Le undicimila verghe di Guillaume Apollinaire

di Marisa Paladino

Portrait de Guillaume Apollinaire è un famoso dipinto di Giorgio de Chirico datato 1914 ed oggi esposto al Centro Georges Pompidou di Parigi. La storia del dipinto è incerta, molto improbabile che il poeta abbia posato per il ritratto, infatti non ci sono tracce documentali a riguardo. Potrebbe essere accaduto che l’autore di  Alcools (1913), entrato in possesso del quadro regalatogli dall’autore, gli abbia dato questo titolo, immedesimandosi nel mito di Orfeo, simbolo dell’Arte e dell’artista. Il suo mondo poetico, del resto, alterna disinvoltamente versi apollinei ad un universo letterario più  dionisiaco. Apollinaire legge nella prima giovinezza poeti italiani libertini ed irreligiosi del ‘700 come Giorgio Baffo,  Boccaccio e de Sade nutrono il suo lato più scandaloso,  mentre tenta di  ridicolizzare il moralismo della società del tempo, riuscendo a far circolare clandestinamente nel 1906 il romanzo Le undicimila verghe.  Si tratta del  racconto dei piaceri più estremi e lussuriosi di un principe rumeno nella galassia di uno sfrenato erotismo, nessuna perversione è esclusa ed è un testo da inquadrare, al di là del valore letterario e del probabile bisogno di guadagno dell’autore, nella sua resa visionaria e nell’iperrealismo osceno che non può, e non deve, solo scandalizzare. L’autore fa un sonoro sberleffo ad un mondo di ipocriti e benpensanti mentre le situazioni del romanzo, al limite del grottesco e della credibilità, richiamano  le “undicimila vergini” della leggenda del martirio di Sant’Orsola, che a Colonia scelsero la morte pur di non concedersi all’esercito di Unni che assediava la città. Il titolo dell’opera, del resto, gioca con audacia ed eccentrica provocazione con l’assonanza che esiste nella lingua francese tra verge (“verga”) e vierge (“vergine”), quindi l’intento caricaturale che pervade il romanzo è la sua chiave di lettura migliore, mentre alla sbarra è il più retrivo moralismo cattolico imperante. Vere illuminazioni poetiche sono, invece, i versi di Le Bestiaire ou Cortège d’Orphée (1911), definiti dal suo autore “un divertimento poetico”, che mette al centro l’essere artista a cui vengono suggerite istruzioni per la creazione poetica. “Questo anormale aspirava alla norma – dirà di lui Alberto Savinio, fratello del pittore Giorgio de Chirico – ardentemente, pateticamente (…) Questo fantaisiste aspirava alla realtà; per meglio dire alla surrealtà, come diceva lui e con maggior diritto di altri che poi hanno usurpato questo termine e inquinato. Paziente ma ansioso marciava verso una via superiore, verso una norma superiore, verso una poesia superiore”. La prima quartina dell’opera, non a caso, è intitolata proprio a Orphée/Orfeo

Admirez le pouvoir insigne
Et la noblesse de la ligne:
Elle est la voix que la lumière fit entendre
Et dont parle Hermès Trismégiste en son Pimandre

rivelando la nobile appartenenza dell’autore al mondo della creazione poetica e l’alta considerazione che lo stesso ha di questo suo ruolo. Il lettore è chiamato ad ammirare il corteo di Orfeo, la perfezione della parola poetica può sorprendere spingendosi fino a coinvolgere il tratto visivo,  non dimentichiamo che l’opera era infatti illustrata dai disegni di Raoul Dufy, che aveva sostituito Picasso, originariamente scelto. Alla linea si sovrappone poi la luce che ha il potere di infrangere le tenebre, anche se è la voce poetica che fa luce nel mondo, e nel Pimandro la luce viene a coincidere con l’intelletto supremo. Il vate delle avanguardie parigine, intanto, ha alle spalle un’adolescenza disordinata trascorsa tra Montecarlo, Cannes e Nizza, insieme alla madre, una nobildonna polacca dedita al gioco ed incapace di dargli una stabilità affettiva, questo probabilmente contribuirà al rapporto precario del poeta con le donne incontrate. A  Parigi nel 1899 riesce a conquistare una posizione di riferimento per i tanti giovani artisti lì residenti, Picasso innanzi tutto, poi Braque e de Chirico, per far solo qualche nome, il fratello di quest’ultimo Alberto Savinio lo considera un fratello gemello per la comune natura “controcorrente”, mentre ognuno  è alla ricerca di un’arte suprema, capace di una funzione rivelatoria e profetica. La vita di Apollinaire, seppure breve, è segnata da questo anelito, le sue raccolte poetiche Alcools (1913) e Calligrammes (1918) sono un distillato di assoluta novità, il poeta sperimenta la vertigine del verso libero, senza punteggiatura, mentre con le parole gioca in maniera sinuosa seguendo, in modo simultaneo, l’immagine descritta dai versi. Apollinaire è un protagonista del suo tempo, vivrà la Grande guerra arruolandosi volontario come artigliere mentre tormentato è il suo rapporto con le donne. L’amore, per lui, dai venti ai trent’anni è un saliscendi di rotture e riappacificazioni, a Marie Laurencin, pittrice fauve presentategli da Picasso nel 1907, il poeta chiederà di sposarla, ricevendone un rifiuto. La tela ad olio Apollinaire et ses amis dipinta dalla pittrice in omaggio al circolo cubista parigino, che ritrae, tra gli altri, la collezionista Gertrude Stein, Picasso, Apollinaire e la stessa Marie al pianoforte, resterà dopo la separazione nell’abitazione parigina del poeta al 202 del Boulevard Saint-Germaine fino alla sua morte. Il poeta si definisce ‘Male Amato’ nell’omonima canzone in cui scrive “Addio falso amore confuso/Con la donna che si allontana/Con quella che ho perduto /L’anno scorso in Germania/E che non rivedrò mai più” ricordando Annie Playden, un’inglese conosciuta come governante in Germania, anche questo però è un amore finito male. Lei era bella e allegra, amata carnalmente ma distante dalla sua mente, gli aveva rivelato il volto ingannevole dell’amore, l’immotivata gelosia e la fugacità della passione. Il perduto amore per Marie Laurencin nutre anch’esso il ricordo struggente del poeta, mentre la riflessione sul tempo e l’amore si fa dolorosa nello splendido finale del componimento Le pont Mirabeau.

Les jours s’en vont je demeure
Passent les jours et passent les semaines
Ni temps passait
Ni les amours reviennent
Sous le pont Mirabeau coule la Seine
Vienne la nuit sonne l’heure
Les jours s’en vont je demeure

Il  poeta Giorgio Caproni restituisce la piena musicalità dei versi nella traduzione: I giorni se ne vanno io non ancora/Giornate e settimane il tempo corre/Né più il passato/Né più l’amore torna/Sotto il ponte Mirabeau la Senna scorre/Venga la notte rintocchi l’ora/I giorni se ne vanno io non ancora. La passione e l’idealizzazione erotica degli anni  giovanili fa scrivere al poeta “Come un folle ho vissuto e ho perduto il mio tempo’ ma non è così. Apollinaire non ha mai tradito la sua vocazione ed il suo vissuto è la trama stessa della sua arte. Alla dichiarazione di guerra della Germania alla Francia il 3 agosto 1914 il trentaquattrenne poeta decide di partire volontario, la sua domanda di arruolamento, però, non è del tutto lineare quindi resta in attesa. Lascia Parigi per raggiungere con un amico Nizza, il 27 settembre pranza allo stesso tavolo con una donna, un’infermiera volontaria all’ospedale militare, di lei s’innamorerà perdutamente. Louise de Coligny-Chatillon ha un anno meno di lui, è brillante e disinibita, ed esercita subito seduzione ed intrigo nei confronti del disarmato poeta. Ha origini nobili ed è divorziata, ha un’amicizia particolare con un artigliere che lei stessa chiama Toutou ed il cui rapporto sarà ben più duraturo della fugace passione per Apollinaire. Il poeta le dichiara amore la stessa sera, tra i fumi dell’oppio, lei lo avverte che è una donna libera, con intorno molti spasimanti, ma sempre giocosa ed intrigante in amore. La magnetica attrazione accende la fantasia e la penna di Apollinaire, fin dalla prima di duecento lettere indirizzate a Lou le esprime il suo profondo turbamento “i tuoi occhi grandi e belli da cerbiatta mi avevano turbato così tanto che me ne ero andato il prima possibile per evitare le vertigini che mi davano”. Il poeta le confessa di volere essere il suo servitore, la relazione tra i due andrà avanti tra fughe romantiche e carteggi infuocati. I nove giorni trascorsi insieme a Nîmes all’Hôtel du Midi, nel periodo più lungo vissuto insieme dai due amanti, furono di passione e promesse “si scambiarono giuramenti e promesse: una ciocca di capelli, una catena ornata di medaglie”. Le lettere intanto crescono per intimità, audacia e disinibizione.  Lui reclama una pienezza di rapporto ben oltre l’erotismo, lei si mostra indisponibile, Lou non vuole legarsi troppo ma è partecipe al gioco erotico e voluttuoso dell’amante, i due si accordano, reciprocamente, un godimento nel quale il continuo cambio di ruolo e di dominazione alimenta il desiderio. Intanto per il poeta è sempre più doloroso accettare la promiscuità di lei. A settembre 1915 le scrive già in un’atmosfera di abbandono ai ricordi:

Quando due cuori nobili si son davvero amati
Più della stessa morte è forte il loro amore
Cogliamo ora i ricordi che si son seminati
L’assenza quando si ama non ha nessun valore

mentre a novembre dello stesso anno la donna è una “mia cara amica” . Il  poeta, a sette mesi da quando si sono lasciati (maggio 1915), le scrive di essere contento che lei si è innamorata e che ci si abitua, davvero, a tutto “ai gas asfissianti, addirittura trovo che l’odore non sia affatto sgradevole, soprattutto quello dei lacrimogeni”, anche a disamorarsi.  Il 18 gennaio 1916 l’ultima lettera, di ritorno dalla licenza, nella quale il poeta abbraccia il rivale che ha conquistato stabilmente il cuore della nobildonna, concludendo “Ti auguro begli amori e molta felicità. Ecco, ci si abitua alla guerra, io ho partecipato alle botte da orbi della 194 vicino alla collina di Tahure. Insomma, per ora me la cavo senza danni, e dopotutto non è mica male”. A gennaio del 1915 Apollinaire aveva conosciuto sul treno della tratta Nizza-Marsiglia un’insegnante di lettere al liceo femminile di Oran “mi è parsa piuttosto intelligente e, credo, onesta”, Lou era stata messa al corrente dell’incontro. La ventiduenne  Madeleine Pagès dall’estate successiva diventerà ufficialmente la fidanzata del poeta, lui vorrebbe sposarla ma è in arrivo un nuovo rifiuto. Apollinaire sposerà invece Jacqueline Kolb nel maggio del 1918, un’infermiera militare americana, che lo aveva assistito in una degenza ospedaliera di oltre due mesi per “congestione polmonare”. A trentotto anni il poeta vive l’ultimo dei suoi amori per la bella rossa “Jolie Rousse” dal colore dei capelli tinti di “Quelle fiamme che si pavoneggiano / Nelle rose tee quando avvizziscono”. La donna è descritta con toni più romantici ed il poeta teme che questo possa fare sorridere i suoi amici, i suoi versi hanno una pacatezza nuova. Quest’amore sembra riservargli una stabilità appena appena assaporata. Il poeta, infatti,  muore per un attacco di febbre spagnola il 9 novembre 1918, due giorni dopo i francesi scendono in piazza per esultare per la fine del conflitto e la firma dell’armistizio.

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