante regista ovunque tranne in Italia. Purtroppo, la MGM nel 1995 non se la passava bene finanziariamente e fece una campagna pubblicitaria a dir poco deficitaria. Non si inceppò nessun meccanismo, semplicemente non c’erano i soldi per promuovere il film. E questo è il bacio della morte per l’uscita di un film nelle sale. Fluke però andò benissimo in video e in televisione e a distanza di 28 anni sono felice che sia diventato un cult e considerato uno dei film più amati dagli animal lovers di tutto il mondo.

A questo punto il tuo soggiorno, prima del rientro in Italia del 2000, diventa un intenso procedere su numerosi progetti che non riescono a trovare una produzione. Qual era il tuo stato d’animo, quali le esperienze e le conoscenze maturate? Come è poi avvenuto che sei tornato a Roma?

Non c’è stato nessun rientro. Io vivo a Santa Monica in California dal 1993 e quando occorre vado ovunque mi porti il mio lavoro nel mondo, in Italia, Bulgaria o Polo Nord. Nel periodo da te menzionato accaddero una serie di coincidenze negative difficilmente ripetibili. La Marvel andò in bancarotta e il progetto di dirigere Daredevil si fermò a poche settimane dall’inizio delle riprese mentre Pincushion e I Am Legend furono bloccati da un cambio di regime alla Columbia e alla Warner Bros. Così quando da Mediaset arrivò l’offerta di dirigere Padre Pio, garantendomi tutta la libertà creativa possibile, accettai. Dopo anni di sfiancante development seduto dietro una scrivania a sviluppare una decina di progetti e sempre alla ricerca del Santo Graal del copione perfetto (che poi non esiste…) non vedevo l’ora di tornare finalmente sul set, stimolato dalla sfida di inventarmi in Italia un modello di televisione spettacolare e di qualità. Credo di esserci riuscito perché ancora oggi Padre Pio rimane il più grande successo della storia della televisione privata in Italia, e all’epoca Canale 5 aveva un paio di milioni di spettatori in meno come bacino d’utenza… Anche Ferrari, due anni dopo, fu un grande successo e una delle miniserie italiane più vendute all’estero.

Oggi sei saldamente inserito nel meccanismo televisivo, tra serie e miniserie di successo, al servizio di star come Sergio Castellitto, Pierfrancesco Favino, Luca Zingaretti, Alessandro Gassmann… In questi giorni esordisce Fiori dall’inferno, dal thriller-bestseller di Ilaria Tuti, con Elena Sofia Ricci. Senti di aver dovuto modificare la tua visione di cinema, o questo “cambio di pelle” lo ritieni un percorso naturale nello showbiz?

Intanto non credo di corrispondere alla tipologia di regista che si “mette al servizio” di un attore o un’attrice. Semmai è vero il contrario, visto che chiedo agli attori una fiducia incondizionata nella mia visione del progetto. Altrimenti non vale la pena nemmeno cominciare insieme un percorso. Per me è fondamentale la collaborazione con cast e troupe, ma alla fine sono il primo a entrare in un progetto e l’ultimo ad andarmene e nessuno più di me ha sulle spalle il fardello più o meno pesante di controllare tutto fino all’ultimo dettaglio, da un oggetto di arredamento alla colorizzazione finale, inquadratura per inquadratura. Nel caso di Fiori sopra l’inferno ho avuto la fortuna di lavorare con un’attrice davvero straordinaria come Elena Sofia Ricci che si è calata nei panni della protagonista con un impegno e una serietà che raramente ho riscontrato nella mia carriera. Con Elena siamo andati subito d’accordo perché condividiamo molti principi morali, fra cui l’etica del lavoro che per me è sacra, soprattutto in un ambiente in cui è facile trovare gente non all’altezza, davanti e dietro la macchina da presa. L’idea poi di trattare un tema così importante come l’infanzia violata attraverso un thriller mozzafiato e spettacolare l’abbiamo condivisa fin dall’inizio e portata a termine idealmente mano nella mano. Non avrei potuto trovare una Teresa Battaglia più giusta di lei, che è capace di entrare nell’anima di un personaggio con tutta se stessa. Per quanto riguarda la mia personale “visione  di cinema” credo che sia ormai parte della mia natura, un’energia pura e incontaminata che si sprigiona ogni volta che mi danno la possibilità di raccontare storie, di dipingere nuovi e originali universi narrativi. Ogni volta è un viaggio nuovo. Si apre la borsa della propria esperienza e si tirano fuori gli strumenti magici che servono in questa occasione. Sta qui il divertimento. Altrimenti con sempre meno soldi a disposizione e ritmi di lavoro così forsennati, sarebbe uno stress senza fine.

Stai pensando a un ritorno nelle sale cinematografiche? Se questo non è al momento… nell’aria, te la senti di parlare di un “sogno” di un progetto filmico che vorresti realizzare, prima o poi?

Di sogni, noi che facciamo questo lavoro, ne abbiamo tanti. Spero di mettere presto in cantiere un film che idealmente rappresenta il sequel morale de La corsa dell’innocente. Si intitola The Passenger, un thriller ambientato a Palermo che qualche anno fa è stato pubblicato anche come graphic novel. Il momento è difficile certo, ma ci sarà sempre bisogno di storie che emozionano e toccano il cuore degli spettatori, qui è dall’altra parte del mondo.

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