di Manu Bazzano
Arrivée de toujours, qui t’en iras partout
Rimbaud
A mia madre
A diciott’anni il mio romanzo preferito era Teorema. Ricordo d’averne letto diverse pagine in una stanza d’ospedale durante le visite a mia madre. Sarà stato gennaio o febbraio. Diffidavo del sole tiepido dalla finestra chiusa. Avevo sentito dire che i raggi attraverso i vetri fanno venire il cancro e che il cancro uccide. Non appena mia madre, stremata dalla malattia, si addormentava, tornavo al libro a incontrare Angelo, lo sconosciuto avvenente e misterioso che appare d’improvviso nella casa di una famiglia borghese di Milano. L’ospite si muove liberamente, legge Rimbaud, e seduce dapprima la cameriera Emilia e poi ogni membro di una famiglia di egocentrici: figlio, madre, figlia e infine il padre, padrone di una fabbrica.
Ognuno rimane colpito dall’incontro e subisce un risveglio sessuale, emotivo e spirituale. La seduzione ha sfumature sconvolgenti: Angelo salva Emilia da un tentativo di suicidio; conforta il figlio Pietro; riconosce e afferma le brame inquiete della madre Lucia; aiuta la figlia Odetta a superare la timidezza verso gli uomini; si prende cura del pater familias Paolo quando s’ammala. Un bel giorno l’ospite inaspettatamente se ne va. Con la sola eccezione di Emilia, ognuno rimane orfano e subisce una mutazione sconcertante. Pietro diventa un artista arido, afflitto dall’odio di sè. Sua madre cerca invano di ripetere l’esperienza con lo straniero dandosi al primo venuto. La figlia diventa catatonica. Il padre corre nudo verso un treno e rinuncia all’azienda. Emilia, il cui istinto contadino aveva intuito la natura divina dell’ospite e che non era in nessun modo partecipe delle eleganti nevrosi della famiglia bene, ritorna nella città natale e compie miracoli.
Ricettivo alla forza liberatoria e sconvolgente di eros, da ragazzo non sapevo cosa pensare della strana reazione di Emilia, che non solo non viene annientata dalla visitazione angelica ma ascende ad una santità, sia pure sui generis.
Acrobata sul filo del rasoio fra religione e laicità e poco intenzionato ad aderire agli articoli di fede di entrambi, Pasolini sconvolse splendidamente laici e religiosi. Originariamente concepito per il palcoscenico e tramutato in film nel 1968 con Terence Stamp nel ruolo di Angelo, Teorema insolentì la Chiesa per la descrizione tenera ed esplicita del sesso e per la fonte impura della santità di Emilia. Ai comunisti d’osservanza già da allora in marcia verso il harakiri del compromesso storico con un governo corrotto e tartufesco non piacquero le immagini bibliche spaziate nel film né le emanazioni divine di Angelo. L’ambivalenza di Pasolini verso la laicità socialista/comunista era già in evidenza dal 1956 nel suo meraviglioso poema Le Ceneri di Gramsci:
Lo scandalo del contraddirmi,
dell’essere
con te e contro te; con te nel cuore,
in luce, contro te nelle buie viscere;
Una versione aggiornata del teorema posto dal romanzo potrebbe essere la seguente: “È possibile per chi accetta supinamente i principi neoliberisti di status sociale, identità, benessere e proprietà, desiderare davvero la libertà? Non è più probabile che questa persona tema la libertà allo stesso modo in cui teme il fallimento, la catastrofe e la disgrazia?” Anche Emilia vive una crisi dopo l’incontro con Angelo. A differenza della famiglia borghese a cui non appartiene, la sua crisi non è una caduta ma un’apertura. Diverse letture diventano possibili: prim’ancora della formula “i poveri erediteranno la Terra” a cui Pasolini certamente sottoscriveva, l’interpretazione più immediata suggerisce che Emilia, pur affetta e ipnotizzata dal contatto con Angelo, sa che la stessa forza divina che emana dall’Ospite è presente in lei.
Per i membri della famiglia il “risveglio” nasce da una causa esterna, la presenza luminosa dell’Ospite rispetto a cui si sentono separati e posti in una gerarchia di causa ed effetto. Emilia fa invece esperienza non di emanazione ma immanazione, di una coesistenza non-gerarchica e immanente di causa ed effetto. Il bagliore angelico (demoniaco?) di Angelo non si tramuta in aura (l’aura ha bisogno di separazione e lontananza), ma viene percepito nello stesso piano di immanenza. La “santità” di Emilia sorge dall’essere attraversata dall’esperienza e di permettere al movimento di continuare nella direzione degli altri – non solo altri umani ma ogni cosa, Dio compreso. Dio stesso viene influenzato; Deleuze direbbe che Dio produce un’infinità di cose che a loro volta lo toccano in un’infinità di modi.
L’incontro di Emilia con lo Straniero può essere letto in altri modi ancora: come incontro con l’altro, con dio, con l’eros, l’anima, l’inconscio, lo spirito. Ciò che conta è l’aver percepito d’esser fatti della stessa stoffa dell’Ospite. Come l’acqua nell’acqua, Emilia è parte della stessa realtà, dello stesso mondo. Il termine usato da teologi e filosofi fin dall’antichità per descrivere ciò è immanenza, la cui origine latina significa rimanere dentro, all’interno di questo mondo. L’opposto dell’immanenza (stavo per dire il nemico) è la trascendenza, il cui significato è scavalcare al di sopra o al di fuori. Che si parli di religione o d’un sistema filosofico laico, la questione fondamentale è se quest’ultimi restano all’interno del nostro mondo imperfetto, impermanente, ordinario o se tentano di scavalcarlo. Il “divino” è da sempre stato associato con l’altro mondo, una dimensione aldilà del quotidiano, separato dal mondo dei fenomeni. Ma tale categorizzazione è semplicistica; non riconosce istanze spirituali/religiose la cui natura è immanente. Non riconosce la natura straordinaria dell’ordinarietà. Proprio l’altro giorno mi sono reso conto che la giovane donna che aspettava l’autobus alla fermata era in realtà un angelo.
Mia madre morì in quella stessa stanza d’ospedale a marzo nelle prime ore del mattino. Ero in un’altra città. Stranamente mi svegliai alla stessa ora, alle cinque, nella stanzetta della casa dello studente. Mia madre era religiosa, ma in modo non ostentato. Era audace, e a suo agio con le cose del mondo. Mi insegnò a nuotare quando ero ancora bambino. Nuotava lontano, così lontano dalla riva.
Mio padre mi disse che prima dell’ultimo respiro fra le sue braccia, si era seduta sul letto e che guardò fuori e disse “Alberi, alberi!”