Un uomo di nome Berg, che cambiò il suo nome in Greb,
arrivò in una città di mare con l’intenzione di uccidere suo padre.
di Manu Bazzano
Quin nasce il 1936 a Brighton nel giorno di San Patrizio, il vescovo dell’antichità sul cui venerando groppone ricade la responsabilità d’aver diffuso il cristianesimo nella celtica Irlanda. Il pio vegliardo è tuttora venerato nel Regno Unito e in altri parti del mondo compresa New York con fiumi di birra in segno di devozione e gratitudine per aver smerciato in terra pagana l’intero bagaglio di nevrosi, melensi pretesti metafisici per la denigrazione dell’aldiquà. Fremo dalla brama di proclamare che anch’io nacqui nel fatidico giorno un paio di decenni più tardi e che ciò confermerebbe un’affinità di sorta con Quin, ma scrivere come lei io me lo sogno. Chi era Ann Quin? Semplice: una delle più grandi scrittrici inglesi di cui nessuno ha sentito parlare. Audace sperimentalista con l’orecchio attento alle avanguardie irlandesi e europee, la sua prosa impervia e sensuale suona ancora più “continentale” nell’era post-Brexit con l’isoletta incoronata, sballottata in alto mare su una fregata di nativisti sbronzi e ignoranti.
Autore di tre romanzi sorprendenti, tutti ispirati alla sua città, Brighton, nel 1968 Quin vinse quaranta sterline in un concorso letterario istituito da J.G. Ballard per la rivista Ambit per la migliore poesia o racconto scritto sotto l’effetto degli stupefacenti. Prevedibilmente, la maggior parte dei partecipanti presentarono brani scritti sotto l’incantesimo della marijuana, l’LSD e così via. Ma non Ann Quin. Il racconto Tripthychs, un delirio graffiante che documenta la fuga di un uomo braccato dalle sue ex nel deserto americano, fu scritto sotto l’influenza della pillola contraccettiva.
Ambientato in una città di mare sulla costa sud-est dell’Inghilterra e con ovvi riferimenti a Brighton, Berg è come un film di Hitchcock con la sceneggiatura scritta da James Joyce. Il padre aveva disertato la famiglia quando Berg era bambino, e il protagonista prende una stanza d’albergo accanto a quella del padre e dell’amante. Brighton, a un’ora di treno da Londra, è una città che ho imparato dapprima a tollerare e poi ad amare. Per vari motivi. La versione di Brighton che emerge dalle pagine di Ann Quin è di un inferno notturno senza luna in bianco e nero governato da un genius loci squilibrato – il lato buio della versione solare per cui è celebrata oggi, una San Francisco inglese con il lungomare variopinto, hipsters, locali alternativi e la processione annuale carnevalesca e commercializzata del gay Pride. La versione di Quin è l’opposto di tale paradiso liberale e forse ancor più veritiera oggi, specie fuori dai quartieri bene: minacciosa, ma anche burlesca e piena di inquietante vitalità e per tale motivo molto più attraente. Che m’importa del paradiso, un luogo gentrificato dove non succede un bel nulla e tutti sorridono e si tengono per mano. Preferisco Brighton di notte, d’inverno e al pensiero rabbrividisco d’una gioia segreta.
Il suo secondo romanzo, Three, molto più strano e lussureggiante della solita pappa consolatoria a cui si appioppa l’epiteto di romanzo, abbozza un ménage à trois così enigmatico e inquietante, così ambiguo da far fremere di terrore i zelanti poliamorosi del paesaggio psichico d’oggidì con la loro fede ingenua nel potere salvifico della trasparenza e la tracotanza di poter legiferare sulla sfingea condotta di Eros che è a conti fatti un dio. Il romanzo è profondamente inattuale nel sostenere il potere destabilizzante del segreto in opposizione alla promiscua e puritana onestà sbandierata dai costumi dominanti. Mi viene in mente (tangenzialmente, erroneamente) I luoghi dell’indicibilità di Jacques Derrida: mantenere il segreto implica rispettare l’aspetto fondamentale dell’auto-affetto. Per avere un segreto devo dirlo a me stesso, devo sentirmi parlare. Devo anche essere in grado di concretizzare una rappresentazione del segreto – ciò che rende il segreto condivisibile. Per mantenere il segreto devo saper violare la promessa. In tal modo, possiedo e non possiedo il segreto. Un segreto è necessariamente condiviso.
Il triangolo amoroso descritto in Three è contorto, doloroso, e tragico. Il romanzo inizia con una tragedia, con la scomparsa in mare – forse suicidio, forse omicidio – della giovane donna che abitava nella casa di una coppia litigiosa. Ann Quin verrà incontro alla medesima fine, a 37 anni, al largo dell’iconico molo che verrà distrutto da un incendio nel 2003 e mai più ricostruito, uno scheletro fra le onde. Nell’ultima annotazione nel diario della protagonista, letto voyeuristicamente dalla coppia, si legge:
Oggi nell’aria i primi segni di un chiarore. La nebbia si leva dal suolo su cui giace la brina sottile. La barca è pronta, come previsto. L’ultima cosa da fare è scrivere una nota. Lo so che non cambierà nulla.