“Il sentiero dei nidi di ragno” e “Una questione privata” oltre la Resistenza


di Edoardo Poli

A volte non guardiamo alla struttura di un romanzo perché siamo totalmente presi dalla storia che stiamo leggendo. Però, se facciamo caso a certi particolari, possono sorgere domande interessanti, che non potranno avere alcuna conferma, a meno che l’autore non ne parli esplicitamente. In questo caso, voglio soffermarmi su un rapporto – Italo Calvino e Beppe Fenoglio – e su due romanzi – Il sentiero dei nidi di ragno e Una questione privata – due libri che trattano la Resistenza, ma non solo.

Mi sono imbattuto nelle lettere tra Calvino e Fenoglio mentre preparavo una lezione di approfondimento per un’associazione, proprio sull’autore di Alba. Personaggio estremamente interessante, Fenoglio non era uno scrittore a tempo pieno, anzi, al contrario dedicava alla letteratura una parte della propria giornata: quella che coincideva con il rientro dal lavoro. Infatti, era impiegato presso un’azienda vinicola come curatore della corrispondenza estera, data la conoscenza dell’inglese che lo ha portato anche a inventare quello che viene chiamato fenglish, ovvero una lingua usata da Fenoglio nei suoi libri, tra italiano e inglese. Addirittura “Primavera di bellezza venne concepito e steso in lingua inglese. Il testo quale lo conoscono i lettori italiani è quindi una mera traduzione”, come si può leggere da una stessa dichiarazione di Fenoglio. Il rapporto con l’autore de Il barone rampante e tanti altri successi è sempre stato molto amichevole, anzi Luca Bufano, curatore delle lettere di Fenoglio, scrive che forse Calvino è stato l’unico vero amico dello scrittore di Alba, all’interno del mondo editoriale. La stima era talmente alta che, quando Fenoglio sottoscrisse un contratto con Garzanti – a causa del “risvolto” che Vittorini scrisse per La malora – Calvino intervenne scrivendo a Citati di aver sottratto a Einaudi un autore che non erano riusciti a valorizzare.

Al di là di queste faccende, resta altresì curiosa l’assonanza che c’è tra il primo libro di Calvino e l’ultimo – uscito postumo – di Fenoglio. Quest’ultimo stava scrivendo una storia, intitolata poi L’imboscata, prima di essere folgorato da “una nuova storia, individuale, un intreccio romantico, non già sullo sfondo della guerra civile in Italia, ma nel fitto di detta guerra”. Per fare spazio a questa nuova storia, lo scrittore cestinò i ventidue capitoli che aveva scritto (qui non è molto difficile immaginare la reazione di Garzanti alla notizia, dato che per terminare il libro mancavano solo otto capitoli). Una questione privata narra le vicende di Milton che parte alla ricerca di Giorgio per chiedergli di Fulvia, amore condiviso dai due. Se prendiamo il dodicesimo capitolo del libro di Fenoglio, notiamo come l’azione si sposta in una caserma fascista, allontanandosi dunque dalle peripezie di Milton, caso unico nel romanzo. Protagonisti sono due bambini, i quali vengono condannati e fucilati proprio per l’azione del partigiano, il quale aveva appena ucciso un fascista. Fenoglio sembra, cinematograficamente, montare questa scena per ammonire sui rischi delle nostre azioni per gli altri, anche se sono sconosciuti. In questo caso, l’accaduto è ancora più straziante perché di mezzo dei ragazzi, uno dei quali, capita la situazione, invoca la madre chiedendo disperatamente quale fosse la sua colpa. Una questione privata resta, a detta di Calvino, il libro che segna il compimento di una stagione iniziata proprio con il suo libro, nel 1947, grazie al “più solitario di tutti”.

Nel nono capitolo de I sentieri dei nidi di ragno, prima opera di quella che sarà una delle figure più importanti del Novecento letterario italiano, c’è un’operazione simile a quella vista precedentemente: ci si distacca un attimo dalla narrazione centrale per seguire la conversazione tra il comandante Ferriera e il commissario Kim. I due sono presi da una discussione sulla natura del distaccamento composto da persone “poco fidate” e sul ruolo della politica, sul compito di dare a questi una coscienza. Alla fine, per Kim, sono tutti uguali, rossi e neri, ognuno combatte per liberarsi dalla propria catena, dalle proprie angosce. Ma da una parte si è nel giusto, dall’altra invece si continua a reiterare i soprusi che hanno portato gli uomini fino a quel punto. Proprio alla fine del capitolo, il commissario pensa a ciò che dovrà dire prima della battaglia – “a, bi, ci” – ma ciò che conta non è questo. “Continua a pensare: ti amo, Adriana. Questo, nient’altro che questo, è la storia”.

Forse, ora, si capisce perché Calvino abbia pensato a Fenoglio come punto finale di una stagione che ha sconquassato la storia italiana. Se alla fine la storia è pensare ancora all’amore per una donna, nonostante tutto ciò che possa accadere intorno, Una questione privata è la rappresentazione perfetta di questo pensiero. Milton muore nel suo tentativo di raggiungere l’unica verità che per lui contava, al di là delle bandiere e delle idee politiche. Questi due capitoli, che si staccano dalla narrazione principale, hanno una funzione che sembra essere opposta: da una parte si cerca di mostrare le ragioni di un conflitto, l’ideologia che è al servizio dell’umanità, la politica come àncora di salvezza in un mondo dove esiste effettivamente ciò che è corretto e ciò che non lo è. Questo è Calvino. Dall’altra, in Fenoglio, troviamo invece l’impossibilità di sottrarsi alla Storia, alla fine, ogni azione per quanto privata possa sembrare non può svincolarsi da un vissuto che riguarda ciascuno di noi. Allora, amore e politica sono legati, ma non come antagonisti, quanto piuttosto come costituenti del nostro mondo: attenzione però a dedicarsi solo a uno o solo all’altro. Si rischia di dimenticare, da una parte, l’umanità che c’è dietro a ogni militante e, dall’altra, di ignorare che il destino degli altri è legato al nostro, nonostante l’importanza che si attribuisce alla propria questione privata.

Rispondi