Anoressia della conversazione


di Lara Carbonara

Una birra grazie.
Elle dietro il bancone del bar sollevò gli occhi perché sentì un buon odore di pulito. Pensava di trovarsi davanti a una di quelle donne che adora lavare i maglioni a mano, con tanto ammorbidente. Invece si ritrovò a fissare un fuscello spigoloso e pallido, una faccia piccola che scompariva dietro una sciarpa morbida e fluttuante attorcigliata molte volte intorno a un collo sottile. Capelli rosa, labbra rivolte verso il basso, occhi come pozzi senza fondo e ciglia lunghissime. Guardò le dita sottili tamburellare sul bancone. Poi le guardò appuntare qualcosa su un block-notes.
Scrivi che non ti sto servendo presto?
Scriverò anche questo, grazie.
Schietta come l’odore di pioggia prima di precipitare. Elle le servì una birra.
Rimani qui?
Sì, ma gradirei un po’ di silenzio.

Ore 18.00
Bancone del bar – traghetto panoramico
una ragazza troppo curiosa mi serve della birra
Tantissimi anelli che mi piacciono.
Mano destra: Un anello con una pietra viola, si intona con i suoi capelli scuri
Un anello a forma di piuma
Un anello enorme, doppio con un cuore votivo
Un anello con una pietra nera
Mano sinistra: quattro anelli sottili in uno
Nessuna fede
Anello con cactus
tatuaggi
Un signore sulla quarantina si avvicina per prendere due caffè. (Porterà un caffè alla moglie seduta sui sedili al centro della sala? Sarà la moglie? La compagna?)
Tre bambini corrono prima di buttarsi davanti alle grandi vetrate a guardare l’azzurro
Un gruppo di ragazze, forse spagnole, ridono e mangiano biscotti.
Molto curiose, alzano anche troppo la voce
Due ragazzi si avviano verso l’uscita con la sigaretta in bocca
Una donna di spalle, appoggiata al corrimano guarda fuori dalla vetrata. Ricorda un quadro di Dalì.
Una ragazza con i tacchi alti
Un bambino mangia un sandwich
L’altro di fronte fa scorrere la sua macchinina sul corrimano
Un ragazzo seduto davanti alla vetrata disegna le montagne che si tuffano nell’acqua
Una coppia di vecchietti seduta a guardare il paesaggio. Una delle due è su una sedia a rotelle.
Dalla vetrata uno stormo di uccelli
Sul pontile due bambini, un cane. Un piccolo raggio di sole.
Il raggio di sole nell’aria gelida mi ricorda Berlino.

Hai un accento strano, sei di Berlino?
Hai letto i miei appunti?
Forse. Fissi le immagini nella memoria?
Fisso le immagini perché non mi rimane molto tempo
Non ti rimane…
Ho una di quelle cose che ti passa il patrimonio genetico dei tuoi genitori: non espressioni, atteggiamenti, modi di affrontare la vita, talento per il disegno o la matematica, no. Sono dei polmoni che non funzionano. Ironico no? questa eredità che ti lasciano i genitori, qualcosa che aspetti da tutta la vita, poi in realtà non hai più vita per vedere come riuscirai ad essere diversa da loro, a vivere i tuoi giorni senza che la tosse ti ricordi che non puoi fumarti neanche una sigaretta in pace. E non guardarmi come se fossi da compatire. Mi guardi come ultimamente mi guardava il mio ex ragazzo. Avevo un ragazzo, sapeva della mia malattia. Siamo rimasti insieme tanto tempo. Quando abbiamo deciso di vivere insieme ha incominciato a inventare scuse, a tornare tardi, a preferire un cane come compagno di passeggiate. Insomma mi ha abbandonato, giorno dopo giorno.
Conosco benissimo questa sensazione.
Non gliene faccio una colpa, è difficile starmi accanto. Con il mio carattere ostinato, volubile e umorale. Un giorno gli dicevo che avevo bisogno dei miei spazi, il giorno dopo lo chiamavo ogni due minuti. Sbraitavo se stavano per finire le medicine, mi incazzavo con i medici che non le prescrivevano, con gli ospedali e le file lunghissime, con gli infermieri incapaci, con il Sistema, con i miei genitori. Quasi sempre andava a finire così. Le colpe dei genitori ricadono sui figli.
Un giorno, quasi a voler rimediare alle sue assenze mi chiese di avere un figlio. Un figlio, capisci? La nostra storia era finita e mi chiese di avere un figlio. Mi chiese di prendermi una responsabilità, proprio lui che non voleva condividere con me neanche più una serie tv.
Mi piaceva l’idea di poter continuare a vivere nel cuore di qualcun altro. Ma subito dopo pensavo che non avrei voluto lasciare a mia figlia o mio figlio la stessa mia eredità. Nel frattempo lui ha lasciato un po’ di sé, con un’altra però. Mi aveva detto che sarebbe uscito per un weekend con un amico. Ad Amsterdam. Non so perché ma lo sentivo. Non avevo bisogno di fare ricerche. Aveva deciso di partire per quel weekend con l’altra. Quando me lo confessò decisi che non avrei conosciuto più nessuno. Iniziai a camminare per le vie di Berlino e mi convinsi di vederle per la prima volta. Non volevo più ricordarmi delle nostre camminate e incominciai ad annotare tutto come se fossero luoghi nuovi.
Sfogliò il suo taccuino, cercava le sue passeggiate a Berlino.

Ore 8.50, Richardplatz, Zuckerbaby
Colazione molto dolce, caffè delicato e lungo.
Le nuvole si muovono lentamente
Un ragazzino nervoso mastica un chewing-gum
Un altro lento attraversa la strada di fronte, ha una sigaretta sull’orecchio, le mani in tasca, pantaloncini con tasche piene, forse chiavi, calzettoni lunghi.
Una signora innaffia dei gerani
Una ragazzina lega i capelli della sua amica in una treccia.
Alcuni capelli volano via al vento
Sorridono.

Ore 11.45 Sonnennalle, Holy Coffee, il Cielo è aperto
Frutta e yogurt, caffè dal gusto speziato del caramello
Una vecchietta con la sua valigia della spesa
Due ragazzi con le cuffie camminano vicini senza parlarsi
Una ragazza con dei libri sotto il braccio, sciarpa viola, calze viola, scarpe viola scuro.
Una donna sembra aspettare nervosamente qualcuno. Occhiali da sole scurissimi.
Ripassa il rossetto con uno specchietto da borsa.
Passa un ragazzino
Una manciata di turisti
Macchine, autobus, clacson e biciclette
Un uomo parcheggia, si allontana, poi torna indietro a prendere qualcosa dalla macchina.
Ora non passa più nessuno. Questo quartiere con questa luce sembra una cartolina.

Ore 9.00 Friedelstr, Katies Blue Cat
Caffè puro, rotondo, con persistente nota di fave di cacao
Un fioraio davanti alla vetrina del bar pieno di fiori colorati.
Genziane, tulipani, ortensie, girasoli, mughetto.
La fioraia parla con loro, con le piante, e loro
l’ascoltano, sono di un verde così brillante che ogni tanto sembra venir fuori. Le accarezza.
Un anzianotto grida sempre, dice sempre di essere solo. Lo urla al mondo intero.
Una signora parla ad alta voce al telefono. Parla di altre mamme, di figli, di medici,
di palestre e di costumi da bagno.
L’anoressia della conversazione.
Una mamma cammina frettolosa tenendo per mano un bambino (suo figlio?)
Assomiglia proprio a una di quelle lumache senza la casa dietro, alla continua ricerca di tempo.

Ore 6.50 Weserstr 3 Dots,
Caffè dal sapore di nocciola, ricorda altitudini peruviane
Nebbia densa
I lampioni da qui sembrano rami.
Una finestra al piano terra è stata dimenticata aperta. Vanno avanti e indietro fra buste e cartoni. Incartano oggetti fragili. Dentifricio, spazzolino, dopobarba
per lui, libri per lei. Fanno una lista. Mettono da parte. Infilano in valigia una maglietta all’ultimo
momento, un paio di mutande in più, calzini.
Guardano l’orologio con i nervi in bilico.
Sono stranieri, hanno passato mesi in un’ambasciata per conquistare un permesso, ottenere le loro identità impresse su un cartoncino: hanno imparato che appartenere a una costa o all’altra è una questione di timbri, fila, preghiere, speranze.

Ore 20.00 Lenaustrasse, Refugio Cafè,
Caffè liquoroso, quasi romantico, rimane insistente in bocca, quando finisce.
Ogni quartiere di Berlino è diverso e solo chi ci abita sa perfettamente che non si deve confondere la città con le persone che la descrivono.
Zone d’ombra, zone di luce, porte, scale, comfort ultramoderni, palazzi storici, finestre sormontate da rosoni, muri con piastrelle, muri dipinti, statue, pensieri marocchini, scritte francesi, souvenir italiani, spezie indiane, pelle sottile, spessa, scura, verdastra.
Vento. Oggi il vento è insistente come il pianto di un bambino.

Scrivere mi ha aiutato a superare l’abbandono. Berlino è una città in cui ci si può perdere. È una città così mescolata che le persone per le strade non si conoscono. È difficile incontrarsi la seconda volta per sbaglio. E di Berlino mi incanta la preziosità delle architetture, le strade senza uscita, i rintocchi delle chiese, l’erba che cresce tra l’asfalto e il marciapiede, le fontane malate, le virgole dei graffiti; gli sguardi che si incrociano per qualche secondo senza salutarsi, le conversazioni sotto il balcone quando piove senza che ci si scambi una parola, la ricerca dei silenzi senza alzare gli occhi dal cellulare. Adoro l’incontro casuale che potrebbe avvenire tra un nano, una donna inquieta con il collo tatuato, un giovane con una pantera al guinzaglio, un marinaio e una ragazza vestita di piume, un bambino scuro con i capelli bianchi e un pugile. Berlino è la città dove è bellissimo restare a guardare lo spazio che si crea tra un passo e l’altro, un quartiere e l’altro, una lingua e l’altra. Io fermo proprio in quegli spazi, ad essere ora una ora l’altra, ad indovinare le vite degli altri, prima di non avere più la mia.

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