Di Janet Hobhouse, del sacrificio per la scrittura e di Philip Roth

Suo marito l’aveva lasciata sola ancora una volta. Lavoro, le diceva. In realtà, le inquietudini frequenti lo spingevano a non stare mai fermo nello stesso posto per troppo tempo. Lui era a Londra, la sua casa dopotutto. Janet non provava lo stesso sentimento per quella città. Era inglese solo per parte di padre. Lei però sentiva di non appartenere a nessun luogo. Semplicemente, in quel momento New York era dove si trovava a suo agio. Quanto sarebbe durata quella sensazione non le importava granché. Aveva cominciato a scrivere il suo primo libro e ciò le procurava un fremito insolito. Il timore di non farcela. Aveva scelto di scrivere la biografia di una donna che ammirava fin dalla primissima adolescenza. Una scrittrice che aveva segnato il secolo. Una americana che aveva detto addio al suo paese e da Parigi era riuscita a stravolgere alla radice il corso della letteratura. Janet ambiva a essere come Gertrude. Desiderava con ardore quel suo approccio preciso e divertito alle parole. Sognava a occhi aperti il rigore che aveva portato Gertrude a essere priva di inibizioni nella scrittura come nelle scelte personali. Forse, penetrando il segreto di Gertrude sarebbe riuscita a comprendere il proprio. A volte, Janet dubitava di portare dentro di sé un enigma e ogni mattino questa insicurezza era il pretesto per non mettersi a scrivere. Janet temeva che a colpire gli altri fosse soltanto la sua inconsueta bellezza, quella che l’aveva fatta paragonare a una stella del cinema muto. Janet era molto più di quello. Certo, ai tempi del muto il mistero che circondava quelle attrici conferiva loro uno status di divinità. Janet però non si considerava una dea. Tantomeno sopportava quel paragone, al pensiero che di donne mute si trattava. Spesso il silenzio che arrivava dallo schermo nascondeva personalità vanesie. Janet era altro, si trattava di scoprirlo. La sola in grado di farlo era lei. Così rimuginando, Janet si imponeva di riprendere il lavoro. Un giorno, tornando al suo appartamento dopo una passeggiata, l’occhio di Janet si posò per la prima volta sul pannello con le buche della posta nell’atrio del condominio in cui viveva da pochissimo. Vide quel nome. Non può essere, ripeteva a se stessa. Non riusciva a crederci, viveva nel suo stesso palazzo e se ne accorgeva soltanto adesso. Janet sembrò trasalire a quel pensiero e non ancora convinta, si rivolse al portiere per chiedere una conferma. Era lui. Il grande scrittore viveva due piani sotto di lei sul lato destro dell’edificio. Il portiere glielo disse come se lui stesso fosse Philip e aggiunse che la sua presenza aveva notevolmente aumentato il prestigio di quella abitazione, doveva esserne fiera! Janet tuttavia non gioiva come una qualunque ammiratrice delle celebrità, quanto per le pagine incredibilmente vere che quell’uomo era stato capace di creare. Le stesse che Janet ambiva a scrivere. Le stesse che avrebbe presto scritto.

Janet e Philip si incrociarono per caso in ascensore e intenti entrambi a sbirciare la propria corrispondenza finsero con educazione di non essersi notati a vicenda. Bastò poco tempo e Philip le propose un caffè da prendere in un locale a due passi da dove abitavano. Un primo cortese incontro. Lui, uno spirito austero che tramite un sottile umorismo pesava ogni parola come se fosse chino a scrivere una delle sue pagine. Lei, da attenta osservatrice ne indagava ogni minima piega del volto e ogni più recondita sfumatura di quel discorso asciutto. Si piacquero immediatamente. A quel caffè seguì un bicchiere di vino. In quell’occasione si scambiarono dei libri che amavano, scoprendo una singolare affinità di gusto. Si giunse a una cena e con cautela si aprirono l’un l’altra. Lei era sposata e stava scrivendo un libro. Lui usava l’appartamento che occupava in quello stabile quando era alle prese con un romanzo da scrivere. Il fatto che Janet fosse una scrittrice lo irretì. Il fatto che fosse impegnata a scrivere una biografia dedicata a Gertrude sembrò spegnere il suo interesse nei confronti del lavoro di Janet. Del marito di Janet, nessuno dei due fece più alcuna menzione. Trascorsero diverse settimane di intense conversazioni e occhiate guardinghe prima di arrivare al primo bacio. Ci vollero mesi per lasciarsi andare alla passione. Durante le giornate si rinchiudevano ciascuno nel proprio studio a scrivere. Le serate le trascorrevano a turno nell’appartamento dell’uno o dell’altra, riducendo al minimo ogni parola, ricorrendo ai gesti per rendere più intenso ogni istante insieme. Quella strana routine sembrava dare a Janet la concentrazione che le era mancata per portare avanti il suo libro su Gertrude. Lo stesso non sembrava valere per Philip, la cui ispirazione era sottoposta a un severo rigore monacale al quale lui concedeva una sola deroga, quei taciturni incontri serali che terminavano l’alba seguente quando ognuno dei due si legava di nuovo alla scrivania per lavorare. Quando suo marito rientrò da Londra, Janet sembrò sorpresa della sua stessa esistenza. Non ricordava più di essere sposata. La piega inattesa che aveva preso la sua vita le aveva fatto scordare tutto quello che non trovava più posto nelle sue giornate fatte unicamente di scrittura e di Philip, ormai una cosa sola agli occhi di Janet. Il libro su Gertrude era finito, le occorreva tempo per rivederlo prima di consegnare il manoscritto al suo editore. Il ritorno di suo marito ruppe un incanto del quale Janet sembrò non essersi resa conto. Gli incontri con Philip, quel salire e scendere le scale tra i due appartamenti, quei silenzi pieni di parole, tutto parve svanire in un lampo. Il marito di Janet le propose un altro tentativo di far funzionare le cose tra loro, assicurandole che la sua irrequietezza aveva trovato alla fine una pacificazione. Avrebbero vissuto dove lei credeva meglio, adesso lui era pronto a intraprendere quella vita insieme che tanto avevano sognato quando si erano conosciuti a Oxford. Janet lo guardava senza lasciar trasparire alcunché. Cosa avrebbe pensato lui se gli avesse confessato che il solo posto in cui avrebbe desiderato vivere in quel momento era a non più di due piani di distanza da Philip? Janet non avrebbe lasciato il marito per Philip, lo avrebbe lasciato solo per la propria scrittura. Philip le aveva mostrato cosa comportava scrivere, un immane sacrificio di vita alleviato solamente da rari momenti di comunione con il prossimo scelti con cura estrema. E nient’altro. Questo era ciò che Janet avrebbe preteso per se stessa da ora in avanti. Al principio, Janet e Philip restarono amici. In seguito, presero strade diverse e si ritrovarono a essere due semplici conoscenti che si intravedevano raramente e solo in pubblico a qualche evento letterario. Un laccio invisibile li avrebbe però tenuti stretti l’uno all’altra per il resto delle loro vite, emergendo in differenti reincarnazioni dalle pagine dei loro libri.

Alex Marcolla

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