Raul non fu sorpreso quando vide la sconosciuta varcare la porta del suo camerino. Si stava truccando allo specchio, quella sera malgrado le sue condizioni sarebbe andato in scena. Il suo pubblico lo attendeva con impazienza, come sempre. L’ombra si era sistemata con noncuranza alle spalle di Raul che la osservava riflessa davanti ai suoi occhi, ai quali finiva di dare un tocco di matita. Sei in anticipo o mi sbaglio, le chiese Raul sogghignando. Bugiardo che sei, gli rispose la figura immobile senza alcun movimento delle labbra. Raul mentiva e lo sapeva, col passare dei giorni il suo fisico arretrava sempre più e calcare il palcoscenico gli costava una fatica mai sperimentata prima. Aveva bisogno di tempo, soltanto qualche attimo in più per finire il suo ultimo testo, il primo che sarebbe andato in scena senza Raul protagonista. Ora lui doveva tergiversare, adesso doveva convincere la sua ospite a dargli una manciata di ore ancora per mettere giù le ultime scene e apportare le modifiche necessarie a quello che sarebbe stato il suo lascito teatrale. La sua graffiante presa per i fondelli della malattia che lo consumava senza tregua. Stasera è l’ultima replica, stanotte la passerò tutta a scrivere, sii gentile, ti chiedo solo questo e poi verrò con te. Così le disse Raul girandosi piano verso la sua ospite. D’accordo, ma diamo un senso a questa mia presenza, rispose lei con freddezza. Poi di nuovo con un filo di scherno, raccontami qualcosa di te prima di andare in scena, dopo ti guarderò recitare e ti aspetterò paziente mentre finirai di scrivere quella roba, dopotutto anch’io faccio parte della storia che desideri portare a termine, credi forse che non lo sappia? Era così, Raul ne era consapevole. Due erano i protagonisti di quel pezzo definitivo, lui che stava morendo di Aids e la visitatrice inopportuna che reclamava i suoi ultimi rantoli, la Morte. A Raul la proposta pareva onesta, quella sera avrebbe detto addio al suo pubblico dando fondo a tutte le sue energie con uno spettacolo memorabile. Dopo, avrebbe trascorso un’ultima notte insonne scrivendo con la Morte accanto a sé a guardarlo, quale miglior editor! E alla fine la pace, anche se Raul ne dubitava fortemente. Quanto gli era piaciuto vivere, quanto si era divertito anche quando ci sarebbero state da versare lacrime in abbondanza. Basta inutili svolazzi, mancava poco meno di un’ora all’alzata del sipario. Truccato si era truccato, il costume ce l’aveva addosso da un pezzo. Era giunto il momento di intrattenere la Morte con ciò che rammentava di quel turbinio continuo che era stata la sua esistenza fin lì.
Da che punto cominciare? Certo, da quei due pazzi coraggiosi che furono i suoi genitori. A Buenos Aires, nella loro casa passava chiunque fosse allergico ai limiti imposti alla libertà. Il padre di Raul dirigeva un giornale in aperto conflitto con la dittatura peronista e insieme alla moglie non si era limitato a formare una famiglia come le altre. La loro impresa era stata assai più ardita, avevano fondato una comune anarchica in cui ciascun familiare era una persona a sé, libera di crescere secondo la propria natura e le più intime convinzioni. Raul aveva avuto fin da piccolo libero accesso a qualunque libro, il teatro in ogni sua manifestazione era pane quotidiano per ogni membro di quella singolare comunità familiare e l’ironia era lo strumento principe per guardare con irriverenza a ogni aspetto del contesto umano. Il primo talento di Raul a venir fuori da una simile educazione fu il disegno. Poco più che adolescente, Raul era già un nome per le vignette che mandava ai giornali satirici della capitale. Le sue prime infatuazioni per i ragazzi che incontrava durante le infinite scorribande notturne aumentarono la sua notorietà, mettendolo in ancor più cattiva luce agli occhi delle autorità al potere che già mal tolleravano i suoi genitori e le loro convinzioni libertarie. Il clima in Argentina si faceva ogni giorno sempre più asfittico, Raul avvertiva una irrefrenabile curiosità di vedere cosa accadeva nel resto del mondo. Salutò i genitori e partì, cominciando una vita nomade con lo spirito di chi cammina a occhi aperti sempre pronto a cogliere la bellezza e l’ironia che tutto ammanta in questa vita se hai il coraggio di vedere. Non gli serviva sentirsi a casa da qualche parte, casa era per chi aveva bisogno di sicurezze e grazie all’esempio dei suoi genitori, Raul sapeva che le sicurezze erano pure illusioni. La vita era pericolo, inutile scansarlo. Meglio sbatterci contro il muso e così Raul avrebbe fatto. Attraversò l’Italia memore degli antenati di cui gli parlava spesso suo madre. Giunse a Parigi, cominciò a scrivere per il teatro e dopo essersi scelto uno pseudonimo, mise piede sulle tavole di un palcoscenico per la prima volta. Non ne sarebbe mai più sceso, portando in scena i suoi testi en travesti e quelli scritti da altri che pure ammirava. Sperimentò il romanzo e con una irrefrenabile autoironia si gettò a capofitto nelle nottate parigine trascorse in balia di feste grandiose, quei balli delle checche dei quali sarebbe diventato impertinente cantore. Continuò a disegnare, perché il paese in cui si trovava non era esente dai soprusi del più forte e dalle vergognose contraddizioni imposte da chi aveva di più. Nuove tavole satiriche cominciarono a uscire e un successo inaspettato toccò a un nuovo personaggio, tratteggiato apposta da Raul per sbeffeggiare in maniera sfacciata le ipocrisie delle classi sociali che dettavano le norme di condotta da seguire per rientrare nell’alveo di una presunta normalità. Era nata così la Donna Seduta, la sua creazione più celebre, la signora impettita che esprimeva in modi sopra le righe vedute piccolo borghesi ciarlando a vanvera con un pollo logorroico e un topo dispettoso. Quanto se l’era spassata disegnando quelle vignette, quanto aveva svagato il pubblico che lo seguiva ormai adorante in ogni suo passo espressivo.
Poi era arrivata quella malattia. Brusca, infida, senza scampo. Gli amici di Raul cominciarono a morire uno dietro l’altro. Lo stigma calò come una scure su chi si ammalava, accelerandone la fine. Fedele a se stesso, Raul non si scompose. L’odio non lo intimoriva, gli attacchi virulenti ai quali assisteva non scalfirono affatto il suo spirito. Era malato, sarebbe morto. Reagì con tutto l’umorismo di cui era capace. Continuò a esprimersi con tutti i mezzi di cui disponeva, calcando il palcoscenico ancor più di prima. Se doveva morire è lì che la Morte lo avrebbe trovato, in teatro. Non prima però di aver finito quel che sarebbe stato il suo ultimo lavoro, quello che avrebbe visto come protagonisti Raul stesso morente e la Morte che lo veniva a reclamare, quello che avrebbe fatto cadere dalla sedia gli spettatori a furia di risate. La notte era trascorsa, prima il racconto della sua vita, poi lo spettacolo e l’ovazione del suo pubblico, infine nel camerino a finire il suo testo. La Morte lì in attesa, silenziosa. Albeggiava appena quando Raul alzò la testa dai fogli che aveva finito di riempire con le note di scena. Si tirò su girando lo sguardo verso la presenza alle sue spalle. Forse lei mi conosce solo come Raul, forse non sa che ormai da tempo lo pseudonimo che impiego è diventato il mio unico nome, forse riesco a sfangarla convincendola di aver sbagliato persona, si disse illudendosi. A quel punto però la Morte fu in piedi e sorridendo sempre senza muovere le labbra lo invitò a seguirla, sussurrandogli con semplicità: forza Monsieur Copi, è già tardi.