C’è gente che attraversa vite intere senza curarsi troppo di polvere e macerie.
Sguardi che non s’appoggiano più a niente di chi sorvola gli altri indifferente.
Ci sono frasi dette a mezza voce che possono inchiodarti ad una croce,
quella per cui vacilli sulle gambe per non pesare troppo su altre spalle.
Scrivere non sempre viene facile, essere solidi o schematici, metodici. Stare sul pezzo, quando i pensieri si accavallano per passare prima l’uno sull’altro. Quello sì che è un bel mestiere essere domatore di pensieri, quello sì che non poteva essere il mio mestiere. I miei pensieri non m’ascoltano, non ho autorità su di loro. Nessuna autorità. E allora andate pure a briglia sciolta, che volete dire? Cosa volete raccontare? Del sole che ci stava? Bello vero? Sì che era bello, caldo da accostare gli occhi, buono ad asciugare i panni, ma voi no, non siete stati mai troppo comuni, vi piace scavare ed ecco qua che il sole torna indietro, mostrandomi la faccia che c’è dietro. Quella arruffata dalla barba rossa dell’uomo senza nome, la specie di supereroe con il potere di resistere al freddo con una magliettina di cotone e i jeans stracciati e non certo per far moda. Lui se ne stava a volte rannicchiato su una panchina decorata a mano da qualche ragazzetto con certi: -Amo Lucia for ever- e lui come un poeta steso tra le pagine cerca una protezione dagli sguardi altrui. A fargli compagnia c’è un cane grosso che un tempo doveva essere stato bianco, quel pelo se ne resta lì impigliato tra i capelli che con il poco sole che s’infila tra le nuvole d’inverno si tingono di un tenue color rame come quei fili che qualche anima strappata come lui ruba e rivende. Testa di rame lo vedi qualche volta spingere col corpo che si contano le costole, un grande carrello sgangherato che forse ha preso in prestito al mercato, pieno ci cianfrusaglie, non si sa da dove viene e non si sa che cosa ha in mente o e se ha una meta. Non alza neanche più la faccia, e tutti lo dovrebbero sapere che lui è un supereroe, lui c’ha il potere dell’invisibilità infatti nessuno se ne è accorto mentre passava sfatto tra i passanti e s’è fermato sopra una panchina sgangherata e l’inverno l’ha coperto e lui si è spento, col suo superpotere senza nessun lamento.
In mezzo a quei capelli era un fagotto piccolo di bimba sopra ad un marciapiede tutto sporco. La gente che le passa accanto non sente che rimbomba senza voce l’eco di quel pianto che non le bagna quel visetto stanco. Che la gente non sa che si può piange anche senza parere, un po’ come morire e poi ricominciare, lei se ne sta seduta tutta composta con la coperta arrotolata intorno. Ecco il sole c’era e per lei era un altro sole da farsi un po’ di ombra con le mani, perché se è troppo, scotta, e non riesci più neanche a vedere le facce della gente e forse è meglio. Ora ti vedo, vedo le mani piccole, riccioli neri passano le dita, come alla bimba mia, le stesse mani, come le mie, le nostre, quelle di tanti, anche quelli che s’affrettano che sembra quasi che se ne hanno a noia di avere intorno un po’ di povertà come se fosse un virus da scansare, basta che se ne lavino le mani. T’avrei scostato via una ciocca che mi sembrava darti un po’ di noia, avrei voluto accarezzarti il viso e prenderti tra le braccia farti ombra, attendere spuntare un gran sorriso, tappar le orecchie e non farti sentire le voci di chi dice di sparire, perché la gente è stanca e disperata e quando sei tanto stanco e disperato non vedi nulla non senti nulla, passi sugli altri e non t’importa niente. Non vedo più il tuo viso, non sento la tua voce, non ti ho nemmeno presa tra le braccia, però ancora ti vedo e ancora sento l’urlo silenzioso che avrei voluto urlare io per te ché un bimbo dovrebbe essere solo bimbo, avere ogni diritto di essere bimbo, dormire se c’ha sonno, mangiare quando ha fame essere abbracciato se ha paura. Cosa rimane? niente, da strofinarsi le mani sulle gambe come si fa per soffocare il pianto, da voltarsi per non vedere, smettere di sentire e di sapere. Resto con un panino volevo darti, tra le mani, che lì non ci sei più, qualcuno forse ti ha portata altrove, e come tanti altri in altri altrove, in posti dove non ti so pensare. E si perdono storie tra i pensieri e cercheranno in questo quieto esistere qualcosa che rimane tra quello che ormai è andato calpestando ogni diritto di felicità, senza crearsi mai nessun problema senza pensare a chi non ce la fa.
Togli il cappello che fa brutto in Chiesa, abbassa un po’ lo sguardo e chiedi venia, lì sopra ci sta un Cristo che ha sofferto, per dare pace a tutto l’universo poveretto che pena deve fargli ‘sto mondo mezzo storto per cui è morto.