di Beatrice Lorenzotti
Il mondo, lo conosceva soprattutto per le sue disgrazie, le sue strane fobie nevrotiche e i suoi insoliti gusti poetici; per il suo essere un ometto piccolo, insignificante, con il petto concavo e il passo svelto, i capelli sempre al vento e gli occhi grandi quanto basta, tanto quanto gli era permesso averli. Gli piaceva svicolare, svoltare, intrufolarsi, percorrere la strada strusciando la spalla contro il muro, senza farsi notare. E poi cercare, vedere, guardare, odorare con gli occhi chiusi e, infine, trovare. Non sempre invece gli piaceva osservarsi, perchè finiva per scartarsi come un regalo e scoprirsi la sorpresa più triste di sempre. Quasi mai riusciva ad essere quello che gli piaceva essere.
Prima di sposarci, l’avevo osservato per mesi e ogni sera avevo pianto per lui, avevo pianto tutta la sua tormentosa sofferenza che tratteneva dentro, che non sapeva di voler piangere. Non era più tempo di lacrime per lui, sapeva bene che quando il mondo ti tiene così a lungo nel fango non c’è alcun modo di lavare via tutte le macchie. Ma io Mimì, l’avevo capito bene, l’avevo visto arrendersi al vuoto e colmarsi di un infinito senso di inesistenza.
Caro Mimì,
Siamo stati marito e moglie per così tanto tempo, non c’è stato un momento in cui non ti amassi. Ti cercavo e ti amavo anche se ansioso, intollerante, oscuro, perchè era il tuo buio a illuminarti, perché così eri tu: anzitutto poeta prima di essere umano, prima di essere un marito, il mio. Dicevi che il mondo del poeta è piccolo piccolo, come un cinema o un parco in cui si è costretti a mentire, fingendo di diventare un bambino a cui ogni luogo circostante sembra più grande. Dicevi anche, però, che solo il poeta sa rendersi tanto piccolo, eppure tanto grande da riuscire a riempire ciò che sembra non potersi riempire, così da illuminare, così da illuminarsi. Tu problematizzavi, somatizzavi ogni cosa. Io, invece, ho sempre pensato che nulla ha un significato se non gli si dà significato. Mi dicevi capricciosa, non saprei, ma posso dire che ho imparato tante cose osservandoti, anche mentre la vita ti portava via da me. Ho imparato che quando il buio si fa vivo dentro e fuori, la luce non si accende e il mondo crolla allora moriamo lentamente, moriamo di una disillusione immensa che invade gli organi di un corpo che ha subito assalti furiosi dalla vita. Ho capito che chi scrive piange, sempre, e che ogni lettera è una lacrima versata per mentire a una realtà di desolazione. Come si potrebbe non piangere sapendo che mentire è l’unico modo per restare vivi? Piangere, proprio per questo, per te era così tenero, l’esperienza più dolciastra tra i tormenti, e ti piaceva così tanto che piangevi sempre, anche quando eri felice. Dicevi che quando si diventa traghettatori di sé stessi, si affonda lentamente nel nulla della propria esistenza. E che nulla! Io l’ho conosciuto bene standoti accanto. Tu lo descrivevi come una morte introversa, taciturna, ma io no: obliarsi sì, ma non morire. Si muore una sola volta e non so se si può scegliere quando, forse no, io non ho potuto. Adesso ti immagino con la faccia buffa e il corpo tremante: “Non si sceglie neanche quando obliarsi!”. È vero, magari avresti pure avuto ragione, ma tu non ci sei più e, magari, si può. È troppo labile parlare di scelta, ma obliare parti di noi stessi non è morire, per me. Non ci siamo mai trovati sul concetto di morte, adesso io ti credo vivo, mentre tu morto. Vedi Mimì, l’eternità tradisce per sempre.
Forse è con le tue amare consapevolezze che rinascerà il te poeta (o forse un falso poeta), per non essere altro che un giullare di corte? Per piangere così forte a ogni bugia tanto da far sciogliere il trucco? Per riuscire a esistere ancora dopo aver pianto solo fra le macerie di ogni finzione?
Non lo so Mimì, la tua esistenza mi ha sempre fatto dubitare di tante cose, ma avevi ragione, il cuore di un poeta deve mentire per sempre. Sono più che certa che tu sia ancora vivo, anche se diverso da prima, magari meno illuso.
È questo che mi turba, saperti in nessun luogo, eppure in tutti. Ma se sarai nevroticamente sfuggente, non mi darò per vinta: ti troverò nel cielo abitato da stelle nere, e urlerò forte dove le ombre vibranti e oscure hanno dimora. Sono certa che risponderai.