Pasolini e il cinema di poesia


di Glenda Dollo

In Empirismo Eretico, Pasolini definisce il cinema come linguaggio dell’azione, come una forma d’arte che, per l’uso dell’immagine, è profondamente ancorata alla realtà. E del resto la parola cinema deriva dal greco kìnema, che significa, appunto, movimento. Nel saggio, il regista distingue tra cinema di prosa e cinema di poesia secondo l’utilizzo del mezzo intrinseco utilizzato: l’immagine. La distinzione è puramente stilistica, immanente al modo in cui il regista costruisce la propria opera stilisticamente. Egli afferma che è possibile rintracciare la poesia nel cinema di prosa nella misura in cui è possibile definire poetiche opere narrative come i grandi romanzi, ma che la poesia si fonda su una peculiarità linguistica sua propria, una scansione ritmica e una scelta stilistica codificata da secoli. Il cinema, per Pasolini, è privo di tale codificazione, che egli cerca di inaugurare.
Il cinema di poesia è legato, per il regista bolognese, all’utilizzo dell’indiretto libero mediante un determinato uso della macchina da presa. Esso si  fonda sull’aderenza dell’immagine al punto di vista di un personaggio, filtrando la realtà rappresentata attraverso i suoi occhi, pensieri, sensibilità, sentimenti, visione del mondo. Quanto più il regista si lascerà compenetrare dal personaggio, tanto più l’operazione risulterà profonda.
Dopo Uccellacci e uccellini, Pasolini, che aveva intenzione di girare un film a episodi intitolato Che cos’è il cinema?, dirige il mediometraggio La terra vista dalla luna, sempre con Totò e Ninetto Davoli. Si tratta di un omaggio a un’icona del cinema classico, Charlie Chaplin, esponente, secondo Pasolini, del cinema di prosa, utilizzando i nuovi mezzi discussi e praticati dal poeta de Le ceneri di Gramsci. Il film nasce non da una sceneggiatura, ma da un fumetto redatto dallo stesso Pasolini. E a colpire immediatamente è l’utilizzo del colore, vivido, acceso fino all’eccesso, che dona un carattere surreale all’intera opera. Applicando le teorizzazioni del regista contenute in Empirismo Eretico, il punto di vista della pellicola è quello di un’alterità non tanto sociale e politica, ma extra-umana, lunare, appunto. Si tratta di una metafora delicata e umoristica della società consumistica, omologata e disumana, in cui siamo trasportati in una dimensione di sogno: una dimensione cinematograficamente poetica.
Il mediometraggio è parte del film a episodi Le streghe (1966), di Mauro Bolognini. Al centro, naturalmente, il ruolo della donna nella società contemporanea al regista, ma non solo. Totò e Ninetto, in cerca di una dea del focolare, si imbattono nel personaggio di Assurdina, recitato da Silvana Mangano. È lei, dopo un surreale matrimonio con Totò, a prendere le redini della baracca in cui vivono i due uomini. Getta via tutto, salvando proprio, con un sorriso dolcissimo, il ritratto di Chaplin.
Com’è la terra vista dalla luna? È surreale, egoista, individualista, sembra dire Pasolini. È decadente e tragicamente comica. La terra vista dalla luna non è che la terra vista con gli occhi della poesia. E credo che la dimensione trascendente del punto di vista assunto dal regista, possa simboleggiare non tanto l’assenza di poesia in questo piccolo globo corrotto che chiamiamo Terra, quanto il pericolo ch’essa vada irrimediabilmente perduta in quel misto di nobiltà d’animo e miseria che noi tutti siamo.
Ecco allora che la metafora della vita e della morte, al centro della pellicola, diviene metafora della condizione umana. Essere vivi o essere morti può voler dire la stessa cosa se ognuno di noi è confinato al ruolo stagnante e omologato che la società impone. Per essere vivi sempre e comunque, nonostante tutto, forse dovremmo guardare più spesso al di là delle convenzioni, della quotidianità, al di là di questa Terra, della sua prosaica essenza e spostare lo sguardo alla luna, al suo candore. Dovremmo più spesso nutrirci della poesia, non solo come genere letterario, ma come qualità intrinseca dell’uomo, della sua arte posta a imitazione dei misteri e degli inganni del cosmo.

La luna era ormai alta alta nel cielo, s’era rimpicciolita e pareva non volesse più aver che fare col mondo, tutta assorta nella contemplazione di quello che ci stava al di là. Al mondo, pareva che ormai mostrasse solo il sedere; e, da quel sederino d’argento, pioveva giù una luce grandiosa, che invadeva tutto.
(da Ragazzi di vita)

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