Il carnevale secondo Bachtin. Il riso come opposizione al potere

Siamo abituati ad associare il carnevale alla maschera, che nella modernità richiama soprattutto il problema filosofico e borghese del dualismo tra essenza e apparenza o, tutt’al più, il mondo teatrale con il suo potere catartico.
Ma il carnevale, nel medioevo, era una festa che si protraeva per parecchi mesi l’anno, con la funzione liberatoria di sovvertire l’ordine costituito. Il potere esercitato dalla Chiesa e dallo Stato si azzerava, la rigida gerarchia sociale si dissacrava mediante il riso e la pratica del rovesciamento.
Fu Michail Bachtin (1895-1975), filosofo e critico letterario russo, tra i più autorevoli pensatori del Novecento, a porre lo spirito carnevalesco al centro della sua ricerca, gettando nuova luce su una festa che, in epoca di globalizzazione, appare ormai svuotata di significato, ma che, in passato, era rivestita di un’importanza sociale e politica di prim’ordine. Bachtin osserva come, nel medioevo, il dualismo esistente tra classi egemoni e classi subalterne venisse totalmente sovvertito mediante i festeggiamenti tipici del carnevale.

Si può dire (con certe riserve, naturalmente) che l’uomo medievale viveva due vite: una ufficiale, monoliticamente seria e accigliata, sottomessa a un rigoroso ordine gerarchico, piena di paura, dogmatismo, devozione e pietà, e un’altra carnevalesca, di piazza, libera, piena di riso ambivalente, di sacrilegi, profanazioni, degradazioni e oscenità, di contatto familiare con tutto e con tutti.

Caratteristica peculiare del carnevale medievale era infatti l’abbattimento delle barriere che dividevano gli uomini. Che si trattasse di vuota etichetta, di sacro e profano, nobile e plebeo, saggio e stolto, in tempo carnevalesco ogni confine veniva a mancare in nome dell’unità creaturale che fa degli esseri umani un’unica grande famiglia. Secondo Bachtin, infatti, ogni immagine del carnevale è ambivalente: l’alto e il basso, il grasso e il magro, il sacro e l’osceno, la nascita e la morte trovano uguale spazio.

Il carnevale è la festa del tempo che tutto distrugge e tutto rinnova.

È la dimensione corporea, quella più propriamente sensibile, che lega il carnevale ad attività rituali millenarie, a dare unità alla festa.
Per Bachtin, infatti, il riso carnevalesco è profondamente legato al riso rituale, che si prendeva gioco del sole e degli dei in un’operazione dissacrante volta alla rigenerazione. Il riso era profondamente legato alla riproduzione, alla corporeità. L’autorità ha sempre affermato la supremazia dello spirito sul corpo, del serio sul comico. Bachtin non stigmatizza la serietà, semplicemente afferma la necessità di stemperarla e purificarla per mezzo del riso.

Il riso è manifestazione di libertà, e sarà anche per questo se la violenza e l’autorità non utilizzano mai il suo linguaggio. La tradizione accomuna il riso alla pazzia. Sarebbe meglio riconoscerne la saggezza.

È quanto afferma Gianni Macchia in un suo saggio. E vorrei ricordare in questo contesto la frase di Dario Fo, secondo cui il riso è sacro, laddove sottolinea che quando un popolo non sa più ridere diventa pericoloso.
Secondo Bachtin, lo spirito carnevalesco medievale, dissoltosi nella modernità, è confluito nella letteratura e in particolare nel romanzo. Non sono solo le categorie di grottesco e satira, vale a dire quelle relative al genere, coinvolte in questo processo, ma la caratteristica fondamentale della letteratura, ovvero il linguaggio. Mediante il dialogismo e la pluridiscorsività, che in taluni autori diviene plurivocità, cadono le barriere tra personaggi e tra autore e personaggi. La letteratura, vale a dire, perpetra lo spirito del carnevale medievale in cui gli opposti si sciolgono, l’alterità diviene identità, il censo cessa di essere un carattere (linguistico) discriminante. Abbatte i confini la letteratura, prendendoci per mano per condurci in un viaggio che, se non sempre suscita il riso, sempre fonda un universo alternativo, facendoci immaginare nuove possibilità di essere al mondo, di creare il mondo in ogni nostro gesto, avvicinandoci al diverso, all’altro, e ampliando quindi il nostro orizzonte fino a inglobare gli opposti. Esattamente come accadeva nel carnevale. 

Glenda Dollo

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